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Iniqui e poco efficaci: ecco tutti i limiti dei voucher internet del governo

Sergio Boccadutri e Carlo Stagnaro

Perché invece di un finanziamento a pioggia sarebbe stato meglio concentrare le risorse sulle famiglie che hanno più difficoltà a procurarsi un accesso alla rete

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Come promuovere la connettività diffusa e, contemporaneamente, fare un uso saggio delle risorse disponibili? Nelle ultime settimane il governo ha messo ai nastri di partenza i voucher internet destinati a stimolare gli abbonamenti a connessioni di almeno 30 Mbit/s alle famiglie con un Isee fino a 50 mila euro. Inoltre, per le famiglie con un Isee inferiore a 20 mila euro è prevista anche la consegna di un device, tentando così di coprire quella porzione che non dispone di un computer o tablet in casa (secondo l’Istat, sono il 33,8 per cento). Complessivamente, l’esecutivo ha stanziato oltre un miliardo di euro.

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Come promuovere la connettività diffusa e, contemporaneamente, fare un uso saggio delle risorse disponibili? Nelle ultime settimane il governo ha messo ai nastri di partenza i voucher internet destinati a stimolare gli abbonamenti a connessioni di almeno 30 Mbit/s alle famiglie con un Isee fino a 50 mila euro. Inoltre, per le famiglie con un Isee inferiore a 20 mila euro è prevista anche la consegna di un device, tentando così di coprire quella porzione che non dispone di un computer o tablet in casa (secondo l’Istat, sono il 33,8 per cento). Complessivamente, l’esecutivo ha stanziato oltre un miliardo di euro.

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Si tratta di un provvedimento per il quale è possibile e necessario tentare una valutazione degli effetti, visto che ha direttamente a che fare con la riduzione di una delle maggiori fonti di disparità sociale, specie tra i ragazzi che dovranno seguire la didattica a distanza. Sono diverse le questioni che vanno prese in considerazione: il requisito tecnico della capacità di banda, i destinatari della misura, le responsabilità in caso di truffe, il sussidio per il device. Tutti i criteri prescelti presentano una serie di criticità. La prima è relativa alla velocità minima della connessione: l’Antitrust avrebbe indicato almeno 100 Mbit/s, mentre il comitato ha deciso di mantenere 30 Mbit/s, per conseguire una maggiore copertura territoriale. La scelta è dettata dal realismo, e consente di raggiungere quelle famiglie a più basso reddito che vivono anche in aree attualmente servite da reti meno performanti. Ma è anche stato inserito il requisito della “banda minima garantita”, cioè 15 Mbit/s per il download e 7,5 Mbit/s per l’upload. Si tratta di un parametro molto difficile da certificare, dal momento che dipende da molti fattori che non possono essere gestiti direttamente dagli operatori. Non è chiaro, quindi, se e come potrà essere monitorato.

 

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La seconda questione attiene al limite di reddito. Esso consente di discriminare chi ha le possibilità economiche di procurarsi da solo il collegamento, ma ha finora scelto di non farlo, da chi ne è sprovvisto per motivi economici. Proprio perché la connessione minima di capacità a 30 Mbit/s non è un diritto universale, è giusto che lo stato sostenga chi non può permettersela. Appare davvero incredibile, allora, che il comitato abbia ritenuto di applicare il limite Isee fino a 50 mila euro per soli 3 mesi. Di fatto significa vanificare del tutto la finalità redistributiva della misura, generando un finanziamento a pioggia dato che chiunque potrà chiedere il voucher. Concettualmente sarebbe come fare un bonifico diretto sui conti delle famiglie, generando quindi uno spreco netto di risorse pubbliche per finanziare parte di consumi che per scelta, e non per necessità, non si sarebbero manifestati sul mercato. Anziché regalare soldi a chi non ne aveva bisogno e per servizi che non si sarebbero comunque richiesti, sarebbe stato meglio concentrare le risorse sulle famiglie che effettivamente hanno difficoltà a pagare l’abbonamento. Tanto più che si stima che oltre l’80 per cento della popolazione abbia un reddito Isee inferiore ai 50 mila euro. Ma c’è di più. Fra tre mesi si ragionerà di un residuo. E allora occorre sapere come questo verrà distribuito. Con l’ennesimo click-day? Quindi con alcuni dentro e altri fuori? Inoltre, la dichiarazione del reddito Isee è lasciata a una autocertificazione raccolta dagli operatori. Se da un lato si comprende la volontà di abbreviare i tempi, dall’altro è evidente che la responsabilità in caso di falsa dichiarazione non poteva comportare rischi o costi aggiuntivi per gli operatori, che non hanno alcun modo di verificarne l’autenticità. Dopo le loro proteste, il governo sembra essere corso ai ripari evitando che il rischio di una falsa dichiarazione ricada su chi la raccoglie.

 

Continua a rimanere poco chiaro come evitare di sussidiare chi non ne ha bisogno. Peraltro, gli oneri di raccolta delle dichiarazioni rimangono a carico dei privati, che come sempre devono accollarsi il peso della mancanza di una piattaforma utile a verificare preventivamente chi ha diritto o meno alla misura, tanto che ci viene da pensare che difficilmente chi ne approfitterà sarà sanzionato. Ed è assurdo che questa defaillance sia collegata a una misura che dovrebbe aiutarci a scalare la classifica del Digital Economy and Society Index, con buona pace della ministra dell’Innovazione, Paola Pisano.

Anche la natura del device per le famiglie a basso reddito è stata oggetto di approfondita valutazione. Il comitato ha infatti voluto precisarne le caratteristiche della cpu, della batteria, del monitor (sic!). Per esempio, il vostro pc portatile da 14 pollici non è ammesso. La scelta sembrerebbe dettata dalla necessità di evitare che gli operatori si liberino di cosiddetti “scarti di magazzino”. Sarebbe bastato stabilire una “anzianità di mercato” non superiore a un determinato numero di anni. Anche perché spesso gli “scarti di magazzino” hanno requisiti tecnici del tutto funzionanti e soddisfacenti per il servizio erogato. Perché non concedere il voucher direttamente ai cittadini, dando loro la possibilità di poter eventualmente integrare la spesa, sulla base di scelte autonome? Anche qui, peraltro, il limite Isee è stato scelto con manica larga: secondo le stime, non lo raggiunge quasi la metà della popolazione. Infine, il voucher non è previsto solo per le nuove attivazioni, ma anche per semplici upgrade. Ma l’obiettivo primario è quello di “collegare a internet” le migliaia di famiglie prive di connessione, da tanto che si è scelta la soglia a 30 Mbit/s. Ma l’upgrade di una connessione già esistente (là dove è disponibile) dovrebbe essere una leva competitiva tra gli operatori: in questo modo, invece, si penalizzano quelli che per primi, con propri investimenti, hanno offerto una migliore tecnologia sul territorio. Il voucher così, anziché stimolare i consumatori a cercare l’offerta migliore, li induce a restare con l’operatore esistente.

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Un ultimo punto. Se davvero ci saranno “residui”, anziché redistribuirli in modo causale e ingiusto a una platea di fortunati, si potrebbe seguire l’intelligente proposta che Antonio Nicita, già commissario Agcom, ha fatto sulle colonne del Sole 24 Ore, cioè sostenere gli interventi condominiali di cablatura verticale, in parallelo col superbonus del 110 per cento. Il governo è ancora in tempo per aggiustare il tiro e rendere i voucher più efficaci, equi e meno distorsivi della concorrenza. Se non lo farà, alla vigilia delle complesse e strategiche scelte che attendono l’esecutivo sul Next Generation EU, darà un pessimo segnale alle imprese e ai partner europei.

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