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Il Tetris di Tim tra Kkr e Cvc

Redazione

Altro che Risiko. La presenza dello stato nella compagnia delle telecomunicazioni ne complica la vendita

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Ieri, in una giornata di borsa al ribasso, Tim non è riuscita a difendere un iniziale recupero restando intorno a 0,3 ad azione, ben lontana dallo 0,505 dell’offerta del fondo Kkr. L’incertezza si deve, secondo gli analisti di Equita, a voci di interessamento del fondo britannico Cvc, che mirerebbe alla parte commerciale (ServCo), quella che nel  piano dell’ad Pietro Labriola verrebbe scissa dalla rete (NetCo). Quest’ultima presumibilmente da fondere con OpenFiber dove, come in Tim, è presente la Cdp. Nonostante l’ok del 13 marzo del cda di Tim ad aprire a Kkr la data room, l’interesse del fondo, che risale a novembre 2021 e vale 11 miliardi, sembra raffreddato in quanto presumeva la privatizzazione totale.

Intanto Moody’s e Fitch hanno peggiorato i rating. Cvc starebbe cercando un raccordo con Vivendi, primo azionista di Tim, mentre Vivendi tratterebbe con Macquarie, socio di minoranza di Cdp in OpenFiber. Troppi condizionali. E manovre vere o supposte concentrate sulla parte servizi della futura azienda, mentre la rete, dove secondo Labriola e il governo resterà una “significativa presenza pubblica” ma aperta al mercato, riscuote meno applausi. Il motivo è ovvio: è nella rete che si concentrano debiti e investimenti; mentre né  governo né  Cdp né i manager sponsorizzati dal Tesoro hanno precisato quale sarà il peso e il ruolo pubblico (così come del resto nel futuro cloud nazionale destinato ai dati più sensibili). Non si riesce ancora a imboccare la strada francese o tedesca, dove in Orange e in Deutsche Telekom lo stato ha sì una presenza ma minoritaria, e le regole, golden power compresa, sono chiare per il mercato. Così più che al solito Risiko, quello di Tim rischia di assomigliare al Tetris.

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