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Come si fa un pacchetto di rilancio e resilienza per il lavoro

Ci sono 10 milioni di persone fuori dal mercato del lavoro. Servono ricollocazione, formazione e politiche attive

Luca de’ Angelis

Bisogna intervenire a lungo, un anno all’incirca, lasciando  ai lavoratori la libertà di ricollocarsi, ma dando loro nel contempo un forte sostegno monetario, formativo e psicologico. Proteggendo i più vulnerabili: giovani, donne, precari e autonomi. E soprattutto con umiltà perché non sappiamo cosa ci riserva il futuro.

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In Italia ci sono 2,5 milioni di disoccupati; 3,5 milioni di lavoratori in cassa integrazione; 2 milioni di giovani che non lavorano e non studiano; e 2 milioni di donne potrebbero e vorrebbero lavorare, ma non riescono per ragioni strutturali. Un totale di 10 milioni di persone che fatica a interagire col mercato del lavoro. Un quarto della popolazione in età da lavoro, la cui vita economica ed emotiva è in stato precario. E’ chiaro come cifre di tale portata, quasi da economia postbellica, richiedano uno sforzo altrettanto significativo per aiutare il mercato del lavoro a ripartire. E’ uno sforzo ovviamente complesso e pieno di incertezze perché non sappiamo come evolverà il mondo del lavoro post Covid. Ma, mettendo in fila quel poco che sappiamo, possiamo iniziare a ipotizzare un quadro di intervento.

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In Italia ci sono 2,5 milioni di disoccupati; 3,5 milioni di lavoratori in cassa integrazione; 2 milioni di giovani che non lavorano e non studiano; e 2 milioni di donne potrebbero e vorrebbero lavorare, ma non riescono per ragioni strutturali. Un totale di 10 milioni di persone che fatica a interagire col mercato del lavoro. Un quarto della popolazione in età da lavoro, la cui vita economica ed emotiva è in stato precario. E’ chiaro come cifre di tale portata, quasi da economia postbellica, richiedano uno sforzo altrettanto significativo per aiutare il mercato del lavoro a ripartire. E’ uno sforzo ovviamente complesso e pieno di incertezze perché non sappiamo come evolverà il mondo del lavoro post Covid. Ma, mettendo in fila quel poco che sappiamo, possiamo iniziare a ipotizzare un quadro di intervento.

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Per prima cosa sappiamo che la ripresa richiederà tempo. Nonostante le buone notizie dal fronte vaccino, ci vorranno mesi per immunizzare la popolazione, almeno fino all’estate 2021. Prima di allora potrebbe anche esserci una terza ondata, come sta già accadendo in Giappone. E dopo ci vorranno comunque ancora dei mesi per far ripartire l’economia. In sintesi, dobbiamo immaginare un sostegno emergenziale per i lavoratori almeno fino a settembre 2021, nella migliore delle ipotesi. Poi sappiamo che le crisi in generale, e la pandemia in particolare, fanno morire alcuni lavori e ne fanno nascere altri. E per due motivi. Da un lato le imprese sfruttano momenti di crisi per migliorare i processi produttivi, spesso robotizzandoli. Quindi tutti i lavori più ripetitivi (leggi robotizzabili) sono a rischio. Dall’altro la pandemia implica che alcuni lavori, anche non facilmente robotizzabili ma comunque colpiti, ci metteranno un po’ a rimettersi in sesto, vedi cultura, spettacolo, sport e turismo. E allora non serve bloccare i licenziamenti facendo finta che la pandemia non esista, ma serve fornire un ampio aiuto ai lavoratori per consentir loro di cambiare mestiere con successo. Come? Rendendosi conto che post pandemia alcune competenze saranno più richieste di altre. Quindi, oltre al sostegno economico, servono forti incentivi per aiutare i lavoratori ad acquisire nuove competenze, soprattutto quelle digitali.

 

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Va sempre ricordato, poi, che perdere il lavoro o averne uno molto precario è un trauma non solo monetario, ma psicologico. Sì, perché sappiamo che nelle società moderne il lavoro è fonte di relazioni umane, autostima, identità. Perdendolo, si perde tutto questo e chi è senza lavoro per lunghi periodi rischia di ammalarsi precocemente, di essere più propenso all’alcolismo e altre dipendenze, e alla depressione. Quindi l’aiuto emergenziale deve non solo dare sostegno economico e formativo, ma creare anche meccanismi di sostegno psicologico che aiutino a rompere il ciclo di basse aspettative e bassi risultati che spesso intrappolano i disoccupati di lunga durata.

 

Ancora, sappiamo che la pandemia colpisce più alcune categorie sociali di altre. Per esempio, gli anziani sono economicamente ben protetti grazie al reddito da pensione e a un sistema sanitario pubblico che li isola dal ciclo economico; così anche i dipendenti pubblici e, in misura inferiore, i lavoratori dipendenti. Giovani, donne, precari e autonomi, invece, sono più colpiti. E i giovani soprattutto. Non solo pre-pandemia un giovane su quattro non studiava e non aveva un lavoro, ma la pandemia colpisce maggiormente i giovani, perché relativamente più occupati in settori più danneggiati, come turismo, cultura e spettacolo. Infine, sappiamo certo alcune cose, ma non molte di più. Non abbiamo la sfera di cristallo. Questo è importante perché la nostra ignoranza richiede umiltà nel formulare interventi sul mercato del lavoro. Ovvero non serve tanto intervenire per sostenere questo o quel settore, questo o quel lavoro, perché non sappiamo davvero cosa funzionerà. Serve sostenere i lavoratori. Serve dar loro fiducia e strumenti.

 

Per riassumere, quindi, bisogna intervenire a lungo, un anno all’incirca, lasciando sì ai lavoratori la libertà di ricollocarsi a piacere ma dando loro nel contempo un fortissimo sostegno monetario, formativo e psicologico. Proteggendo i più vulnerabili, cioè giovani, donne, precari e autonomi. E soprattutto con umiltà perché non sappiamo cosa ci riserva il futuro.

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Come si struttura un intervento con queste premesse? Non serve andare tanto oltre l’Italia per intuire quello che c’è da fare, e molti altri paesi stanno già facendo. Bisogna prima di tutto garantire un generoso e duraturo sussidio di disoccupazione. Ma non solo ai lavoratori dipendenti; vanno soprattutto protette quelle categorie svantaggiate che ora non hanno alcun sostegno. I giovani, per esempio, sono intrappolati: da un lato faranno una fatica immane a trovare lavoro durante la pandemia; dall’altro non hanno diritto ad alcun sostegno, in quanto non sono ancora lavoratori. E pesano quindi sui genitori, anche loro colpiti dalla crisi. Va data loro una protezione, e subito, per evitate di perdere un’intera generazione. E poi bisogna accompagnare i lavoratori a rientrare nel mercato del lavoro: 1) dando loro una possibilità di ottenere formazione qualificante e dignitosa; ciò non significa far fare loro un colloquio coi navigator, ma fare quadrato col terzo settore, scuole di formazione private e università per creare e sussidiare corsi di formazioni sperimentali basati sull’effettiva domanda di lavoro da parte delle imprese e che si concentrino sia su abilità prettamente cognitive sia su abilità non cognitive (fiducia e autostima); 2) incentivando l’imprenditorialità, come in Francia e in Grecia, dove lo stato contribuirà a programmi di formazione imprenditoriale sia stipendiando gli imprenditori durante il programma sia dando loro 10 mila euro per l’avviamento, concentrandosi sui giovani; 3) infine sostenendo apprendistati e tirocini sia attraverso generosi trasferimenti per ogni contratto attivato (molto più di oggi, si pensi che l’Australia paga metà del costo totale) sia attraverso bonus per la trasformazione da tirocinante o apprendista a lavoratore dipendente come nel Regno Unito che, dopo aver pagato metà del tirocinio, offre 2 mila sterline per ogni contratto trasformato alle aziende.

 

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Questi 10 milioni di lavoratori in bilico chiedono una politica del lavoro cogente e che si focalizzi sui più vulnerabili, fornendo loro chance di riallocazione attraverso politiche attive del lavoro efficaci. Se seguiamo questa strada, possiamo riattivare il mercato del lavoro. Se seguiamo l’altra strada, quella del blocco dei licenziamenti, dei navigator, dei sussidi dati senza alcun interesse per le sorti dei nostri disoccupati e sottoccupati, saremo obbligati a trasformare lo stato in datore di lavoro per non fare scoppiare una bomba sociale. La nostra storia ci insegna quale delle due opzioni è più auspicabile.

 

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