Foto Getty

Rubinetti aperti

Il gas russo arriverà ancora. E Putin proverà a finanziarsi la guerra con i nostri soldi

Massimo Nicolazzi

L'aumento dei prezzi favorisce le casse di Mosca ma per i nostri consumi energetici non c'è alternativa immediata. Ora il percorso di decarbonizzazione e diversificazione va accelerato: Gnl, raddoppio dei volumi Tap e produzione nazionale 

Finanziare l’invasore. Questa mattina mi sono svegliato e ho trovato l’invasor. Mi è cambiato il mondo. Per la prima volta da quando son nato (e son passati un po’ di decenni) mi sono trovato a contemplare l’idea che una guerra in Europa sia ancora possibile. Non è stata contemplazione serena. Arrivato a mezzogiorno ho cercato di allontanare l’incubo mettendomi a contemplare la mondanità dei mercati. E ho scoperto che gli incubi sono a volte capaci di ironia. I flussi di gas dall’Ucraina erano in aumento rispetto a ieri. E il prezzo era salito del 40 per cento o quasi. Roba che se continua così finisce che Putin non solo si finanzia l’invasione, ma pure ci guadagna (e magari la prossima volta che ha esigenze di cassa gli viene la tentazione di replicare).

Per adesso è la ripetizione dello schema del 2014. Lui si riprende la Crimea, e in Donbas e altrove è guerra civile. Nel mondo di sopra è inferno e terrore. E nel mondo di sotto il fiume azzurro del gas scorre quieto. Il russo incassa, l’ucraino non rinuncia ai diritti di transito, e la signora Gina ha abbastanza gas per preparare il brasato. Chiamatelo, se volete, l’equilibrio dei bisogni. Poi cosa succede non si sa, che nel 2014 la guerra non la contemplava nessuno e adesso è decisamente più presente nelle nostre vite. Però per evitare equivoci Putin dopo averci intimato di non interferire si è precipitato a dichiarare che le forniture russe di gas verso l’Europa proseguiranno ininterrotte. Qui sta il nodo; e qui è dove ci tocca o di dimostrare che abbiamo capito che è cambiato il mondo o come se niente fosse continuare il nostro burraco nella sala giochi della Pensione Europa.

Quando il gas stava a 25 euro e il petrolio a 50 euro il gettito della loro esportazione copriva il 40 per cento del budget federale russo. Adesso che siamo a 120 e 110 è cuccagna vera. Vero che il reale non è razionale; però che chiudano i rubinetti loro non pare pronostico scontato. Di qui però anche, e per converso, la difficile gestione della Pensione Europa. Forse riusciremmo a diminuire o magari a tassare i flussi di petrolio sulla Druzhba (l’oleodotto Russia Vienna); ma del loro gas (grosso modo il 40 per cento del nostro import) non riusciamo a fare a meno. Piuttosto gli finanziamo l’invasione.

C’è il rischio tolte guerra e energia che la fermezza prenda la forma di sanzioni/solletico. Potrebbe essere diverso? Possiamo colpirli negli affetti? Due cose ci devono essere chiare. La prima è che se togliamo dal tavolo di colpo il gas russo non c’è checché ne dica Biden un piano B. Insomma non c’è abbastanza gas per rimpiazzarlo tutto. La seconda è che se lo sostituiamo parzialmente con il Gnl finisce che la Signora Gina si converte dal brasato ai piatti freddi. E’ la lezione degli ultimi mesi. Il russo ha diminuito sensibilmente le esportazioni rispetto alle attese (non importa qui approfondire il perché); e per compensare il gas che mancava si è scatenato un duello all’ultima nave (di Gnl) tra Europa e Asia. Che non se ne possa fare a meno oggi non significa che non ci si possa porre il problema di riuscirci domani. E se davvero il mondo ci è cambiato questa dovrebbe essere una priorità.

Fino a ieri ho sempre parlato e scritto di “mercato” del gas e depotenziato se non irriso chi ne parlava come di una creazione della politica. Con l’invasione dell’Ucraina la questione del gas diventa anzitutto politica. In forma di obbligo di disegnare/accelerare un percorso serio di limitazione dei consumi di gas in generale e di gas russo in particolare. Un percorso di decarbonizzazione e di sostituzione. Qui però inciampiamo nelle magagne della depéndance italiana della Pensione. Decarbonizzare vuole dire anzitutto per l’immediato moltiplicare la generazione elettrica rinnovabile.  Se però non riusciamo a sminare il sentiero dai veti degli enti locali c’è il rischio che non si decarbonizzi neanche a stento. Finisce che per mettere un pannello ti tocca di invocare lo stato di emergenza. Poi la sostituzione con gas non russo. E già nel pronunciare la parola mi sento addosso un’ondata di sdegno parambientalista.

Purtroppo senza gas la rete elettrica non la sappiamo bilanciare; e la Signora Gina boiler elettrico e cucina a induzione per ora se non glieli regali non se li vuol comprare; che se non vuoi chiudere l’Ilva per un po’ il gas ti serve; e così di seguito. Per alcuni anni e per alcuni settori non è pensabile farne velocemente a meno. Possiamo (dobbiamo) contenerne il consumo; ma non lo possiamo eliminare. E il non russo dove lo prendiamo? Affidarci solo al Gnl, come detto, ci farebbe correre il rischio di avvitarci in una spirale di prezzo. Anche qui il distacco non può che essere graduale. Raddoppiare il Tap potrebbe darci un primo aiuto. E poi ci sarebbe un pochettino di gas nazionale. Il governo si è dischiarato favorevole a un aumento della produzione italiana. Però in contemporanea ha mandato in scena delle norme regolamentari (il c.d. Pitesai) che non semplificano le procedure autorizzative e limitano drasticamente le nuove attività. Capisco la ritrosia a morire per Kyiv. Ma è impensabile praticare una qualche ritrosia al finanziamento dell’invasore?

Di più su questi argomenti: