Così Mps diventa una sfida per Letta

Il percorso indicato dal Mef a Mps su Unicredit e quel bivio cruciale per il leader del Pd

Stefano Cingolani

Draghi e la svolta dello stato in economia. Da Cdp a Siena. Qualcuno la rivendicherà?   

Il Monte dei Paschi di Siena si vende, i grillini devono mettersi il cuore in pace. Molto probabilmente ci sarà anche lo “spezzatino” contro il quale si erano schierati i piddini senesi e anche loro devono prendere atto della realtà. La concentrazione è inevitabile per rafforzare il sistema creditizio italiano e l’operazione Unicredit-Mps era diventata sempre più all’ordine del giorno dopo l’acquisizione di Ubi Banca da parte di Intesa Sanpaolo. Mario Draghi non si ferma e applica il suo metodo a tutto campo dalla riforma della giustizia al risiko bancario. Formalmente è il rainmaker Andrea Orcel a far piovere su Siena, tuttavia è il ministro dell’Economia Daniele Franco a gestire il dossier e ad aprire la trattativa su mandato di Palazzo Chigi. L’ad di Unicredit ha posto condizioni che possono essere onerose per l’azionista Tesoro, ma siamo solo all’inizio, ci vorranno 40 giorni per concludere la due diligence e sapere come e che cosa verrà acquisito. Tutto può ancora finir male, però a questo punto sembra molto improbabile. I contorni finanziari dell’operazione non sono ancora precisi. Sappiamo che Orcel vuole espandere Unicredit in Italia, mercato in cui la banca ha perduto colpi negli ultimi anni a favore di Intesa Sanpaolo. Con Mps l’ad conta di diventare più forte nel centro, in Lombardia e in Veneto dove, per un capriccio del destino, il banchiere si prende quel che resta dell’Antonveneta che nel 2007 alla guida della Merrill Lynch aveva fatto acquistare a Mps per 10 miliardi di euro finiti al Santander. Un eterno ritorno? 


L’operazione non deve pesare sui conti di Unicredit e non deve in alcun modo indebolire il suo capitale, ha detto l’ad e con questo argomento affronterà i fondi di investimento, grandi azionisti che si sono sempre mostrati scettici se non contrari all’acquisizione del Montepaschi. In concreto, restano fuori sia il contenzioso giudiziario sia i crediti deteriorati. Questi ultimi andranno a rimpinguare la giberna già piena di 8,1 miliardi di euro sotto forma di prestiti Mps da riscuotere ceduti all’Amco (la società di gestione posseduta dal ministero dell’Economia) guidata da Marina Natale, ex dirigente di Unicredit (ancora un curioso ritorno circolare). Quanto ai costi legali, la Fondazione Montepaschi presenta una richiesta danni per 3,8 miliardi di euro provocati, secondo l’accusa, dall’ex coppia al vertice formata da Alessandro Profumo e Fabrizio Viola. Se sarà il Tesoro a farsene carico,  l’Unione europea potrebbe aprire una procedura per aiuti di stato, un bel boomerang per i soci senesi.     Il Tesoro possiede due terzi del capitale di Mps e ha speso 6,9 miliardi di euro per la nazionalizzazione temporanea decisa nel 2017: quanto potrà incassare dalla vendita e quanto dovrà sborsare per soddisfare le condizioni di Orcel? Ci sono poi i costi sociali per gli esuberi, circa seimila impiegati considerati di troppo. La fusione porta con sé anche strascichi politici, non solo i mal di pancia toscani o le contorsioni pentastellate (il M5s voleva mettere insieme Mps e Popolare di Bari per dar vita a una banca di stato). Il presidente di Unicredit Pier Carlo Padoan si è astenuto in consiglio sul dossier Mps perché era toccato a lui, come ministro dell’Economia di Paolo Gentiloni, salvare la banca. Una volta lasciato l’incarico, era stato eletto alla Camera per il Pd nel collegio di Siena, lo stesso nel quale si presenta ora il segretario del Partito democratico Enrico Letta proprio mentre la parte buona del Montepaschi verrebbe assorbita da Unicredit e il resto sarebbe a carico dello stato. Avrà la forza Letta di rivendicare il nuovo approccio imposto da Draghi, da Cdp fino al Mef: stato fino a che si deve, mercato quando si può? A pensar male si riempiono i talk-show populisti. 

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