PUBBLICITÁ

Un’anima al Recovery fund

Stefano Cingolani

L’Europa si muove. L’Italia? Un’idea di Assonime per gestire su tre livelli i fondi Ue, evitando la lista della spesa

PUBBLICITÁ

Chi gestirà i fondi del piano italiano per la ripresa? Sembra una domanda per addetti alle architetture istituzionali, in realtà è una questione scottante, della quale non va sottovalutata la portata politica. La formula magica recita cabina di regia, che detto così non vuol dir niente. Sarà una cabina tecnica o politica? Forse un po’ l’una e un po’ l’altra. Ma se la politica deve stare al primo posto, chi prende il timone? La commissione europea ha scelto: alla guida c’è la presidente Ursula von der Leyen con accanto i tre vicepresidenti esecutivi (Margrethe Vestager, Valdis Dombrovskis e Frans Timmermans) più il commissario per l’Economia, cioè Paolo Gentiloni. L’intendenza seguirà. Se l’Italia adottasse lo stesso modello, Giuseppe Conte dovrebbe accentrare su di sé anche questo ruolo. La cosa non dispiace al capo del governo (molto meno al Pd e allo stesso M5s), ma è chiaro che non sarebbe in grado di seguire l’intero percorso, dalla distribuzione all’utilizzo delle risorse. Quindi dovrebbe delegare.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Chi gestirà i fondi del piano italiano per la ripresa? Sembra una domanda per addetti alle architetture istituzionali, in realtà è una questione scottante, della quale non va sottovalutata la portata politica. La formula magica recita cabina di regia, che detto così non vuol dir niente. Sarà una cabina tecnica o politica? Forse un po’ l’una e un po’ l’altra. Ma se la politica deve stare al primo posto, chi prende il timone? La commissione europea ha scelto: alla guida c’è la presidente Ursula von der Leyen con accanto i tre vicepresidenti esecutivi (Margrethe Vestager, Valdis Dombrovskis e Frans Timmermans) più il commissario per l’Economia, cioè Paolo Gentiloni. L’intendenza seguirà. Se l’Italia adottasse lo stesso modello, Giuseppe Conte dovrebbe accentrare su di sé anche questo ruolo. La cosa non dispiace al capo del governo (molto meno al Pd e allo stesso M5s), ma è chiaro che non sarebbe in grado di seguire l’intero percorso, dalla distribuzione all’utilizzo delle risorse. Quindi dovrebbe delegare.

PUBBLICITÁ

 

E qui sorgono subito gli inciampi, mentre si staglia l’ombra lunga di Mario Draghi. Solo a sentirlo nominare Conte si irrita visibilmente, come è apparso anche nell’intervista con Lilli Gruber. L’ex presidente della Bce diventerebbe un potere parallelo se non, questo il timore di Conte, un contropotere di fatto, senza dubbio più autorevole in Italia e all’estero. In questo puzzle politico-istituzionale si inserisce la proposta avanzata dall’Assonime, l’associazione tra le società per azioni, che ha elaborato un articolato progetto di assetto istituzionale con poteri, responsabilità e metodo di lavoro. Presentato ieri alla stampa, è stato già inviato alla Presidenza della Repubblica, al governo, al parlamento, alla conferenza Stato-regioni-autonomie. Vi ha lavorato un gruppo coordinato da Stefano Micossi direttore generale di Assonime e composto da Franco Bassanini, Ginevra Bruzzone, Marcello Clarich, Claudio De Vincenti, Bernardo Giorgio Mattarella, Andrea Montanino, Marcella Panucci, Paola Parascandolo e Luisa Torchia.

PUBBLICITÁ

 

Il progetto si articola su tre livelli: politico, gestionale, operativo. Il primo fa perno su un ministro senza portafoglio le cui competenze saranno fissate con una delega del presidente del consiglio. Il ministro guiderà il comitato interministeriale per gli affari europei. Le proposte, l’allocazione delle risorse e le grandi direttrici per i progetti di investimento dovranno essere deliberate dal consiglio dei ministri e approvate in Parlamento, “per quanto possibile con la convergenza tra maggioranza e opposizione”. Saranno discusse anche nella conferenza unificata stato-regioni e autonomie locali. Senza trascurare le parti sociali e tutti gli stakeholders. Insomma, un impianto complesso che fa pensare a sistemi istituzionali più vicini alla Germania che all’Italia, al quale si affianca un centro di coordinamento tecnico-operativo per curare la selezione dei progetti, che si appoggerà su due gambe: l’Agenzia per la coesione territoriale, che si dovrebbe occupare specificatamente dell’accelerazione delle procedure decisionali e di spesa, dello scioglimento dei fattori di blocco e della rendicontazione a Bruxelles; e i responsabili per la Recovery and resilience facility (Rrf), individuati da ciascun ministero o regione, cui affidare tutti i compiti dell’amministrazione di appartenenza connessi alla gestione del piano. E qui dalla Germania passiamo alla Francia quando aveva ancora l’ufficio del piano quinquennale.

 

Non è chiaro come si riuscirà a “semplificare drasticamente le procedure amministrative di spesa, tendendo conto che tutte le spese dovranno essere completate entro il 2026”. Un ministro senza portafoglio, deleghe o non deleghe, nasce già depotenziato. Un ministro con pieni poteri e un ampio margine di autonomia risponderebbe molto meglio al compito, ma con un portafoglio gonfio di ben 146 miliardi nei prossimi due anni (tanto spetta all’Italia) avrebbe in mano l’intero governo. Nel gioco dell’oca politico, torniamo così alla casella di partenza. L’Assonime ne è consapevole, ma non spetta a lei sciogliere il garbuglio rossiniano.

PUBBLICITÁ
PUBBLICITÁ