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L'INTERVENTO

Demonizzare lo stato

Paolo Cirino Pomicino

Mps, Ilva, Telecom. Qualcosa non torna se oggi l’Italia ricompra ciò che aveva venduto negli anni 90

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Nei giorni scorsi, con una precisione invidiabile, l’ottimo Stefano Cingolani ha voluto ricordare da queste colonne l’evoluzione del nostro sistema bancario che in 25 anni è passato quasi tutto dalle mani pubbliche a quelle private. Cingolani non ha ricordato le ragioni politiche che furono dietro a questa trasformazione del nostro sistema bancario solo perché aveva giustamente a cuore sottolineare lo sforzo comune che oggi devono fare i regolatori (Bce, vigilanza bancaria, Bankitalia) i vertici bancari, il ministero dell’Economia e l’intero governo per fare fronte alle tensioni finanziarie che si presenteranno nei prossimi due o tre anni. Noi vorremmo cogliere l’occasione di quella splendida carrellata di Cingolani per aggiungere alcune note che riteniamo utili per il futuro del nostro paese e per non continuare a sbagliare. Prima questione. La presenza dello stato nel capitale del Monte dei Paschi di Siena ha riacceso il dibattito tra la presenza pubblica e quella privata nel sistema bancario. Una sciocca e banale ripetitività da parte di quanti, politici, giornalisti e opinionisti di varia natura, vedono nella presenza pubblica una sorta di demone distruttivo. Solo per onore della verità, va ricordato che tutti gli scandali bancari di questi ultimi anni si sono verificati in banche private, ma questo non ci fa dire certo che le banche devono essere tutte pubbliche.

 

Veniamo da una cultura che ha saputo nel tempo, con banche pubbliche, fare crescere eccellenze private nell’economia reale e nello stesso settore degli intermediari finanziari. Così come oggi vediamo grandi banche private come Intesa Sanpaolo o medie a cominciare dalla Bper o medio-piccole come la Popolare del Lazio – e così come tante altre – capaci di coniugare sostegno all’economia reale e conti in ordine. Non diciamo niente di nuovo se confermiamo una verità vecchia come il mondo e cioè che in ogni settore c’è il privato buono è quello cattivo così come una presenza pubblica utile o dannosa. Seconda questione. In Germania e in Francia, così come anche in Gran Bretagna, la presenza pubblica nel sistema bancario è molto forte ed è ulteriormente aumentata dopo la crisi del 2008. A oggi gli attivi bancari in Germania sono per oltre il 51 per cento pubblici, mentre in Francia superano il 20 per cento, ma la crisi del 2008 ha portato nazionalizzazioni bancarie anche in Gran Bretagna, a cominciare dalla Royal Bank of Scotland, e in Olanda, dove due delle quattro banche sistemiche sono nazionalizzate a cominciare dalla famosa Abn Amro. Terza questione. In un mondo non solo globalizzato ma innanzitutto finanziarizzato se uno stato non ha in proprio strumenti finanziari di mercato con i quali potere intervenire, all’occorrenza finisce per essere un vaso di coccio tra i vasi di ferro e nessuno si permette oggi di dire che Germania, Francia e Olanda sono paesi statalisti. E non lo dicono neanche quelli che tra noi vorrebbero che lo stato italiano vendesse il 68 per cento di Mps invece di puntare, come noi speriamo, in una fusione con Unicredit lasciando il Tesoro come uno dei tanti azionisti nella nuova banca post-fusione.

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Ultima annotazione. Lo stato italiano è rientrato nell’Ilva al 50 per cento con Invitalia e probabilmente rientrerà nell’acciaieria di Piombino venduta qualche tempo fa agli indiani di Jindal South West. E’ in trattativa serrata per rientrare in possesso della società Autostrade e come abbiamo detto ha il controllo di Mps ed è presente con il 10 per cento in quella Telecom che vendette a prezzi stracciati nel 1998 e si appresta a essere minoranza-maggioranza nella newco FiberCop costituita da Telecom per installare la banda larga in tutto il paese. Quest’ultimo ingresso avviene inspiegabilmente con un soggetto finanziario come la Cdp invece che con un soggetto industriale come l’Enel, costretto a vendere la propria quota di Open Fiber al fondo australiano Macquarie. Insomma, l’Italia confusa di oggi si impoverì negli anni Novanta di realtà eccellenti e passo dopo passo sta ricomprando tutto ciò che gli restituiscono oggi i vecchi compratori. Chi sbagliò ieri è politicamente lo stesso soggetto che oggi fa il contrario, e cioè il centrosinistra. Certo, gli uomini sono diversi ma la confusione politica di oggi sembra pari alla subalternità agli interessi corposi che ieri costrinsero il “nuovo” che avanzava a svendere senza alcuna reciprocità internazionale le eccellenze produttive e finanziarie del paese. Un paese che in 25 anni è cresciuto in media dello 0,8 per cento annuo ha visto quasi raddoppiata la povertà e la disoccupazione, ha triplicato in valore assoluto il proprio debito pubblico e rischia di avviarsi a un grande disastro finanziario di qui a qualche anno. Forse sarebbe il caso di discuterne rapidamente e approfonditamente anche con iniziative parlamentari ricognitive autonome dal governo in carica, prima che una nuova tempesta finanziaria ed economica ci arrivi addosso all’improvviso.

 

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