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Il Covid colpisce i giovani lavoratori, ma in Italia nessuno ne parla

Luca de Angelis

Quello che non si capisce è perché chi scrive leggi di bilancio non comprenda non solo l’urgenza macroeconomica, ma anche la crisi generazionale e umana che questi dati sottendono. Eppure, i soldi ci sono. E una strada pure

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In Australia, lo stato darà 500 euro al mese per chi assume apprendisti sotto i 29 anni per un totale, assieme ad altre politiche giovanili e di inserimento lavorativo, di 6 miliardi di euro. In Australia, il 10 per cento dei giovani non studia o non ha un lavoro. In Canada, lo stato ha messo a disposizione uno stipendio di emergenza di 800 euro al mese per quattro mesi per gli studenti che non trovano lavoro, e ora ha avviato un percorso di inserimento lavorativo comprensivo di altri sgravi per giovani, il tutto per una spesa complessiva di 6 miliardi di euro. In Canada, l’11 per cento dei giovani non studia o non ha un lavoro. La Francia, attraverso il “piano rilancio” ha stanziato 7 miliardi di euro in misure di contrasto alla disoccupazione giovanile. In Francia, il 15 per cento dei giovani non studia o non ha un lavoro. In Italia, ad oggi, il gran totale speso in politiche giovanili dall’inizio della pandemia è zero, a cui si aggiungeranno pochi milioni di euro con la legge di bilancio 2021. In Italia, il 24 per cento dei giovani non studia e non ha un lavoro. Il doppio della media degli altri paesi.

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In Australia, lo stato darà 500 euro al mese per chi assume apprendisti sotto i 29 anni per un totale, assieme ad altre politiche giovanili e di inserimento lavorativo, di 6 miliardi di euro. In Australia, il 10 per cento dei giovani non studia o non ha un lavoro. In Canada, lo stato ha messo a disposizione uno stipendio di emergenza di 800 euro al mese per quattro mesi per gli studenti che non trovano lavoro, e ora ha avviato un percorso di inserimento lavorativo comprensivo di altri sgravi per giovani, il tutto per una spesa complessiva di 6 miliardi di euro. In Canada, l’11 per cento dei giovani non studia o non ha un lavoro. La Francia, attraverso il “piano rilancio” ha stanziato 7 miliardi di euro in misure di contrasto alla disoccupazione giovanile. In Francia, il 15 per cento dei giovani non studia o non ha un lavoro. In Italia, ad oggi, il gran totale speso in politiche giovanili dall’inizio della pandemia è zero, a cui si aggiungeranno pochi milioni di euro con la legge di bilancio 2021. In Italia, il 24 per cento dei giovani non studia e non ha un lavoro. Il doppio della media degli altri paesi.

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Non solo: a questa condizione strutturale si devono aggiungere le conseguenze economiche della pandemia, che colpiscono i giovani lavoratori più di chiunque altro. Si pensi che, se un adulto su dieci lavora nel turismo, uno tra i settori più colpiti, i giovani che ci lavorano sono due su dieci. Anche nello sport, nello spettacolo e nell’arte - altri settori attualmente in difficoltà - i giovani sono proporzionalmente di più della popolazione totale. E così in molti dei settori più colpiti dai lockdown. In poche parole, i giovani stavano peggio prima del Covid, e staranno ancora peggio di tutti gli altri dopo. La cosa che fa riflettere riguardo al dibattito sui fondi europei non è tanto la lunga lista di progetti (di cui alcuni lunari), quanto l’assenza di un ragionamento coerente e compiuto sul futuro di questo paese. Banalmente: una strategia. Un piano che parta dalle lacune strutturali dell’Italia e individui un percorso per colmarle. E infatti i fondi europei sarebbero destinati proprio a quello - a rimuovere quei freni e riparare quelle rotture che ci impediscono non solo di crescere, ma anche di mantenere uno standard di vita al quale siamo abituati.

 

 

E se un dibattito – ma non una strategia – sta timidamente sorgendo intorno alla parità di genere e caoticamente intorno al rilancio del Mezzogiorno, tutto tace sui giovani. Come se non ci fosse forse problema più urgente della scarsa formazione, disoccupazione, emigrazione e sì, povertà giovanili. Per essere più chiari, conviene forse soffermarci un attimo sull’aspetto umano che caratterizza queste vite. Immaginate una giovane ragazza italiana. A scuola impara mediamente meno scienza e matematica delle sue omologhe europee (dati PISA), e sarà quindi meno impiegabile di loro nei settori del futuro. Non solo, quando si diplomano, tre italiane su dieci non lavorano e non studiano (dati OCSE), tre cercano incessantemente lavoro senza trovarlo, e quelle che lo trovano avranno semmai un contratto precario (dati ISTAT). Alcune cercano la fuga. Altre, quelle che restano, rischiano la povertà. Sì, perché in Italia, i più poveri non sono gli anziani o le mezze età, ma proprio i giovani. Un giovane su dieci è infatti a rischio di povertà assoluta. E con il Covid, anche quei pochi che avevano trovato lavoro nel turismo, nella ristorazione o nello sport - perché sì, i giovani nelle professioni sono sottorappresentati -, magari con un contratto precario, rischiano di rimanere a casa. E ancora povertà.  

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Quello che non si capisce è perché chi scrive leggi di bilancio non comprenda non solo l’urgenza macroeconomica, ma anche la crisi generazionale e umana che questi dati sottendono: un inanellarsi di delusioni, insicurezze e sogni mancati. Eppure, i soldi ci sono. E una strada pure. Torniamo all’Australia. Il governo ha deciso non solo di incentivare le assunzioni di apprendisti per 12 mesi, ma anche di abbassare il costo universitario di facoltà quali medicina, scienze e ingegneria e di finanziare corsi universitari e di formazione professionale laddove ci sono lacune strutturali. Quindi poche misure, con tanti soldi. Anche la Francia ha speso molto denaro, ma in una miriade di piccole misure che toccano la formazione, l’impiego e il lavoro, come l’aumento del compenso per gli stage o l’introduzione di sussidi per disoccupati che vogliano mettersi in proprio. Perché questa scelta? Perché risolvere il problema della disoccupazione giovanile non è uno scherzo e, invece di dibattere sul tema “sussidi vs. incentivi”, la Francia ha deciso di sperimentare: ogni sei mesi, infatti, il governo rivedrà i suoi progetti e terminerà quelli che non funzionano, convogliando le risorse dove servono di più. Ciò vuol dire anche che il governo francese avrà più informazioni sulle politiche che funzionano e vi dirigerà la sua potenza di fuoco. Non sappiamo come finirà, ma l’approccio suggerisce che qualcosa si imparerà, e, forse, i giovani ne beneficeranno.

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Quindi tre conclusioni. La prima: bisogna spendere tanto per risolvere questo problema, e sicuramente di più di quanto stiamo facendo. Qui i soldi servono. La seconda: bisogna sperimentare con politiche flessibili che abbiano un sistema di valutazione scientifico su cosa funziona e cosa no per adattarsi in itinere. La terza: non bastano incentivi alle assunzioni; occorre aprire contemporaneamente un ragionamento sulla formazione (professionale e accademica, continuativa e scolastica), sui contratti per il lavoro giovanile, e sugli incentivi alle imprese che scelgono di investire in giovani. Tutto si deve tenere a maglie strette. È questo che lascia basiti nel dibattito odierno. Sentiamo un giusto e necessario dibattito su verde e intelligenze artificiali. Ma non sentiamo parlare allo stesso volume, con la stessa enfasi di problemi che, al pari del verde, sono il nostro futuro: i giovani. Sembra quasi si voglia correre per accreditarsi presso partner europei su temi di rilevanza globale, ma tralasciando questioni strutturali interne, i compiti a casa. Ma i compiti ci sono. E la consegna è domani. Forse cominciare a ragionarci non è un male.

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