Le prospettive

Contro il caro bollette l'Europa serve, ma il price cap ha un guaio

Alberto Clò

Oggi ci sarà il Consiglio Ue sull'energia, dove è alto il rischio di non trovare una base comune su cui impostare la discussione sul tetto al prezzo del gas: sarebbe una dimostrazione di debolezza che rafforzerebbe la posizione di Putin

Tutti – da destra e da sinistra, a livello nazionale ed europeo, da esperti o sedicenti tali – lo invocano, lo auspicano, lo minacciano anche se nessuno sa o ha capito cosa sia effettivamente, come dimostrano le estemporanee interpretazioni avanzate ogni giorno. Parlo del tetto al prezzo del gas e da ultimo, per non farci mancare nulla, anche a quello del petrolio russo paradossalmente proposto dal G7 nonostante l’embargo del petrolio russo decretato dall’Europa e nonostante il forte calo del suo prezzo: dai 92 dollari al barile di giugno ai 75 e dai circa 124 dollari al barile di giugno ai 92 del 1° settembre per il Brent Dated.

 

Del tetto al gas si prese a parlare poco dopo il maledetto 24 febbraio e a distanza di oltre sei mesi, e alla vigilia del Consiglio europeo dell’energia del 9 settembre, Bruxelles ha candidamente ammesso che sta ancora studiando in cosa tecnicamente consista. In uno sconto chiesto ai nostri fornitori, ad iniziare da Gazprom, o in un prezzo fissato da noi acquirenti (si è detto 90 euro al Megawattora contro gli attuali livelli superiori ai 200) oltre il quale non siamo disposti ad andare?

 

Nel primo caso è inverosimile che Gazprom o Sonatrach o Qatargas siano disposti ad accettare la nostra richiesta – e se così fosse bisognerebbe comunque rinegoziare i contratti in essere – nel secondo, sarebbe tragicomico che nello stato di ostaggi in cui ci troviamo pretendessimo di porre condizioni ai nostri sequestratori. Va da sé poi che in un sistema fisicamente integrato come quello europeo bisognerebbe che tutti i paesi europei acconsentissero al tetto, altrimenti il gas andrebbe al paese disposto a pagare il prezzo pieno.

 

Se il tetto dovesse valere anche per il gas liquefatto che l’Europa ha copiosamente importato negli ultimi mesi (+40 per cento nel secondo semestre 2022 su corrispondente periodo 2021) le metaniere verrebbero dirottate verso l’Asia ancor più affamata di noi dell’energia blue. E ci troveremmo ancor più in difficoltà.

 

Ridurre i prezzi del gas significherebbe poi implicitamente aumentarne i consumi – gli alti prezzi sono la più brutale ma più efficace leva contro gli alti prezzi – ovvero penalizzare la riconversione al meno caro carbone, raddoppiato negli scorsi due mesi dopo la decisione europea di sottoporre ad embargo le importazioni di carbone dalla Russia. Non solo per il carbone ma anche per petrolio e gas gli embarghi decretati dall’Europa, da un lato, non hanno sortito gli esiti attesi – indebolire l’economia russa riducendole i ricavi energetici –dall’altra a mo’ di boomerang ci sono tornati indietro con gli interessi.

 

I ricavi energetici di Mosca sono aumentati dal 24 febbraio di oltre 100 miliardi di dollari, mentre ad ogni annuncio della Ursula von der Leyen i prezzi schizzavano per ogni fonte su cui discettava. Sarebbe quindi utile, se stessimo giocando una partita di basket, che l’allenatore chiamasse un time-out per riflettere su come le cose stanno andando (male) ed eventualmente come correggere gli schemi della partita. Sul fronte del gas ci troviamo a dover sperare che questo inverno non sia eccessivamente freddo ma sia invece molto ventoso (altrimenti ne soffriremo sul versante eolico, come accaduto lo scorso anno) e che Mosca non si irriti troppo del bluff delle nostre (false) minacce.

 

Su quello del petrolio, con l’embargo che dovrebbe scattare dal 5 dicembre per il greggio e 5 febbraio per i prodotti (è ignoto il perché di queste dilazioni), i paesi europei hanno continuato a importare come prima, anche per le poche alternative sul mercato, specie per quanto riguarda il diesel di cui l’Europa è fortemente carente.

 

Due le cose di cui bisognerebbe tener conto: Prima: la crisi del gas – esplosa molto prima della guerra anche se da questa aggravata – non si risolverà con la fine della guerra. Perché quella crisi derivava da una scarsità strutturale di offerta di gas per il crollo degli investimenti nella fase mineraria e per la scellerata idea di Bruxelles e di Parigi (Agenzia) che non bisognasse più investire negli idrocarburi, vista la trionfale avanzata delle rinnovabili su cui sono stati investiti dal 2005 ben 5.000 miliardi di dollari, non andando comunque oltre il 5 % di copertura della domanda di energia (82% fossili). Seconda: il price cap è un’arma spuntata. Se il 9 settembre l’Europa, come temo, non raggiungerà un accordo su cosa significhi e come applicarlo avremo dato l’ennesima dimostrazione a Putin della nostra debolezza, così rafforzandolo nel suo gioco del gatto col topo.

 

Alberto Clò è un economista e accademico italiano. E' stato ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato tra il 1995 e il 1996. Con questo articolo inizia la sua collaborazione con il Foglio

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