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La Cina tiene sotto controllo il virus grazie alla meritocrazia

Giovanni Tria

Non è necessario essere un regime dittatoriale per arginare il Covid-19. Né è produttivo tentare di autoassolversi sempre. Pechino ci può insegnare molto

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Alcuni paesi asiatici, e in particolare la Cina, hanno saputo fino a oggi tenere sotto controllo il Covid-19 mentre negli Stati Uniti e in particolare in Europa la seconda ondata della pandemia appare fuori controllo. I riflessi sulle rispettive economie sono evidenti e conseguenti. La Cina è uscita per prima dalla cosiddetta prima ondata, non appare ancora toccata dalla seconda e la sua economia è ripartita. E’ il primo grande paese che si prevede farà segnare una crescita positiva rispetto al pre Covid già dall’anno in corso. Poiché nel resto del mondo non si prevede né una rapida uscita dalla recessione né un miglioramento delle relazioni commerciali globali, anche se il loro tono dipenderà parzialmente dai risultati delle presidenziali americane, la Cina sta accelerando e definendo la strategia di conversione della sua economia definita di “dual circulation”.

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Alcuni paesi asiatici, e in particolare la Cina, hanno saputo fino a oggi tenere sotto controllo il Covid-19 mentre negli Stati Uniti e in particolare in Europa la seconda ondata della pandemia appare fuori controllo. I riflessi sulle rispettive economie sono evidenti e conseguenti. La Cina è uscita per prima dalla cosiddetta prima ondata, non appare ancora toccata dalla seconda e la sua economia è ripartita. E’ il primo grande paese che si prevede farà segnare una crescita positiva rispetto al pre Covid già dall’anno in corso. Poiché nel resto del mondo non si prevede né una rapida uscita dalla recessione né un miglioramento delle relazioni commerciali globali, anche se il loro tono dipenderà parzialmente dai risultati delle presidenziali americane, la Cina sta accelerando e definendo la strategia di conversione della sua economia definita di “dual circulation”.

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Questa strategia significa che per proseguire nel suo sviluppo l’economia cinese dovrà aumentare il ruolo trainante del mercato interno. In altri termini, la Cina dovrà dipendere meno dal resto del mondo. Ciò non significa però che il resto del mondo debba usufruire meno del ruolo trainante del mercato cinese. E vari settori produttivi europei, dall’automotive al settore del lusso, stanno già beneficiando della ripresa dei consumi cinesi. Questi sono i fatti, ma uno strano dibattito si svolge sui media italiani e in generale sui media occidentali che sembra, soprattutto in Italia, funzionale a una classe dirigente che tenta di autoassolversi, anche al costo di seminare dubbi sulla bontà del sistema democratico, almeno nella versione ispirata ai valori di quello che noi chiamiamo Occidente.

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In questi tempi di incertezza e paura, amplificati dal caos organizzativo e di risposta alla pandemia, sorge infatti la domanda: perché la Cina è riuscita, in un paese con una immensa popolazione, a bloccare sostanzialmente la pandemia attraverso le famose tre T, cioè test, tracciamento e trattamento di massa? Non è accettabile la tesi secondo la quale in Cina si possono raggiungere certi risultati (a volte in Italia quando si propone di adottare e attuare rapidamente misure incisive si dice: non siamo in Cina) perché essa ha più risorse. Certamente la Cina è un’economia che per dimensioni è maggiore di quella italiana, ma il suo reddito pro capite, che è quello che conta quando si parla di interventi che coinvolgono la collettività, è ancora molto più basso di quello italiano.

 

La seconda e più frequente risposta che viene sparata nel dibattito è che questa superiore capacità dipenderebbe dall’essere un paese non-democratico o autoritario o una dittatura, secondo una varia terminologia dettata dalla minore o maggiore simpatia di chi parla per questo paese. La non-democraticità implicherebbe evidentemente, secondo questa vulgata, una maggiore efficienza del sistema e una maggiore incisività dell’azione del governo perché i cittadini sarebbero forzati a essere più ubbidienti. Ma poiché buoni risultati si sono ottenuti anche in altri paesi asiatici con sistemi più vicini alle nostre democrazie, si è ricorsi all’argomento che il maggior tasso di ubbidienza o di disciplina dei cittadini di questi paesi sia più legato a caratteristiche culturali (confuciane e varie altre).

 

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Infine, poiché la conseguenza spiacevole di questo tentativo di correlazione tra non democraticità del sistema politico e sua capacità di operare a beneficio della collettività sarebbe quella di incrinare la fiducia dei cittadini per i sistemi democratici, la conclusione sbrigativa del ragionamento è la seguente: nessuno vuole scambiare le nostre libertà per maggiore efficienza. Il punto errato di tutto questo sillogismo è che ci sia una correlazione tra dittatura e efficienza. In Cina, la vera questione non è il grado di democrazia esistente. Il punto è che si tratta di un sistema sostanzialmente meritocratico, pur con tutte le eccezioni dovute a coalizioni di interessi, nepotismi e altri fenomeni presenti in tutti i sistemi. Per essere chiari, in Cina difficilmente degli incompetenti e incapaci arrivano al governo, sia in quello nazionale sia in quelli locali.

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Se ciò accade, viene in genere rapidamente e drasticamente posto rimedio. Ma questo non dipende affatto dall’essere un paese “non-democratico”. Il mondo è pieno di dittature, pensiamo ai vari regimi dell’America latina o dell’Africa la cui non-democraticità si sposa a perfezione con una classe dirigente corrotta e incompetente. La Russia, per andare a guardare un grande paese il cui sistema politico non è vicino alla nostra idea di democrazia, non mostra affatto una simile grande efficienza per ciò che riguarda il controllo della pandemia e più in generale la crescita economica. D’altra parte, vi sono grandi differenze tra i paesi democratici, anche tra quelli europei. La capacità di controllo della pandemia mostrata dalla Germania non è quella di altri paesi, tra cui l’Italia (il numero di morti rispetto alla popolazione è l’indicatore chiave).

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E i paesi democratici, molti dei quali non lo sono da molto tempo, hanno mostrato nella storia grande capacità di crescita economica, unendo efficienza, libertà economica e diritti civili. La meritocrazia e la selezione di una classe dirigente capace non sembra quindi correlata in modo significativo al tasso di democrazia, e quindi è bene non credere al trade-off tra libertà e rispetto dei diritti ed efficienza di governo. Probabilmente dobbiamo riflettere su un sistema politico-istituzionale che non sembra più in grado di selezionare una classe dirigente accettabile. Incompetenza, incapacità e assenza di selezione meritocratica della classe dirigente causano danni, in ogni sistema politico. Ma non è in discussione la democrazia. L’affermare che evidenti errori e inadeguatezze di governo nella gestione della crisi siano correlati al non essere l’Italia un paese con un regime non-democratico è palesemente un tentativo maldestro di autoassoluzione. E se un altro paese trova soluzioni più efficienti è bene osservarlo con rispetto e far tesoro delle sue esperienze, il che non significa sposarne il sistema politico.

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