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Salario minimo no, grazie. Ecco come rafforzare davvero i contratti collettivi

Maurizio De Carli e Claudio Di Donato

Troppo spesso  la contrattazione collettiva viene depotenziata da norme di legge e complicata dal recepimento di direttive europee. Solo il maturo confronto tra le parti sociali più rappresentative può fornire risposte efficaci, declinando soluzioni condivise

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Talvolta l’Italia scivola nel provincialismo riformista, in modo frequente quando si parla di sistemi elettorali ma anche in tema del mercato del lavoro si guarda spesso con entusiasmo alle riforme degli altri. L’ultimo esempio è il modello spagnolo che sta conquistando  estimatori dopo il  calo dei contratti a termine ad aprile. Giudicare una riforma dopo  quattro mesi è  azzardato, senza considerare che in Spagna la quota di lavoro a tempo determinato è al 26% rispetto al 17% dell’Italia. Due elementi della riforma di Yolanda Diaz sono invece colpevolmente trascurati e riguardano  metodo e  filosofia. Le nuove regole rappresentano la sintesi dell’intesa raggiunta da imprese e sindacati e l’architrave è la centralità della contrattazione collettiva. Un contesto  diverso dall’Italia dove,  spesso, si assiste a incursioni e invasioni di campo del legislatore anche su materie che attengono alle parti sociali. Dopo due anni di pandemia e gli effetti della guerra il sistema produttivo è chiamato ad affrontare una profonda riorganizzazione di cui la componente lavoro rappresenta un elemento fondamentale con il ritorno di spinte inflazionistiche che non si vedevano da 30 anni.
 

Nonostante i livelli di produttività stagnanti e la precaria congiuntura le parti sociali stanno rispondendo in modo positivo all’intensa stagione di rinnovi contrattuali con l’obiettivo di riconoscere incrementi retributivi in un’ottica di slancio e di fiducia verso il mercato del lavoro. Una fiducia che andrebbe sostenuta economicamente mettendo in campo misure per ridurre il “costo del lavoro” e  riaffermando il ruolo fondamentale svolto dai contratti collettivi. Troppo spesso  la contrattazione collettiva viene depotenziata da norme di legge e complicata dal recepimento di direttive europee, come ad esempio le “Condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili” che rischia di incidere su una serie di istituti contrattuali. Si afferma  con forza l’esigenza di una contrattazione di qualità, capace di cogliere le specifiche esigenze dei settori che caratterizzano il nostro tessuto produttivo. Solo il maturo confronto tra le parti sociali più rappresentative può fornire risposte efficaci a un panorama eterogeneo, declinando soluzioni condivise. Il “contratto” è un abito su misura per valorizzare con maggiore vigore il Made in Italy. La norma di legge invece rischia di essere un prodotto a taglia unica, incapace di individuare e valorizzare i punti di forza di ciascun settore produttivo. Per ridare slancio al nostro mercato del lavoro torna  determinante la contrattazione collettiva, affidando alla capacità di autoregolazione e di governo del sistema delle relazioni sindacali una efficace regolamentazione del mercato del lavoro e della “giusta retribuzione” o del “salario minimo”. La stessa giurisprudenza ha affermato un consolidato meccanismo di richiamo alla contrattazione collettiva, quale strumento più efficace per fissare la giusta misura della retribuzione.
 

Sul piano legislativo, negli ultimi anni, si sono susseguiti vari progetti di legge, molti dei quali prevedono di individuare, con un dato numerico/quantitativo, un salario minimo. Si tratta di proposte non percorribili, in quanto provocherebbero una grave crisi a tutto il sistema della contrattazione collettiva e aprirebbero la strada a complesse questioni interpretative e incertezze. Tra i punti da chiarire si possono indicare il conteggio della soglia minima retributiva oraria di tutti gli elementi che compongono la cd. retribuzione differita (ferie, permessi, quota del TFR). Inoltre come poter conteggiare le prestazioni della bilateralità, che integrano la retribuzione e alzano notevolmente il potere d’acquisto dei lavoratori. Ovviamente, affinché il sistema sia efficiente e in grado di fissare una “retribuzione proporzionata e sufficiente” è fondamentale la qualità della contrattazione, che può essere assicurata soltanto dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative e non da quelle organizzazioni marginali che puntano a squilibrare il mercato del lavoro. Al riguardo, è necessario sgomberare il campo da un equivoco : non è possibile ipotizzare che la rappresentatività possa essere misurata con lo stesso parametro in contesti differenti. In altri termini, non è possibile pensare di individuare degli indicatori univoci che possano essere utilizzati sia per le organizzazioni sindacali che per le organizzazioni datoriali, così come, anche all’interno delle organizzazioni datoriali, è necessario valorizzare le specifiche differenze. Nel comparto dell’artigianato, ad esempio, c’è un fattore che non deve essere ignorato: la bilateralità, che agisce a beneficio dei lavoratori e delle imprese, creando valore sociale per tutto il sistema. Qualsiasi dibattito sulla rappresentatività dovrà partire dal presupposto di voler considerare e valorizzare i singoli settori produttivi nelle loro specificità.

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Maurizio De Carli dipartimento relazioni sindacali Cna,
Claudio Di Donato

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