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Altro che movida

Il Covid colpisce gli anziani, ma le misure anti Covid colpiscono i giovani

Luciano Capone

Scuole chiuse (meno reddito futuro), centinaia di migliaia di posti di lavoro persi (meno opportunità oggi), 25 punti di debito pubblico (più tasse domani). Così i costi presenti e futuri dell’emergenza vengono addebitati alla Next Generation. E nella discussione pubblica non solo non si pensa a come riequilibrare l'enorme peso caricato sulle spalle delle giovani generazioni, ma le si accusa addirittura di irresponsabilità per la diffusione dei contagi

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Il Covid, lo sappiamo, colpisce più duramente gli anziani: l’età media dei deceduti e positivi al coronavirus è di 80 anni, mentre l’età mediana dei deceduti è più alta di 30 anni rispetto a quella dei positivi. La letalità diminuisce nettamente al diminuire dell’età: i deceduti con meno di 50 anni sono l’1% del totale, quota che scende allo 0,2% sotto i 40 anni. Tutto questo è risaputo e, ovviamente, non rende meno necessarie tutte le precauzioni per limitare il contagio e salvare ogni vita umana possibile. Ciò su cui c’è però molta meno consapevolezza, e di cui si discute poco, è che le misure di contrasto al Covid colpiscono più duramente i giovani.

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Il Covid, lo sappiamo, colpisce più duramente gli anziani: l’età media dei deceduti e positivi al coronavirus è di 80 anni, mentre l’età mediana dei deceduti è più alta di 30 anni rispetto a quella dei positivi. La letalità diminuisce nettamente al diminuire dell’età: i deceduti con meno di 50 anni sono l’1% del totale, quota che scende allo 0,2% sotto i 40 anni. Tutto questo è risaputo e, ovviamente, non rende meno necessarie tutte le precauzioni per limitare il contagio e salvare ogni vita umana possibile. Ciò su cui c’è però molta meno consapevolezza, e di cui si discute poco, è che le misure di contrasto al Covid colpiscono più duramente i giovani.

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Il primo pensiero corre all’istruzione. La chiusura delle scuole e la sospensione di molte attività di formazione, sostituite da una didattica a distanza che non è di pari efficacia, ha un impatto enorme sul futuro dei bambini e ragazzi. La mancata accumulazione di capitale umano avrà sicuramente un effetto negativo sui redditi futuri. Secondo uno studio della Banca mondiale, il Covid potrebbe far perdere quasi un anno di scuola agli studenti che in termini economici vuol dire una perdita di reddito annuo dal 2% all’8%. Nel volume “L’economia italiana dopo il Covid-19”, curato da Giorgio Bellettini e Andrea Goldstein, Barbara Romano stima che una chiusura di 14 settimane delle scuole possa costare in media 879 euro di reddito annuo a studente, pari a oltre 21 mila euro nel corso dell’intera vita lavorativa. “Se a livello individuale – scrive Romano – questo potrebbe non sembrare un prezzo troppo alto da pagare nella lotta contro il Covid”, esteso a tutto il paese “ il costo per 8,4 milioni di studenti italiani sarà approssimativamente di 178 miliardi di euro”. Questa perdita non sarà ovviamente omogenea, ma avrà un’intensità maggiore nelle famiglie più povere e nei contesti sociali più disagiati, dove non ci sono genitori più abbienti e istruiti che possono in parte compensare le sospensioni delle lezioni, con un impatto negativo anche in termini di disuguaglianza.

 

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Ma l’istruzione non è l’unico canale attraverso cui vengono colpiti i giovani. L’altro è il lavoro. Con il lockdown e le varie limitazioni alle attività economiche, a perdere il lavoro sono stati prevalentemente i giovani. Come ha scritto Luca de Angelis in un’analisi su questo giornale, i giovani sono occupati prevalentemente nei settori che hanno subìto le restrizioni maggiori: “Se un adulto su dieci lavora nel turismo, i giovani sono il doppio. Anche nello sport, nello spettacolo e nell’arte i giovani sono proporzionalmente più della popolazione totale”. Non solo. I giovani sono quelli che hanno pagato più di tutti in termini occupazionali anche per motivi contrattuali: erano i meno tutelati, quelli che avevano contratti precari o a termine e che – a dispetto dello slogan “nessuno perderà il posto di lavoro”– non sono stati rinnovati alla scadenza. E così, al tempo del Covid, la “mortalità” dei posti di lavoro diminuisce all’aumentare dell’età: gli occupati a settembre rispetto all’anno precedente sono -7,6% nella fascia 15-24 anni; -6,1% nella fascia 25-34 anni; -2,7% nella fascia 35-49 anni; +2,2% sopra i 50 anni. Oltre ai giovani che non hanno più un lavoro, bisogna poi considerare quelli che hanno perso l’opportunità di entrare nel mercato del lavoro: stage, tirocini.

 

A pagare però non sono solo i giovani attuali, che rischiano di diventare un po’ una generazione perduta, ma anche quelli futuri. Perché per affrontare l’emergenza, giustamente il governo ha fatto abbondante ricorso al deficit per sovvenzionare, ristorare e assistere il tessuto produttivo e le categorie sociali danneggiate. Ma questo vuol dire circa 25 punti di debito pubblico in più, ora giunto al 160% del pil, che dovrà essere sostenuto in futuro da chi già ora sta subendo i morsi della recessione. In pratica se da un lato stiamo facendo di tutto, come è giusto, per proteggere chi rischia di più come gli anziani, dall’altro stiamo scaricando i costi prevalentemente su chi rischia di meno come i giovani. Eppure nessuno pensa a come “risarcirli” per l’enorme sacrificio che stanno sopportando. Anzi, sono addirittura sotto accusa: nella discussione pubblica i giovani sono prevalentemente quegli irresponsabili che contagiano gli anziani divertendosi con la “movida”. E questo è profondamente ingiusto.

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