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il foglio del weekend

Una montagna di problemi

Stefano Cingolani

Catalogo dei nodi più aggrovigliati che il futuro governo dovrà sciogliere. Da Autostrade alle banche all’Alitalia

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“Questo è un nodo avviluppato / Questo è un gruppo rintrecciato / Chi sviluppa, più inviluppa / Chi più sgruppa, più raggruppa…”. 
Gioachino Rossini
“La Cenerentola”

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“Questo è un nodo avviluppato / Questo è un gruppo rintrecciato / Chi sviluppa, più inviluppa / Chi più sgruppa, più raggruppa…”. 
Gioachino Rossini
“La Cenerentola”

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Il Conte Uno ha passato al Conte Due meglio noto come Bis-Conte una serie di grovigli che, avrebbe detto il sontuoso musicista pesarese, sono rimasti avviluppati. Adesso, con i fili sempre più ingarbugliati perché nel frattempo si sono aggiunti altri nodi, toccherà al prossimo governo sbrogliare la matassa. C’è davvero “da delirar” come don Magnifico, perché le grandi partite che coinvolgono l’economia reale e gli equilibri del potere non verranno risolte presto né facilmente. Molti, troppi giochi sono stati aperti, e nessuno ha trovato ancora la loro soluzione.

 

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Alitalia

O forse Ita. Ma chi la conosce questa Ita che deve muovere i primi passi? Il Bis-Conte l’ha fornita di una dote niente male, ben 3 miliardi euro. Mentre la vecchia società non ha i soldi per pagare gli stipendi, la nuova nasce con il cucchiaio d’oro in bocca. Intanto arriva l’ultima tegola da Bruxelles. I servizi tecnici della direzione generale per la concorrenza, insomma l’antitrust della Ue che fa capo alla solita Margrethe Vestager, chiedono chiarimenti sulla discontinuità. Cioè Ita non deve essere una mascheramento della solita Alitalia. Parlare di chiarimenti è paradossale, perché si tratta di un centinaio di questioni alle quali debbono rispondere il presidente Francesco Caio e l’amministratore delegato Fabio Lazzerini che a loro volta avevano inviato prima di Natale il piano industriale. Ita avrebbe una taglia inferiore alla vecchia casa madre (circa la metà) con una cinquantina di velivoli, cinquemila dipendenti e due società controllate una per i servizi di terra e l’altra per la manutenzione. La commissione Ue vorrebbe, però, che siano vendute a terzi, che venga indetta un’asta per Millemiglia e siano ceduti alcuni slot non secondari. Più altre 97 altre obiezioni. Buon 2021.

 

Autostrade

 Se il dopo Alitalia è incerto, il dopo Atlantia non è ancora cominciato. Sembra strano visto che da mesi il governo annuncia l’uscita dal tunnel. Ma la verità è che dalla revoca (alias esproprio) di toninelliana memoria siamo arrivati allo stallo. Alla fine di dicembre Atlantia ha respinto l’offerta della Cassa depositi e prestiti per acquistare l’88 per cento di Aspi (Autostrade per l’Italia): sarebbe di 7,5 miliardi di euro secondo alcune indiscrezioni, “troppo bassa” per i Benetton e comunque non vincolante. Nei giorni scorsi è saltato fuori che la Cdp potrebbe entrare in Atlantia. Un’altra ipotesi, una falsa pista o la mossa del cavallo? Apprezziamo la prudenza dei vertici, l’amministratore delegato Fabrizio Palermo, nominato dal Conte Uno, e Giovanni Gorno Tempini, il presidente espresso dalle fondazioni di origine bancaria. I miliardi non sono noccioline e si tratta di soldi pubblici. Si attende entro il mese una nuova offerta, ma a questo punto non resta che vedere chi sederà al ministero dello sviluppo e a quello dei trasporti.

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Bollorè

Una tegola dopo l’altra; ce ne sono così tante nel paese dove fioriscono i limoni e pullulano i borghi antichi. Questa volta ha colpito Vincent Bolloré ed è stata lanciata dalla magistratura come regalo di Natale. La procura di Milano, infatti, ha messo sotto inchiesta il finanziere francese e Arnaud de Puyfontaine (insomma il patron di Vivendi e il capo azienda) per manipolazione del mercato e ostacolo alla vigilanza. Nel 2016, anno che sembra ormai lontano mezzo secolo, con una mano firmavano l’acquisto di Mediaset Premium mentre con l’altra scalavano (sborsando 1,2 miliardi di euro), la creatura di Silvio Berlusconi che tutti i governi da Massimo D’Alema nel lontano 1999 in poi hanno definito “un patrimonio nazionale”. Vivendi minimizza, ma è un nuovo ostacolo proprio adesso che l’alta corte europea ha dato via libera al gruppo francese mandando addirittura in soffitta la legge Gasparri. Infatti, alle prossime assemblee Vivendi potrà presentarsi come il primo azionista di Tim e il secondo di Mediaset. I governi Conte sono stati ostili a Vivendi mentre tra le forze politiche italiane è maturata una evidente francofobia. A novembre è stata introdotta nel quarto decreto ristori una pillola avvelenata che affida all’Agcom (l’autorità di controllo delle comunicazioni) di bloccare almeno per sei mesi operazioni potenzialmente ostili. A dicembre la Ue l’ha stoppata definendola “potenzialmente inapplicabile”.

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Cdp

Sono stati due anni da leoni per la Cassa depositi e prestiti sulla quale hanno messo gli occhi i grillini prendendo in contropiede Matteo Salvini incerto tra il neo-statalismo protezionista e la pressione privatistica del suo popolo, quello delle partite Iva. Il factotum della città (o meglio della nazione) è stato tirato in ballo per l’Alitalia e per l’Ilva, per le autostrade (come abbiamo visto) e per la società della Borsa. “La Cdp è sempre più strategica”, questo il motto pentastellato. Un po’ Iri, un po’ Gepi, un po’ capitalismo di stato un po’ ospedale. E intanto i rumori fuori scena parlano di un cambio al vertice con Domenico Arcuri al timone se Palermo andrà in Unicredit. 

 

Crediti

Parliamo di quelli deteriorati o marci che dir si voglia, i non performing loans per i puristi dell’anglofinanza. Secondo l’agenzia di rating Standard & Poor’s raddoppieranno raggiungendo i 200 miliardi di euro. Un bel problema per le banche, anche se oggi sono più solide e si è strutturata una vera e propria industria che occupa ottomila impiegati ed è intervenuta su un ammontare di npl pari a 230-240 miliardi di euro. Il governo ha contribuito in modo non indifferente, grazie agli incentivi alla cessione e con l’intervento diretto della agenzia che fa capo al Tesoro, la Amco. Ma non bisogna dimenticare che anche le banche italiane con un robusto patrimonio vanno sul mercato con appena tre B in pagella, un rating che non le mette affatto al sicuro. E’ il debito dell’Italia a essere classificato BBB, un fardello che si scarica anche sulle banche e sulle imprese. E poi B&B (Bagnai & Borghi) dicono che non conta, che basta stampare moneta. Tra chiaro e scuro, tutto è soggetto alla pandemia. Una seconda recessione dopo la seconda ondata sarebbe micidiale.

  

Ilva

L’acciaio di stato, riesumato tra le rovine di Taras in seguito agli scavi della formidabile équipe formata da pentastellati e magistrati (con il coordinamento sapiente di Michele Emiliano), è alla prova del nove. Nei prossimi mesi occorre gestire la cassa integrazione che riguarderà un’ampia fetta dei 10.700 dipendenti, destinata a rimanere fuori per alcuni anni secondo l’accordo del 10 dicembre scorso tra il governo e la Arcelor Mittal. C’è il rischio che rallenti la “svolta green” ancora tutta da costruire con un forno elettrico da 2,5 milioni di tonnellate di acciaio (rispetto ai 6 milioni precedenti). Per ora di concreto c’è solo l’operazione politico-finanziaria che ha portato Invitalia, la holding del Tesoro, a entrare nel capitale con 400 milioni di euro più 680 milioni l’anno prossimo per raggiungere un maggioranza del 60 per cento. Dal sequestro del 2012 è andato in fumo l’1,35 del prodotto lordo, pari a 23 miliardi di euro, secondo i calcoli dello Svimez. 

  

Mediaset

La crisi politica può essere una trappola o un’opportunità per il gruppo televisivo di Berlusconi. La trappola si apre se viene chiuso l’ombrello offerto dal Bis-Conte per proteggere Mediaset da Bolloré o comunque da qualsiasi operazione ostile. Il rischio esiste soprattutto per via dell’anti-berlusconismo grillino finora tenuto a bada dal Pd e dall’equilibrio che il presidente del Consiglio voleva mantenere tra le diverse anime della coalizione giallo-rossa, come condizione della sua stessa esistenza. L’opportunità si presenta se, arrivati alle elezioni anticipate, vincerà un centrodestra con Berlusconi come punto di equilibrio. Sembra un ragionamento da politique politicienne? La televisione in Italia (e non solo, basti pensare alla Francia o agli Stati Uniti) è politico-dipendente; la Rai, ovviamente, ma anche quella privata. La fine della legge Gasparri è un liberi tutti che va nel breve periodo a vantaggio di Mediaset che si candida a entrare anche nella perigliosa partita della rete internet. Prima, però, bisogna scogliere il più intrecciato di tutti gli intrecci, il cui nodo risolutore resta in mano a Bolloré.

  

Mediobanca

Nel gruppo raggruppato c’è anche la banca fondata da Enrico Cuccia al cui interno per la prima volta è arrivato un azionista di riferimento, un imprenditore privato che possiede il 12 per cento del capitale ed è autorizzato dalla Bce ad arrivare fino al 20 per cento. Parliamo di Leonardo Del Vecchio il quale, rovesciati a suo favore gli equilibri in Essilux (il matrimonio italo-francese tra Luxottica e Essilor) si dedicherà a consolidare la sua presa e, magari, cambiare anche la plancia di comando, con effetti a cascata anche sulle Assicurazioni Generali delle quali Del Vecchio possiede il 4,84 per cento (Mediobanca è l’azionista di riferimento con il 13 per cento e il potere di nominare i vertici). Il re degli occhiali è decisamente un conservatore, ma i nazional-populisti gli hanno imposto lo stigma di amico dei francesi, lo hanno criticato per la sua residenza a Montecarlo e le sue società in Lussemburgo. Nel frattempo, agli attuali vertici di Mediobanca viene rimproverato di aver appoggiato Bolloré nella scalata a Mediaset nonostante la Fininvest di Berlusconi sia nel patto di sindacato con il 2 per cento. Tra l’incudine e il martello, è chiaro che la politica avrà una voce rilevante nella definizione dei prossimi equilibri. In via dei Filodrammatici (l’originario indirizzo) parlano inglese, ma pensano in Italiano. 

 

Mps

Al Montepaschi, invece, non c’è verso: vogliono parlare senese. Conte si è impegnato con l’Unione europea a vendere entro l’anno prossimo. Ma le manovre per pilotarla verso la Unicredit si sono incagliate, intanto i vertici del Monte vanno avanti come se niente fosse. Avanti è dir troppo perché il piano presentato dall’amministratore delegato Guido Bastianini prevede ancora conti in rosso per oltre mezzo miliardo di euro in questo terribile 2021 (dopo il buco di oltre un miliardo l’anno scorso), un taglio di 2.760 dipendenti (900 dei quali a Siena) e un contenimento di tutti i costi per rispettare, sia pur di poco, i requisiti minimi di capitale. Il deficit patrimoniale, comunque, è consistente e richiede un aumento di capitale di circa 2,5 miliardi di euro. L’azionista Tesoro ha dato una mano sia assorbendo npl per 7,5 miliardi di euro, sia facendo passare una norma grazie alla quale è possibile convertire in crediti d’imposta le imposte differite sulla cessione dei crediti. Ma Pantalone dovrà pagare e non poco, anche per questo spinge per la vendita che non piace né ai pentastellati i quali vorrebbero un matrimonio con la Popolare di Bari, né al sistema Siena. Bastianini pattina sul ghiaccio sottile e, pur senza sfidare il ministro Gualtieri, cerca di accontentare sia il M5s che lo ha nominato, sia i poteri senesi.

 

Stellantis

E la politica fa irruzione anche in quello che sarà il quarto gruppo mondiale dell’automobile. Il governo francese con la sua banca Bpi possiede il 6,2 per cento del nuovo colosso, è una eredità che Peugeot porta con sé, ma Parigi non ci ha davvero rinunciato. E perché non Roma, siamo à la guerre comme à la guerre? Al grido di dolore che s’alza dalle periferie nazional-populiste si è aggiunto persino Romano Prodi: il governo italiano deve sedere al tavolo, con un suo pacchetto di azioni e un posto, uno vero, non uno strapuntino, in cda. Ci sono due sindacalisti, può starci anche un emissario del Tesoro. Sembra equo, in realtà è un mezzo di pressione su John Elkann presidente e, con la Exor, principale azionista. Bisogna tutelare le aziende italiane (Fca è pur sempre la prima impresa manifatturiera), ma l’ipoteca politica diventa davvero pesante.

  

Tim

Un fardello che grava anche sull’altro grande gruppo privato (almeno formalmente) la cui sorte è appesa a due incognite: le mosse di Vivendi che con il 24 per cento del capitale è di gran lunga il primo azionista e la sorte di Open Fiber la joint venture paritetica tra Enel e Cdp voluta da Matteo Renzi per mettere sotto scacco proprio Vivendi. C’è questa partita doppia dietro la “rete unica”, una formula, o meglio un mantra, che tutti ripetono senza chiedersi che cosa significa in concreto. Aprile sarà anche per Tim il mese più crudele, si vedrà se Luigi Gubitosi resterà amministratore delegato e se riuscirà a decollare il piano che ha portato a scorporare la rete secondaria (quella che arriva dalle centraline alle case) in una società collegata. 

 

Unicredit

Il totonomine ormai ha contagiato il Financial Times che ha lanciato la sua sarabanda di nomi in cima alla quale c’è Andrea Orcel, italiano, ma già al vertice di banche internazionali come Merrill Lynch e Ubs (doveva guidare il Banco Santander, ma è stato bloccato perché ufficialmente “troppo caro”). Mercoledì scorso il consiglio di amministrazione della banca ha espresso la volontà di chiudere entro il 10 febbraio, sei giorni prima del martedì grasso, ora la crisi di governo rischia di complicare tutto perché, inutile girarci attorno, il successore di Jean Pierre Mustier è strettamente legato al diktat politico di affibbiare Mps a Unicredit. Mustier non voleva, la maggior parte del consiglio neppure, ma il ministro dell’Economia l’ha messa giù dura. Il presidente uscente Cesare Bisoni assicura che non verrà mai accettata una operazione contraria agli interessi degli azionisti. Eppure, quanti “mai” sono passati sotto i ponti? Il nuovo presidente è Pier Carlo Padoan che siede già in consiglio e come ministro dell’economia ha nazionalizzato “pro tempore” il Montepaschi. Un ruolo attivo lo sta giocando Leonardo Del Vecchio socio e cliente eccellente della Unicredit. Ha contattato le fondazioni di Verona e Torino per creare un nocciolo duro italiano che porti al comando un capo azienda tricolore di loro gradimento: insieme possono contare sul 5 per cento circa del capitale, tanto quanto BlackRock, il fondo americano primo azionista. Nel catalogo mediatico, lungo quanto quello di Leporello, c’è anche Alberto Nagel, ma Del Vecchio che non è in sintonia con lui in Mediobanca lo accetterebbe in Unicredit? Anche questo è un bel nodo avviluppato. Chissà chi tirerà i fili quando arriverà il mercoledì delle ceneri.

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