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Neutralità fiscale e tecnologica, la vera svolta ambientale per il Pnrr

Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro

Le principali barriere alla diffusione delle tecnologie pulite non sono finanziarie: dipendono dalla burocrazia. Non basteranno i macchinari, all'Italia occorre ripensare tutto il sistema dell’energia 

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Il premier incaricato, Mario Draghi, ha collocato l’ambiente tra le priorità del costituendo governo. Alla transizione energetica saranno dedicate un quarto delle risorse del Bilancio Ue 2021-27 e il 37 per cento di Next Generation Eu. Il nostro paese deve anche fare la sua parte per raggiungere l’obiettivo europeo di riduzione delle emissioni del 55 per cento entro il 2030. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza di dicembre riserva alla transizione energetica circa 70 miliardi di euro, di cui 7 per agricoltura sostenibile ed economia circolare, 18 alla mobilità sostenibile, 30 all’efficienza energetica e 15 alla tutela del territorio. Si tratta, in gran parte, di misure già esistenti, quali gli incentivi per la mobilità elettrica o il superbonus del 110 per cento.

 

A dispetto della retorica sulla neutralità tecnologica, si ha la sensazione di una serie di sovvenzioni ad hoc per specifiche tecnologie, ritenute ideologicamente più desiderabili. Come nel Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), presentato all’inizio dello scorso anno, manca una visione. Coi soldi si possono comprare dei macchinari, ma a noi serve ripensare tutto il sistema dell’energia. L’Italia ha nel complesso una buona performance ambientale (abbiamo raggiunto gli obiettivi 2020 su rinnovabili ed emissioni). Le principali barriere alla diffusione delle tecnologie pulite non sono di natura finanziaria: dipendono dalla farraginosità, durata e costo dei processi autorizzativi. La semplificazione è dunque la più importante politica ambientale. Quanto all’idrogeno – uno dei vettori più promettenti per l’industria e i trasporti pesanti – nel Pnrr viene accolto solo nella versione “verde”, prodotta cioè da energie rinnovabili attraverso l’elettrolisi dell’acqua. Ma questo significa ignorare le prospettive dell’idrogeno blu, ottenuto dal metano con cattura della CO2, nel quale il nostro paese ha potenziali vantaggi competitivi.

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È su questi fronti che bisogna correggere la rotta. Anziché prevedere un coacervo di sussidi, sarebbe meglio progettare gli incentivi (e ripensare la tassazione ambientale) in modo neutrale. Ciò che conta è il beneficio che ne consegue, indipendentemente dallo strumento utilizzato. Possono esserci eccezioni negli ambiti più complessi – l’efficienza energetica, la mobilità privata, alcune industrie con alti costi di riduzione delle emissioni – ma andrebbero sempre giustificate e adottate solo nella misura necessaria. Occorre anche valorizzare (e indurre) i comportamenti virtuosi dei consumatori, rafforzandone la libertà di scelta. Per questo, completare il percorso di liberalizzazione dei mercati elettrico e gas, richiesto dal Pniec e sollecitato dalla Commissione, è un tassello importante e di elevato valore segnaletico. Sarebbe assurdo se, proprio in questo momento, fosse approvato l’ennesimo rinvio, come vorrebbero alcuni emendamenti del M5s. In conclusione, mentre in altri settori il Pnrr si limita a grandi affermazioni di principio, ma manca di concretezza, qui è vero il contrario. Il piano dovrebbe “volare alto”, investendo non solo nell’hardware degli impianti, ma anche nel software delle regole.

 

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