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l'incontro al mise

L'eterna trattativa sull'Ilva, tra esuberi e fantasiose ipotesi di "acciaio Green"

Annarita Digiorgio

Lo sciopero di fine settembre è servito a far riconvocare immediatamente il tavolo al Mise: il nodo dell'ingresso di Invitalia e l'attuazione del piano Calenda (altro che decarbonizzazione)

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Come preventivato, si è aspettato la chiusura delle elezioni regionali per riprendere la lunga trattativa Ilva, dopo l’ultimo incontro del 9 luglio. Anticipati da alcuni scioperi spontanei, i sindacati hanno atteso la mattina del 21 settembre per convocare la prima manifestazione post campagna elettorale, che nel frattempo non ha fermato la crisi del siderurgico: l’azienda ha chiesto una ulteriore proroga di cassaintegrazione Covid per ottomila lavoratori, la cui assenza dagli impianti ha evitato che ripetuti incidenti alle macchine diventassero infortuni per il personale, mentre si chiude con una perdita di circa novecento milioni il bilancio 2019 di ArcelorMittal Italia

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Come preventivato, si è aspettato la chiusura delle elezioni regionali per riprendere la lunga trattativa Ilva, dopo l’ultimo incontro del 9 luglio. Anticipati da alcuni scioperi spontanei, i sindacati hanno atteso la mattina del 21 settembre per convocare la prima manifestazione post campagna elettorale, che nel frattempo non ha fermato la crisi del siderurgico: l’azienda ha chiesto una ulteriore proroga di cassaintegrazione Covid per ottomila lavoratori, la cui assenza dagli impianti ha evitato che ripetuti incidenti alle macchine diventassero infortuni per il personale, mentre si chiude con una perdita di circa novecento milioni il bilancio 2019 di ArcelorMittal Italia

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Lo sciopero è servito a far riconvocare immediatamente il tavolo sindacale al Mise, presenti anche rappresentanti del Ministero dell’Economia, dell’Ambiente e del Lavoro. Sono questi quattro infatti i nodi da tenere insieme.  Nel frattempo Lucia Morselli, l’amministratore delegato da ArcelorMittal dopo la fuoriuscita di tutti i quadri lussemburghesi, è stata nominata nel cda di Atlantia. A conferma di quanto da queste pagine sosteniamo da tempo: che la sua è una nomina politica, non identificabile con ArcelorMittal che, al netto del mantenimento delle quote societarie, tecnicamente è fuori da Ilva dal giorno in cui il governo ha tolto lo scudo penale. 

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Ed è stata proprio Lucia Morselli durante una puntata estiva di Porta a Porta a lanciare la bomba sul piano occupazionale: il nuovo piano prevede 5 mila esuberi. Subito smentita dal viceministro dell’economia Misiani. Piano che come  lamentano i sindacati è ancora segreto. Per sapere la verità basterebbe svelarlo, come fece con il precedente contratto l’allora neoeletto parlamentare grillino di Taranto Mario Turco, che ben si guarda dal pubblicarlo ora che nel frattempo è divenuto sottosegretario contiano alla Presidenza del Consiglio. 

 

In ogni caso tutti sanno che quello degli esuberi è un nodo che difficilmente si risolverà, considerando che gli stessi commissari Ilva in as hanno ancora da ricollocare i 1300 lavoratori rimasti in cassa integrazione. Dal punto di vista finanziario il dossier è affidato, tramite Mef, alla due diligence condotta da Enrico Laghi (che in veste di ex commissario Ilva nelle scorse settimane è stato sentito dalla Procura di Potenza in merito all’indagine sull’ex procuratore capo di Taranto Capristo e a delle intercettazioni che legherebbero uno degli attuali legali Ilva in as al faccendiere Piero Amara). A seguito della definizione del valore reale, verrà definita la percentuale con cui lo Stato attraverso Invitalia entrerà nel cda di Ilva. Dove Michele Emiliano vorrebbe fare entrare anche Regione Puglia, fissando la definitiva provincializzazione di quella che era la più grande industria siderurgica d’Europa. 

 

Quanto al piano industriale, ne abbiamo sentite di ogni. La parola d’ordine del Pd, per rifarsi un colore dopo i rinnegati 12 decreti, è “acciaio Green”. Che come più volte dichiarato anche dallo stesso Patuanelli, non vuol dire niente. Il responsabile del Mise, con molta più concretezza e onestà, ha chiaramente detto che nè l’idrogeno nè altre fantomatiche ipotesi di decarbonizzazione sono realizzabili nel breve periodo. E che piuttosto preferirebbe chiudere definitivamente l’area a caldo. Ma anche queste dichiarazioni si discostano dall’accordo del 4 marzo, che invece prevede il raggiungimento degli 8 milioni di produzione con due forni elettrici e il rifacimento di afo 5 (tutti progetti a carbone, con buona pace di Boccia ed Emiliano). 

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Arriviamo alla questione ambientale. Ispra, l’autorità di controllo del Ministero, continua a confermare che Ilva rispetta tutti i paramentri ambientali annuali tenendosi ben al di sotto dei limiti emissivi previsti. Nel frattempo è ancora incardinato al Ministero il riesame dell’Aia legato alla valutazione del rischio sanitario fornita da Asl e Arpa Puglia a dicembre 2019, la quale ha stabilito un rischio accettabile, con l’attuale ciclo integrale, fino ai 6 milioni di produzione (coincidente con il break even point). Questo può sembrare un aspetto di secondo piano, invece è fondamentale: in sostanza il ministero dell’ambiente afferma che se viene completato il piano Calenda, Ilva può produrre da altoforni fino a 6 milioni di tonnellate l’anno senza danni sulla salute.  Insomma l’acciaio green Ilva già lo fa se rispetta l’attuale piano ambientale. 

 

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Il cui completamento però è stato bloccato causa interruzione covid delle ditte appaltatrici.  I commissari hanno quindi chiesto il differimento di alcuni termini intermedi, che il Ministero ha concesso in seguito all’assenza di Comune e Provincia di Taranto dalla conferenza dei servizi decisoria. E mentre alle regionali a Taranto città i 5 stelle hanno preso il dieci per cento, e il candidato del Pd “green” 700 voti, il famigerato afo2 a carbone (ancora spento causa covid) non ripartirà prima di aver completato a gennaio 2021 i lavori prescritti dalla Procura, se mai verrà riacceso.

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