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editoriali

La chiamano “invasione”, è concorrenza

Redazione

Cosa significa l’Opa di Crédit Agricole su Creval (francofobia a parte)

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L’offerta annunciata di Credit Agricole sul Credito Valtellinese dice almeno tre cose. La prima è che il risiko bancario ha ripreso vigore e questa mossa è destinata ad accelerare il processo di consolidamento del settore cominciato con l’operazione Intesa-Ubi. La seconda è che Unicredit diventa sempre di più l’unica opzione per privatizzare Mps, semmai fosse rimasto il dubbio su altre possibili combinazioni (secondo Reuters il Mef avrebbe selezionato Bank of America per procedere con la fusione con l’istituto guidato da Jean Pierre Mustier). La terza è che l’asse italo-francese nella finanza si sta rafforzando a dispetto dei timori del Copasir che, in una relazione di un paio di settimane fa, lanciava l’allarme sui pericoli di una colonizzazione transalpina. La crisi Covid – questa la tesi del Comitato parlamentare per la sicurezza – rischia di deprimere il valore delle società quotate italiane rendendole di fatto prede degli aggressori stranieri. Tra questi, i francesi sarebbero i più insidiosi per il loro spiccato interesse per assicurazioni e banche italiane, ma non solo. A pochi giorni da queste considerazioni, messe nere su bianco non dalla componente sovranista del Copasir, ma dal pd Enrico Borghi, ecco che arriva l’opa di Credit Agricole sul Creval. E sebbene il gigante francese abbia fatto in modo da dare una connotazione il più possibile tricolore all’operazione, tra le reazioni che questa mossa è destinata a suscitare non è da escludersi l’indignazione per un perseverante ‘disegno predatorio’. Certo, in questo caso la Francia è l’attore più forte, e lo è stata altre volte in passato, ma la recente fusione tra Borsa italiana ed Euronext (con le banche di sviluppo pubblico dei due paesi alla pari nel capitale), così come le nozze Fca-Peugeot e l’integrazione tra Luxottica ed Essilor, assomigliano più ad alleanze strategiche che puntano a consolidarsi nell’ottica di una concorrenza europea che a casi di assoggettamento italico al dominio d’Oltralpe.

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L’offerta annunciata di Credit Agricole sul Credito Valtellinese dice almeno tre cose. La prima è che il risiko bancario ha ripreso vigore e questa mossa è destinata ad accelerare il processo di consolidamento del settore cominciato con l’operazione Intesa-Ubi. La seconda è che Unicredit diventa sempre di più l’unica opzione per privatizzare Mps, semmai fosse rimasto il dubbio su altre possibili combinazioni (secondo Reuters il Mef avrebbe selezionato Bank of America per procedere con la fusione con l’istituto guidato da Jean Pierre Mustier). La terza è che l’asse italo-francese nella finanza si sta rafforzando a dispetto dei timori del Copasir che, in una relazione di un paio di settimane fa, lanciava l’allarme sui pericoli di una colonizzazione transalpina. La crisi Covid – questa la tesi del Comitato parlamentare per la sicurezza – rischia di deprimere il valore delle società quotate italiane rendendole di fatto prede degli aggressori stranieri. Tra questi, i francesi sarebbero i più insidiosi per il loro spiccato interesse per assicurazioni e banche italiane, ma non solo. A pochi giorni da queste considerazioni, messe nere su bianco non dalla componente sovranista del Copasir, ma dal pd Enrico Borghi, ecco che arriva l’opa di Credit Agricole sul Creval. E sebbene il gigante francese abbia fatto in modo da dare una connotazione il più possibile tricolore all’operazione, tra le reazioni che questa mossa è destinata a suscitare non è da escludersi l’indignazione per un perseverante ‘disegno predatorio’. Certo, in questo caso la Francia è l’attore più forte, e lo è stata altre volte in passato, ma la recente fusione tra Borsa italiana ed Euronext (con le banche di sviluppo pubblico dei due paesi alla pari nel capitale), così come le nozze Fca-Peugeot e l’integrazione tra Luxottica ed Essilor, assomigliano più ad alleanze strategiche che puntano a consolidarsi nell’ottica di una concorrenza europea che a casi di assoggettamento italico al dominio d’Oltralpe.

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Se l’unione tra quelle che sono due banche italiane – Creval e Credit Agricole Italia – fosse, come sembra, destinata a rafforzare il presidio nel nord Italia dove Intesa-Ubi ha oggi una leadership assoluta che Unicredit (con Mps?) punta a contrastare e l’eventuale asse Bpm-Bper si prepara a insidiare, sarebbe l’esempio più calzante di che cosa intende la Bce quando incoraggia le fusioni cosìddette crossborder a vantaggio della concorrenza nel settore del credito e della maggiore solidità patrimoniale delle banche in questa delicata fase in cui la crisi sanitaria rischia di aumentare il volume delle sofferenze in bilancio. Di sicuro, come spiegano gli analisti, l’acquisto di Creval da parte del gruppo francese mette ancora più pressione per l’aggregazione tra Bper Banco Bpm perché fa venir meno una delle opzioni strategiche più papabili per la banca milanese, che in un primo momento veniva indicata come il principale obiettivo di Credit Agricole (i vertici italiani, però, hanno escluso che ci sia stato un interesse in tal senso). E’ prevedibile, dunque, un effetto a cascata sullo scacchiere bancario italiano in grande fibrillazione dopo che il gruppo Intesa ha concluso la difficile operazione con Ubi Banca creando un polo che per capitalizzazione di Borsa e valore degli attivi si distacca nettamente da tutti gli altri operatori domestici.

 

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Quello che, però, emerge dagli ultimi sviluppi del risiko è la predilezione degli attori per le sinergie industriali, cioè i risparmi dei costi e il potenziamento del business che si ottengono unendo le forze in settori come l’assicurazione vita (nel caso Creval-Credit Agricole) e le gestioni patrimoniali (nel caso di Banco Bpm e Bper). Vale a dire che sposarsi conviene quando dall’unione si può creare valore. Meno scontato, in questo senso, appare il disegno che vedrebbe Unicredit accoppiarsi con Mps. Mustier, pur mantenendo ufficialmente la sua posizione contraria a ipotesi di aggregazione, ha fatto capire tra le righe che è disposto a parlarne se le nozze con Siena avessero un impatto zero sul capitale della sua banca, cioè se non ci deve rimettere o assumersi i rischi della gestione passata. E su questo il Mef sta lavorando alacremente mettendo sul piatto una dote fiscale da 3,7 miliardi, risorse per altri 2,5-3 miliardi per sostenere un aumento di capitale per Siena e, forse, anche lo scorporo di 10 miliardi di rischi legali legati alle cause di risarcimento danni imputabili alle passate gestioni. La scelta – se confermata - di un advisor finanziario come Bank of America e di Orrick come consulente legale, farebbe pensare che le trattative procedono spedite. 

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