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editoriali

La Borsa post Covid

Redazione

Cosa insegna la crescita dei listini internazionali nei due anni di pandemia
 

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Dal 20 febbraio 2020, giorno del primo caso di Covid in Italia, il Ftse-Mib di Piazza Affari ha guadagnato il 5,69 per cento, come osserva Mf. Non certo un “bottino di guerra”: altre borse più grandi e globalizzate hanno fatto anche meglio. A cominciare dal Nasdaq e dallo S&P di New York che in questi due anni hanno guadagnato rispettivamente il 38,94 e il 28,92 per cento. Se la pandemia è stata paragonata a un conflitto ci sono stati anche momenti fatti apposta per bombardare i mercati (le fasi acute delle restrizioni, ora l’escalation in Ucraina). Ma la finanza, uno dei motori dell’economia e della società, se l’è cavata. Gli indici in Cina, Francia e Germania, il superindice europeo Stoxx Europe 600 hanno avuto incrementi a doppia cifra o poco sotto.

Meno bene è invece andata a Londra, e soprattutto a Hong Kong. Da questo primo quadro si ricava che i mercati più aperti al resto del mondo, e con titoli più innovativi come il Nasdaq e Shanghai, sono stati premiati dagli investitori. La City londinese ha risentito della Brexit, non certo delle restrizioni, mentre è emblematica la sorte divergente di Hong Kong e Shanghai: meno 11,89 la prima, più 15,2 per cento la seconda. Il pugno di ferro della Cina ha messo in fuga molti di quanti consideravano l’ex colonia britannica uno spazio aperto. La globalizzazione e l’apertura al mondo hanno poi fatto bene ai singoli titoli e ai loro investitori. In Italia, Stellantis è cresciuta del 68,6 per cento (cui ieri si è aggiunto un altro 4,5 con utili triplicati nel momento buio dell’auto), la fusione tra Fca e Peugeot-Citroën che ha debuttato a gennaio 2021, proprio nel mezzo della pandemia. Al contrario tra le peggiori ci sono Leonardo e Saipem, aziende a controllo pubblico che un po’ per loro natura e un po’ per volere politico hanno seguito una strategia di crescita in solitaria, o se vogliamo nazionalista. Quanto a Big Pharma, ha avuto picchi di guadagno ma poi si è normalizzata: nel 2022 BioNTech, Novavax e Moderna hanno lasciato sul campo il 40 per cento di capitalizzazione. Il che dovrebbe dire qualcosa alle teorie no vax.

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