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L’accordo Invitalia-ArcelorMittal sull’Ilva tra narrazione e realtà

Annarita Digiorgio

Qualcosa non torna nelle dichiarazioni di Arcuri e del governo sul piano industriale “green” e sugli 1,8 miliardi di investimenti

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Per il commissario e ad di Invitalia Domenico Arcuri, intervistato dal Corriere della Sera, “ArcelorMittal è un interlocutore duro, ma serio. Rigoroso ma corretto”. E a contestare il nuovo accordo Ilva sono invece “i detrattori e i loro di sensi di colpa”. Non la pensano così sindacati, Confindustria, operai e fornitori che da quando è arrivata l’ad Lucia Morselli lamentano l’interruzione dei rappporti sindacali, fatture inevase, operai licenziati senza motivo e aziende messe in black list alla prima richiesta di pagamento.

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Per il commissario e ad di Invitalia Domenico Arcuri, intervistato dal Corriere della Sera, “ArcelorMittal è un interlocutore duro, ma serio. Rigoroso ma corretto”. E a contestare il nuovo accordo Ilva sono invece “i detrattori e i loro di sensi di colpa”. Non la pensano così sindacati, Confindustria, operai e fornitori che da quando è arrivata l’ad Lucia Morselli lamentano l’interruzione dei rappporti sindacali, fatture inevase, operai licenziati senza motivo e aziende messe in black list alla prima richiesta di pagamento.

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Del nuovo accordo si sono viste solo le slide, essendo segreto. Al pari del precedente che alla fine fu reso pubblico tramite visura camerale dall’allora senatore dissidente grillino e ora sottosegretario di governo Mario Turco. Ciò che sappiamo trapela da tre diversi comunicati diramati dopo la firma del 10 novembre, ognuno che tira acqua al proprio mulino. La nota congiunta dei ministri Patuanelli e Gualtieri esalta l’acciaio verde e quindi non cita l’afo5 che ne smentisce la narrazione green; il comunicato di Invitalia evidenzia i costi dell’operazione; mentre la nota di ArcelorMittal riprende le sospensive necessarie per concludere l’acquisto, tra cui, cose non proprio scontate, il dissequestro dell’area a caldo e la non modifica del piano ambientale.

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Questo ricordiamo è ancora oggetto di un ricorso al Tar presentato nel 2017 dalla regione Puglia, e fino ad allora rappresentava l’unica sospensiva al contratto. Nel 2018 invece, dopo essere divenuto ministro dello Sviluppo e dopo aver letto le 25 mila pagine del dossier che gli impediva di sciogliere il contratto, Di Maio inserì una nuova clausola che ne prevedeva l’annullamento in caso di eliminazione dello scudo penale. Cosa che puntualmente è avvenuta. Il delitto perfetto, come lo definì il ministro, fu il suo. E’ per questo che il premier Giuseppe Conte ha rinunciato a quella che aveva definito “la causa del secolo”. Mentre ad ArcelorMittal è convenuto rinunciare alla causa perchè così ha potuto risparmiare l’investimento economico, grazie al subentro dell’invesitore pubblico.

 

 

 

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Oggi Arcuri dice che ArcelorMittal “ha già investito 1,8 miliardi” in questi mesi. A guardare la fabbrica che cade a pezzi è difficile capire dove, se si escludono i panettoni natalizi che per la prima volta dal 2012 sono tornati a essere regalati ai dipendenti. Secondo le slide presentate lo scorso febbraio alla Camera dai commissari di Ilva, l’investimento di AmI nel 2019 ammonta a 220 milioni. Mentre il direttore commerciale Faroni ha dichiarato per il 2020 è stato tra i 250 e i 280 milioni.

 

Pur considerando stipendi, fornitori, perdite, siamo ben lontani dagli 1,8 miliardi sbandierati da Arcuri. Somma che in ogni caso dovrebbe essere il prezzo da pagare allo stato, non gli investimenti che sarebbero dovuti essere 2,4 miliardi. E che ora invece dovrà metterà lo stato. Infatti i 400 milioni messi da Invitalia (avanzati dal decreto del salvataggio della Banca Popolare di Bari) sono solo la cifra per l’ingresso iniziale, a cui bisogna aggiungere i 100 milioni che lo scorso mese i commissari hanno abbonato ad Arcelor dimezzando il canone di affitto, i debiti pregressi di Ami che ora vanno divisi, e il piano ambientale e industriale da realizzare, che al netto dell’aggiunta del forno elettrico, è identico a quello del 2017. Oltre agli stipendi e alla cassa integrazione. Fino a quando non si troveranno le modalità di uscita che, come ha precisato Arcuri, “sarebbe ingeneroso dire quando”.

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