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prospettive future

Berlino va verso l'inverno con tre spettri economici ad attenderlo

Daniel Mosseri

Tutti gli occhi guardano alla guerra in Ucraina, all’emergenza energetica e all’inflazione. Ma i singhiozzi per la crescita in Germania arrivano dalla fine del 2019. Governo e cittadini dovranno prepararsi ai cambiamenti

Berlino. Nel secondo trimestre dell’anno l’economia tedesca è andata un po’ meglio del previsto. Lo ha certificato l’istituto federale di statistica (Destatis) spiegando che il prodotto interno lordo è aumentato dello 0,1 per cento fra aprile e giugno del 2022 rispetto allo stesso periodo del 2021. La previsione era per un pil piatto. Ad aiutare la crescita sono state sia la domanda interna, su dello 0,8 per cento grazie alla ripresa nel turismo e nella ristorazione, sia la spesa dello stato in aumento del 2,3. E così, ha scritto ancora Destatis, il paese è tornato “al livello pre crisi del quarto trimestre del 2019”.

  

Perché se oggi tutti gli occhi guardano alla guerra in Ucraina, all’emergenza energetica e all’inflazione, i singhiozzi per la crescita arrivano dalla fine del 2019, quando il Covid ha fatto la sua comparsa.

 

Benché minima, la crescita messa a segno in primavera allontana lo spettro che più spaventa governo e cittadini: la recessione. Ma in questo periodo i gufi prevalgono sulle rondini. Basta allargare lo sguardo per vedere che il granitico surplus commerciale della Germania si sta sgretolando: nei primi sei mesi del 2022, l’avanzo si è ridotto di quasi due terzi a 34,3 miliardi di euro, con le importazioni nelle prima metà dell’anno cresciute del 26,5 per cento a 729,6 miliardi di euro, mentre le esportazioni sono cresciute solo del 13,4 a 763,9 miliardi nello stesso periodo – senza dimenticare che a maggio 2022, la Repubblica federale ha registrato la prima bilancia commerciale estera negativa dal 2008. I principali beni esportati dalla Germania nella prima metà dell’anno sono stati gli autoveicoli, i rimorchi e i semirimorchi (116,3 miliardi), seguiti dai macchinari (99,2 miliardi di euro). L’automotive tira ancora anche se non più come una volta. Prima che le cose cambino, il settore ha bisogno di una strategia chiara, ha affermato già qualche settimana fa la presidente della Verband der Automobilindustrie, Hildegard Müller.

 

A metterla sul chi va là è quella metà del governo, leggi Verdi e Liberali, favorevole a una Germania meno dipendente dalle esportazioni verso i paesi che non rispettano i diritti umani. Ma “un semplice taglio (con la Cina) sarebbe un disastro”, ha messo in guardia Müller, ricordando che il gigante asiatico “è economicamente molto più importante della Russia”. 

Müller è preoccupata, ma il gufo in chief è il presidente della Bundesbank, Joachim Nagel. Se la crisi energetica continuerà – e la siccità che ostacola il trasporto del carbone lungo il Reno non sta certo aiutando – “una recessione il prossimo inverno appare probabile”. A giorni poi scadrà lo sconto sulla benzina come anche il biglietto regionale ferroviario a 9 euro al mese per i tre mesi estivi. Le due misure hanno aiutato a contenere l’inflazione, adesso libera di veleggiare verso il 10 per cento il prossimo autunno, ha spiegato il capo della BuBa.

 

Sul piano pratico, l’economista Thomas Obst dell’Istituto di economia tedesca di Colonia (IW Köln), ha scritto che “una cosa è chiara: l’energia rimane costosa a medio termine, l’offerta è instabile, e gli imprenditori devono trasferire i costi elevati ai consumatori se vogliono continuare a operare in futuro”. Serve dunque uno scatto in avanti: “Il fattore decisivo sarà il modo in cui affronteremo la riduzione delle forniture di gas dalla Russia”. Obst teme una “tempesta perfetta” basata sul raffreddamento dell’economia mondiale, “l’incombente crisi del debito in Europa”, il ridimensionamento della politica monetaria e fiscale espansiva e le possibili carenze di produzione e interruzioni della catena di approvvigionamento, se la Russia taglierà del tutto il gas all’Europa.

 

Risultato: nel 2023, 307.000 tedeschi avranno perso il lavoro. Una bazzecola rispetto ai 3 milioni di nuovi disoccupati paventati dal presidente dell’IW Köln, Michal Hüther. Recessione tecnica o no, la Germania si deve preparare a “un profondo aggiustamento” provocato dalla crisi del gas. Invece che un paese a caccia di manodopera Hüther immagina una Germania con metallurgia, industria del vetro e dello zucchero ferme per mancanza di gas. Partono gli esuberi che poi si allargano alle altre industrie rimaste senza metallo, senza vetro e senza zucchero. Il tutto nel quadro di sfide strutturali come la trasformazione digitale e la neutralità climatica dell’energia e della produzione. “Penso che da 2,5 a 3,0 milioni di disoccupati aggiuntivi siano abbastanza concepibili”.

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