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Ecco i resistenti

Stefano Cingolani

Dalle banche alle assicurazioni, dalla finanza alla manifattura. Altro che resilienza. Le aziende che crescono sono quelle che investono

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Un uomo di banca che percorre regolarmente l’autostrada tra Bologna e Ravenna racconta con un sospiro di speranza: “C’è una fila ininterrotta di autotreni, la prima corsia è sempre intasata, fin dal primo mattino. E siamo a gennaio. Tutto questo vorrà dire qualcosa che molto, troppo spesso non viene detta”. Un giornalista, sceso in macchina da Milano a Roma è rimasto colpito dalla vista di camion, camioncini, Tir, anche se un po’ meno numerosi di quelli che affollano la A14. “E i future dei cereali? Dacci un’occhiata”, avverte un amico che ha riscoperto la terra. Un tempo, quando i calcoli del prodotto lordo erano meno sofisticati, si guardava ai consumi elettrici al netto delle condizioni atmosferiche, al traffico merci, ai prezzi delle materie prime. Se oggi prendiamo questi indicatori parziali che cosa troviamo? Nel 2020 la domanda di elettricità, secondo i calcoli di Terna, è scesa di cinque punti percentuali mentre il pil si è ridotto del 10 per cento circa. E la media nasconde la netta ripresa nella seconda parte dell’anno.

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Un uomo di banca che percorre regolarmente l’autostrada tra Bologna e Ravenna racconta con un sospiro di speranza: “C’è una fila ininterrotta di autotreni, la prima corsia è sempre intasata, fin dal primo mattino. E siamo a gennaio. Tutto questo vorrà dire qualcosa che molto, troppo spesso non viene detta”. Un giornalista, sceso in macchina da Milano a Roma è rimasto colpito dalla vista di camion, camioncini, Tir, anche se un po’ meno numerosi di quelli che affollano la A14. “E i future dei cereali? Dacci un’occhiata”, avverte un amico che ha riscoperto la terra. Un tempo, quando i calcoli del prodotto lordo erano meno sofisticati, si guardava ai consumi elettrici al netto delle condizioni atmosferiche, al traffico merci, ai prezzi delle materie prime. Se oggi prendiamo questi indicatori parziali che cosa troviamo? Nel 2020 la domanda di elettricità, secondo i calcoli di Terna, è scesa di cinque punti percentuali mentre il pil si è ridotto del 10 per cento circa. E la media nasconde la netta ripresa nella seconda parte dell’anno.

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Per il trasporto merci il crollo provocato dal grande lockdown tra marzo e giugno non è stato recuperato in autunno ed è presto per avere dati sul primo mese del 2021, tuttavia le telecamere della “war room” nella sede della società Autostrade mostrano un flusso intenso lungo l’Adriatica, nella pianura Padana, nell’area napoletana. Quanto alle commodities sono tutte in rialzo: l’indice Bloomberg tra novembre e oggi è passato da 72 a 80. L’apologo dei camion ci invita a gettare uno sguardo dentro la notte, alla ricerca dei punti luminosi, senza farsi sopraffare dalla polemica quotidiana, dalle geremiadi mediatico-politiche, dalla litania del dolore. E mette sotto i nostri occhi una partita a scacchi che ricorda il “Settimo sigillo”, il film di Ingmar Bergman: Antonius, il cavaliere che s’immola, ma prima inganna la Morte per salvare la famigliola di saltimbanchi, può diventare il simbolo di una Italia che non accetta di essere sconfitta dal declino. Molti segnali vengono dall’alchemico mondo dell’economia dove l’utile del fornaio cuoce il pane per tutti: dalle banche alle assicurazioni, dalla finanza alla manifattura, dal sempre più diffuso universo digitale ai supermercati. Resilienza? Anche, ma soprattutto resistenza, in attesa del rilancio; le tre R alle quali si affida il meglio del paese, governo o non governo, elezioni o non elezioni, ma soprattutto a dispetto della pandemia.

 

A dominare l’anno è senza dubbio la corsa al digitale che ha prodotto un balzo delle aziende high tech. Segue la logistica anch’essa sempre più integrata con l’ecommerce. Il mercato del cloud vale in Italia 3,34 miliardi di euro, con una crescita del 21 per cento rispetto al 2019, mentre 42 piccole aziende su 100 sono entrate nella nuvola digitale. Le imprese di minori dimensioni si affidano a provider esterni con un giro d’affari da due miliardi di euro. L’affitto di porzioni di server ad uso esclusivo presso fornitori esterni, chiamato hosted cloud, è salito dell’11 per cento (vale 732 milioni di euro), mentre il mercato tende ad articolarsi ormai attorno a piattaforme tecnologiche le quali fanno da pivot per reti di imprese articolate e diffuse, sia piccole sia grandi. Il secondo boom coinvolge il risparmio gestito. Hanno ottenuto aumenti record nel 2020 società come Anima (+88 per cento), Azimut (+16 per cento), Banca Mediolanum (+39 per cento), Banca Generali (+21 per cento), Finecobank (+31 per cento). E non è un accidente. Il risparmio delle famiglie è cresciuto in modo consistente rispetto al 2019, i conti correnti si sono arricchiti di 126 miliardi di euro, raggiungendo quasi i duemila miliardi, ma anche il reddito medio disponibile ogni mese è salito da 2.157 a 2.329, secondo l’indagine di Intesa e Centro Einaudi, smentendo così letture pauperistiche della crisi. La ricchezza finanziaria media è pari a 116 mila euro a testa (4,1 volte il reddito mentre era pari a 3,9 nel 2019), quella immobiliare è stimata in 162 mila euro; ne deriva una ricchezza complessiva per intervistato di 278 mila euro, in aumento di 8 mila euro rispetto alla stima del 2019. La finanza tanto demonizzata è un vaccino economico notevole. Chi si è quotato in Piazza degli Affari ha aumentato i profitti lordi del 12 per cento in media dal debutto sul listino. Le aziende familiari che hanno aperto al capitale finanziario ai privati hanno visto salire i guadagni. Val la pena ricordarne alcune.

 

Dall’anno di ingresso dei fondi, il margine operativo lordo di Azimut Benetti è aumentato del 32,3 per cento l’anno, quello della Celli del 47,8 per cento, Intercos del 21,5 per cento; altre come Flos, Duplomatic e Forno d’Asolo si sono fermate ai pur rilevanti incrementi dell’8,7 per cento e del 7 per cento. I fondi di private equity, cioè quelli che intervengono sulla proprietà, hanno realizzato 65 operazioni; 18 hanno visto trasferire una minoranza, con denari di investitori istituzionali al servizio di imprenditori con piani di crescita. E’ il caso di Mbe Worldwide che possiede il marchio Mail Boxes Etc (Mbe): il fondo ha rilevato il 49 per cento della società con un aumento di capitale di 100 milioni di euro. In Demetra Holding, eccellenza nel settore delle resine per ortopedia e nei biomateriali, il fondo francese Keensight Capital ha aumentato al 30 per cento la sua quota del 20 per cento. Il bolognese GVS Group, uno dei maggiori produttori mondiali di filtri e componenti per applicazioni nei settori medicale, laboratorio, automobilistico, ha raccolto 570 milioni per il 40 per cento del capitale. A dispetto dei luoghi comuni sovranisti e delle pulsioni protezionistiche, molte imprese italiane si stanno rilanciando proprio grazie ai loro investimenti all’estero.

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Prima gli italiani? Forse, ma possibilmente primi (o tra i primi) in Asia e in Cina dove hanno fatto il pieno l’anno scorso piccole e medie aziende; ne citiamo due a mo’ d’esempio: la Omet Mechanical Technology e la Faist (ricambi d’auto). L’automobile ha trainato la crescita durante il governo Renzi, ma la pandemia l’ha messa a terra. E tuttavia proprio la profondità della crisi ha dato risalto alla distruzione creatrice. E’ in corso una trasformazione i cui effetti si vedranno nel prossimo futuro, con una buona dose di azzardo e di coraggio. La nascita di Stellantis con le nozze tra Fca e Psa, è un segnale rilevante, ma certo non l’unico. In Italia si calcola una sessantina di fusioni e acquisizioni nel 2020, meno del 2019, tuttavia spesso rilevanti e di portata strategica. Tra le dieci maggiori operazioni hanno fatto notizia soprattutto Inwit-Vodafone Towers (5,3 miliardi) e Intesa-Ubi (4 miliardi).

 

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Quindici aziende familiari hanno concluso accordi per 3,3 miliardi di euro; val la pena riportare qualche nome eclatante come Menarini che ha speso 600 milioni per l’americana Stemline Therapeutics; Ferrero che si è comprata i biscotti inglesi Fox’s per 270 milioni; Angelini che ha rilevato ThermaCare da Gsk negli Usa per 190 milioni; Mediolanum Farmaceutici che ha preso la francese ElsaLys Biotech; Barilla che ha infornato la pasta Zara (118 milioni); Campari con la tripletta italo-francese di vini e champagne Tannico-Baron de Rothschild-Lallier (132 milioni). Adler Pelzer, l’azienda campana di componentistica auto con un fatturato di circa 1,4 miliardi di euro, ha acquisito la divisione Acoustic di STS con 5 stabilimenti, tre in Italia, uno in Brasile e uno in Polonia. Amplifon ha inglobato l’australiana Attune Hearing Pty Ltd.; F.I.L.A. (quella delle matite) ha acquistato il ramo d’azienda Arches del gruppo Ahlstrom-Munksjö, in Francia, per 40 milioni di euro. La reggiana Cellular Italia ha comprato la svizzera WorldConnect. Supermercato 24 ha acquisito la polacca Szopi, diventando il primo caso di espansione nel mercato della spesa digitale. La Bip nel 2020 ha portato a termine l’acquisizione di Chaucer, società inglese di consulenza. Nel bel mezzo della recessione ha preso lena la corsa a sostenere le imprese familiari.

 

Le grandi famiglie del capitalismo italiano sono in via di estinzione? E’ vero, ma piccole famiglie crescono e hanno bisogno di essere sostenute. La stessa Mediobanca già ostello dei Pirelli, dei Pesenti, degli Agnelli, ha scelto di diventare il supporto per i gruppi che hanno bisogno di capitali, di tecnologie, di una gestione meno casalinga, di una dimensione davvero internazionale. E non c’è solo la banca fondata da Enrico Cuccia, ma anche la “banca di stato”, ovvero la Cassa depositi e prestiti, così come il fondo privato di Gianni Tamburi. Lavazza, Manuli, Lunelli, Branca, Domenichini, Dompé, Luti, Vacchi, Rosso, Ruffini, Zucchetti: abbiamo messo insieme imprenditori vecchi e nuovi, a parte quelli già ricordati, che si sono rimboccati le maniche e stanno usando la crisi come momento propizio per riposizionarsi. “La pandemia ha obbligato l’industria a lavorare meglio”, riconosce Patrizio Bertelli, marito di Miuccia Prada, alla guida del gruppo che ha raggiunto un fatturato da tre miliardi di euro. In una intervista al Sole 24 Ore, senza negare la gravità della crisi (144 negozi sono chiusi) si dichiara fiducioso: marzo sarà un mese fondamentale, tutto dipende se finiranno allora i lockdown pesanti in Europa e da quel che accadrà in Cina e negli Stati Uniti.

 

Intanto, spiega, “ci siamo concentrati sui costi, cercando di non gravare sui dipendenti. Ad esempio abbiamo ridotto il costo delle collezioni del 50 per cento, diminuendo i prototipi e facendo molte più simulazioni digitali. Anche i fornitori hanno fatto la stessa cosa: non usare la leva della cassa integrazione, ma dell’organizzazione del lavoro”. Un messaggio importante anche per chi fa politica. I contrasti sui licenziamenti non promettono nulla di buono. Quanto può durare il blocco? E per chi? Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri vuole entrare nel merito, soppesare chi può reggere, chi no, e chi può espandersi. Occorre rivedere gli ammortizzatori sociali e avviare una politica attiva del lavoro, quella che è sempre mancata in questi anni; il piano per la ripresa offre le risorse e l’occasione per farlo. Ma non c’è consenso. Maurizio Landini, segretario della Cgil, spinge per un blocco generalizzato e di fatto illimitato, a meno che non venga ripristinato l’articolo 18, il tabù abbattuto dal governo Renzi. E su questo ha l’appoggio dei grillini. E’ il sapore stantio dell’antico che intossica il presente e ipoteca il futuro.

 

 

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