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Il risparmio degli italiani e la resistenza economica al Covid

Mariarosaria Marchesano

Ricerche mostrano che finora le famiglie hanno resistito bene allo choc, ma sono molto più fragili davanti alla seconda ondata

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Giusto un anno fa usciva in Italia un libro molto discusso (“La grande livellatrice”) sul potere che hanno guerre, rivoluzioni ed epidemie di ridurre le differenze tra ricchi e poveri. La tesi sostenuta dallo storico dell’Università di Stanford Walter Scheidel è che spesso, come per la peste europea della metà del 1300, questi eventi hanno prodotto un aumento dei livelli di reddito dei lavoratori dopo aver abbassato il valore della terra e aumentato quello della manodopera. Ebbene, questo scenario supportato da dati storici e scientifici non è quello dell’epidemia Covid 19 che, invece, le disuguaglianze le sta accentuando, come osserva Riccardo De Bonis, responsabile del servizio di Educazione finanziaria della Banca d’Italia. “Questo libro mi è tornato in mente seguendo i fatti di cronaca di questi giorni. E’ ancora presto per ragionare su dati consolidati, ma dalle nostre ultime rilevazioni che colgono due momenti opposti delle prospettive economiche delle famiglie, uno più negativo alla fine del lockdown e il secondo più ottimista dopo l’estate, emerge un quadro non omogeneo rispetto alla capacità di far fronte a una nuova ondata di contagi e a conseguenti nuove restrizioni”. Prima di queste indagini, la Banca d’Italia aveva già evidenziato nella relazione annuale di maggio la crescita delle disuguaglianze nella distribuzione dei redditi e l’incapacità di una quota di popolazione di resistere per un certo periodo di tempo in assenza di entrate. Così, se si pensa a Scheidel, non si può fare a meno di notare come questo virus metta a dura prova la tenuta economica solo di una parte delle persone per il semplice fatto che le restrizioni adottate dai governi colpiscono in modo differenziato le categorie sociali che poi vengono ristorate sulla base delle disponibilità di bilancio di ciascun paese.

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Giusto un anno fa usciva in Italia un libro molto discusso (“La grande livellatrice”) sul potere che hanno guerre, rivoluzioni ed epidemie di ridurre le differenze tra ricchi e poveri. La tesi sostenuta dallo storico dell’Università di Stanford Walter Scheidel è che spesso, come per la peste europea della metà del 1300, questi eventi hanno prodotto un aumento dei livelli di reddito dei lavoratori dopo aver abbassato il valore della terra e aumentato quello della manodopera. Ebbene, questo scenario supportato da dati storici e scientifici non è quello dell’epidemia Covid 19 che, invece, le disuguaglianze le sta accentuando, come osserva Riccardo De Bonis, responsabile del servizio di Educazione finanziaria della Banca d’Italia. “Questo libro mi è tornato in mente seguendo i fatti di cronaca di questi giorni. E’ ancora presto per ragionare su dati consolidati, ma dalle nostre ultime rilevazioni che colgono due momenti opposti delle prospettive economiche delle famiglie, uno più negativo alla fine del lockdown e il secondo più ottimista dopo l’estate, emerge un quadro non omogeneo rispetto alla capacità di far fronte a una nuova ondata di contagi e a conseguenti nuove restrizioni”. Prima di queste indagini, la Banca d’Italia aveva già evidenziato nella relazione annuale di maggio la crescita delle disuguaglianze nella distribuzione dei redditi e l’incapacità di una quota di popolazione di resistere per un certo periodo di tempo in assenza di entrate. Così, se si pensa a Scheidel, non si può fare a meno di notare come questo virus metta a dura prova la tenuta economica solo di una parte delle persone per il semplice fatto che le restrizioni adottate dai governi colpiscono in modo differenziato le categorie sociali che poi vengono ristorate sulla base delle disponibilità di bilancio di ciascun paese.

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“Nel suo complesso il quadro in Italia non sarebbe neanche così negativo”, osserva Giovanna Paladino, direttore del Museo del Risparmio e coordinatrice di una ricerca che per la prima volta ha misurato la resistenza economica degli italiani distinguendo tra capacità di sopportazione e capacità di reazione. “Il dato sorprendente che emerge dai sondaggi realizzati a settembre dalla società Episteme è che la maggior parte degli italiani ha subìto un danno limitato o non ha riportato alcun danno dalla prima ondata. Certo, il paese risulta più fragile se si considerano alcune categorie come i genitori single e i disoccupati. Molto interessante, però, è che le conoscenze finanziarie si mostrano un fattore determinante per la tenuta delle persone insieme all’attitudine al risparmio e al supporto della rete familiare”. Colpisce che nel Mezzogiorno le famiglie non sono più considerate un serbatoio di fondi e stimoli per alimentare la capacità di reazione dei suoi membri: il 43,4 per cento degli abitanti del sud e isole pensa, infatti, di non poter fare affidamento alle rete familiare per ottenere un aiuto per spese impreviste e la percentuale sale al 50,9 per cento se si considerano spese ricorrenti come le rate di un mutuo. “

 

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Credo che il problema non sia solo assorbire gli impatti economici della pandemia: in questo momento agli italiani manca la capacità propulsiva individuale e il sostegno motivazionale”, osserva Paladino ponendo un ulteriore tema che è quello della “fragilità finanziaria strutturale”, come la chiama Annamaria Lusardi, direttore del Comitato nazionale per l’educazione finanziaria, commentando i risultati di un’indagine commissionata alla Doxa. “Molti nuclei italiani avrebbero avuto difficoltà ad affrontare lo choc di dimensioni ben minori della pandemia – dice –. L’emergenza Covid ha quindi innalzato la quota delle famiglie che non riesce a giungere alla fine del mese senza difficoltà e la maggiore vulnerabilità è strettamente connessa con il basso livello di istruzione del decisore di spesa”.

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