Porto di Genova (foto d'archivio LaPresse)

La legge sulla concorrenza è cruciale per attrarre nuovi capitali

Marco Percoco

La riforma dovrebbe contenere interventi per sbloccare lo stallo in cui versano settori chiave della nostra economia: come le infrastrutture e i servizi di pubblica utilità

La pandemia ha reso l’opinione pubblica particolarmente sensibile e critica nei confronti della globalizzazione, ritenuta la causa della diffusione del virus su scala planetaria. Ma ben prima di questa grave crisi sanitaria, era stata l’ondata di nazionalismo politico a metterne in discussione l’impianto retorico e, soprattutto, a minacciarne l’esistenza con politiche autocratiche di gusto retrò. Benché questo dibattito sia vagamente avvincente, è necessario essere pragmatici e riconoscere che l’Italia ha bisogno dell’apertura delle frontiere, non solo perché è un paese molto attivo sui mercati internazionali per l’import e l’export di prodotti, ma anche perché ha bisogno di capitali per finanziare alcuni settori-chiave della nostra economia, quali quelli delle infrastrutture e dei servizi di pubblica utilità. La nuova Legge sulla Concorrenza dovrebbe, infatti, contenere alcuni interventi che potrebbero contribuire a sbloccare la situazione di stallo in cui versano questi comparti.

 

Le nostre vite di avidi consumatori dipendono significativamente dai servizi logistici e dall’efficienza dei porti, che accolgono gran parte della merce che importiamo e che esportiamo. Inoltre, la morfologia dell’Italia vale forse più d’ogni altra giustificazione per sostenere l’importanza economica degli scali marittimi. La riforma delle procedure di assegnazione delle concessioni, ovvero, di fatto, della possibilità per i privati di operare sui moli per la movimentazione delle merci, dovrebbe scardinare una legge medievale, che affonda le sue radici addirittura in una legge del 1937. Questa, non solo attribuisce eccessiva discrezionalità in capo alle Autorità Portuali nella selezione degli operatori, ma rende anche impossibile il consolidamento di concessioni su diversi porti, vanificando qualsiasi possibilità di efficientamento attraverso economie di scala. Le vicende tristi del Ponte Morandi e lo strascico che ha portato al passaggio del controllo di Autostrade per l’Italia da Atlantia al consorzio Cassa Depositi e Prestiti-Blackstone-Maquarie ha offuscato l’immagine dell’Italia sui mercati internazionali. Così come pure, sempre in ambito autostradale, le vicende legate alla gara per l’affidamento della A5/A21 che hanno visto la vincente ASTM esclusa per un dubbio cavillo burocratico gettano un’ombra sulla coerenza della normativa italiana con quella comunitaria. Le gare per l’affidamento dei servizi di trasporto pubblico locale e di distribuzione del gas sono ferme ormai da decenni, con buona pace delle previsioni di legge. E ancora nel settore energetico è necessario completare la liberalizzazione della vendita al dettaglio di elettricità, come pure prevedere una nuova architettura normativa per le concessioni idroelettriche.

Ma a cosa serviranno tutti questi interventi? Probabilmente, l’impatto sui consumatori sarà modesto, almeno nel breve periodo, ma garantire maggiore concorrenza in questi settori potrebbe significare una maggiore attrattività del sistema-paese nei confronti dei capitali privati, di cui abbiamo enorme bisogno, soprattutto se provenienti da investitori industriali con esperienze operative in diversi mercati e, quindi, portatori di buone pratiche internazionali. Se ciò avverrà, ci sarà la concreta speranza di un tanto agognato aumento di produttività in settori cruciali, anche per le aziende che non riceveranno nuovi capitali, ma che si troveranno a competere in mercati radicalmente mutati. In questo scenario competitivo, sarà necessario usare i golden powers con grande cautela, per non sterilizzare immediatamente un processo che rischia di essere virtuoso. 

 

Marco Percoco
Università Bocconi