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La lettera

Lo stato imprenditore in mano al centrosinistra è un guaio per l’Italia

Paolo Cirino Pomicino

Perché il nostro sistema bancario è passato dal pubblico al privato. E ora, confuso, fa dietrofront

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Al direttore - Nei giorni scorsi con una precisione invidiabile l’ottimo Stefano Cingolani ha voluto ricordare da queste colonne la evoluzione del nostro sistema bancario che in 25 anni è passato quasi tutto dalle mani pubbliche a quelle private. Cingolani non ha ricordato le ragioni politiche che furono dietro questa trasformazione del nostro sistema sol perché aveva giustamente a cuore sottolineare lo sforzo comune che oggi devono fare i regolatori (Bce, vigilanza bancaria, Bankitalia) i vertici bancari, il ministero del tesoro e l’intero governo per far fronte alle tensioni finanziarie che si presenteranno nei prossimi due o tre anni. Noi vorremmo cogliere l’occasione di quella splendida carrellata per aggiungere alcune note.

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Al direttore - Nei giorni scorsi con una precisione invidiabile l’ottimo Stefano Cingolani ha voluto ricordare da queste colonne la evoluzione del nostro sistema bancario che in 25 anni è passato quasi tutto dalle mani pubbliche a quelle private. Cingolani non ha ricordato le ragioni politiche che furono dietro questa trasformazione del nostro sistema sol perché aveva giustamente a cuore sottolineare lo sforzo comune che oggi devono fare i regolatori (Bce, vigilanza bancaria, Bankitalia) i vertici bancari, il ministero del tesoro e l’intero governo per far fronte alle tensioni finanziarie che si presenteranno nei prossimi due o tre anni. Noi vorremmo cogliere l’occasione di quella splendida carrellata per aggiungere alcune note.

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Prima questione. La presenza dello stato nel capitale del Monte dei Paschi di Siena ha riacceso il dibattito tra la presenza pubblica e quella privata nel sistema bancario. Una sciocca e banale ripetitività da parte di quanti vedono nella presenza pubblica una sorta di demone distruttivo. Solo per onore della verità va ricordato che tutti gli scandali bancari di questi ultimi anni si sono verificati in banche private ma questo non ci fa dire certo che le banche devono essere tutte pubbliche. Veniamo da una cultura che ha saputo nel tempo con banche pubbliche far crescere eccellenze private nella economia reale e nello stesso settore degli intermediari finanziari così come oggi vediamo grandi banche private come Intesa San Paolo o medie a cominciare dalla Bper o mediopiccole come la popolare del Lazio e così come tante altre capaci di coniugare sostegno all’economia reale e conti in ordine. C’è il privato buono è quello cattivo così come c’è una presenza pubblica utile o dannosa.

 

Seconda questione. In Germania e in Francia, così come anche in Gran Bretagna, la presenza pubblica nel sistema bancario è forte ed è aumentata dopo la crisi del 2008. Ad oggi gli attivi bancari in Germania sono per oltre il 51% pubblici mentre in Francia superano il 20% ma la crisi del 2008 ha portato nazionalizzazioni bancarie anche in gran Bretagna a cominciare dalla Bank Royals Scotland e in Olanda due delle quattro banche sistemiche sono nazionalizzate a cominciare dalla famosa Abn Amro.

 

Terza questione. In un mondo non solo globalizzato ma innanzitutto finanziarizzato se uno stato non ha in proprio strumenti finanziari di mercato con i quali poter intervenire all’occorrenza finisce per essere un vaso di coccio tra i vasi di ferro e nessuno si permette oggi di dire che Germania, Francia ed Olanda sono paesi statalisti. E non lo dicono neanche quelli che tra noi vorrebbero che lo Stato italiano vendesse il 68% di MPS invece di puntare, come noi speriamo, in una fusione con Unicredit lasciando il tesoro come uno dei tanti azionisti nella nuova banca post-fusione.

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Ultima annotazione. Lo stato è rientrato nell’Ilva al 50% con Invitalia e probabilmente rientrerà nell’acciaieria di Piombino. E’ in trattativa per rientrare in possesso della società autostrade e come abbiamo detto ha il controllo di MPS ed è presente con il 10% in quella Telecom che vendette a prezzi stracciati nel 1998 e si appresta ad essere minoranza-maggioranza nella newco “fibercop” costituita da Telecom per installare la banda larga in tutto il paese. Quest’ultimo ingresso lo fa inspiegabilmente con un soggetto finanziario come CDP invece che con un soggetto industriale come l’Enel costretto a vendere la propria quota di Open fiber al fondo australiano Macquarie.

 

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Insomma l’Italia confusa di oggi si impoverì negli anni novanta di realtà eccellenti e ora sta ricomprando tutto ciò che gli restituiscono i vecchi compratori. Chi sbagliò ieri è lo stesso soggetto che oggi fa il contrario: il centrosinistra. Certo, gli uomini sono diversi ma la confusione politica di oggi sembra pari alla subalternità a interessi corposi che ieri costrinsero il “nuovo” che avanzava a svendere senza reciprocità internazionale le eccellenze del paese. Un paese che in 25 anni è cresciuto in media dello 0,8% annuo, ha visto quasi raddoppiata la povertà e la disoccupazione e ha triplicato in valore assoluto il proprio debito pubblico e rischia di avviarsi a un grande disastro finanziario di qui a qualche anno. Forse sarebbe il,caso di discuterne anche con iniziative parlamentari ricognitive autonome dal governo in carica prima che una nuova tempesta finanziaria ed economica ci arrivi addosso all’improvviso.

 

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