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Lavorare meno, pensionare prima. Le idee fisse e sbagliate della Catalfo

Luciano Capone

Il rischio è che le ricette del ministro del Lavoro riducano la competitività delle imprese e facciano aumentare la disoccupazione

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Si sapeva che sarebbe andata a finire così. Mario Draghi fa un discorso tutto centrato sui giovani e sul “debito buono”, cioè utilizzato per aumentare la produttività ad esempio nel capitale umano, nelle infrastrutture e nella ricerca, e chi è al governo prima lo sommerge di elogi e applausi e poi fa l’esatto contrario. Per poter accedere ai 209 miliardi di trasferimenti e prestiti messi a disposizione dall’Unione europea, si sa che bisogna produrre piani e progetti. In mancanza di idee nuove, il governo sta pensando così di riproporne di vecchie che neppure hanno avuto un buon esito. Il piano per l’occupazione del ministro del Lavoro Nunzia Catalfo, da inserire nel più ampio Recovery plan che il governo dovrà presentare in autunno a Bruxelles, si basa su due pilastri, che poi sono due slogan che piacciono ai sindacati: riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario (lavorare meno, lavorare tutti!) e staffetta generazionale (gli anziani in pensione, i giovani al lavoro!).

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Si sapeva che sarebbe andata a finire così. Mario Draghi fa un discorso tutto centrato sui giovani e sul “debito buono”, cioè utilizzato per aumentare la produttività ad esempio nel capitale umano, nelle infrastrutture e nella ricerca, e chi è al governo prima lo sommerge di elogi e applausi e poi fa l’esatto contrario. Per poter accedere ai 209 miliardi di trasferimenti e prestiti messi a disposizione dall’Unione europea, si sa che bisogna produrre piani e progetti. In mancanza di idee nuove, il governo sta pensando così di riproporne di vecchie che neppure hanno avuto un buon esito. Il piano per l’occupazione del ministro del Lavoro Nunzia Catalfo, da inserire nel più ampio Recovery plan che il governo dovrà presentare in autunno a Bruxelles, si basa su due pilastri, che poi sono due slogan che piacciono ai sindacati: riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario (lavorare meno, lavorare tutti!) e staffetta generazionale (gli anziani in pensione, i giovani al lavoro!).

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Il primo pilastro del piano del ministro Catalfo parte dall’assunto che se si immaginano le ore di lavoro per raggiungere una certa produzione nazionale come una torta fissa, basta fare fette più piccole per averne di più. Ma, a parte che già questa idea è fallace perché comunque si avrebbe un impatto sul sistema produttivo, la proposta va oltre. E cioè che le fette non solo siano di più (riduzione dell’orario di lavoro e quindi più occupati), ma siano grandi come prima (a parità di salario). E’ evidente che servirebbe una torta più grande. In assenza di questo, cioè di una crescita dell’economia, ridurre l’orario di lavoro a parità di stipendio non fa altro che aumentare il costo del lavoro e quindi riduce la competitività delle imprese che già sono in crisi. Se non aumenta la produttività, le imprese falliscono. Di questo anche al governo se ne rendono conto, e allora la soluzione sarebbe: “Senza costi per le imprese”, ovvero il maggiore costo del lavoro lo paga lo stato. Purtroppo, anche senza considerare l’enorme costo di un’operazione redistributiva del genere, gli effetti non sono positivi. Lo dimostra storicamente il caso scuola delle 35 ore in Francia, dove la riduzione dell’orario di lavoro voluta dai governi socialisti (prima Mitterrand e poi Jospin/Aubry) è stata accompagnata da generosi sgravi alle imprese eppure l’occupazione non è aumentata.

 

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L’altro pilastro di questo tavolo traballante è la “staffetta generazionale”, ovvero incentivare il prepensionamento dei più anziani per favorire l’ingresso dei giovani. Anche in questo caso il mercato del lavoro viene erroneamente visto come una torta (siamo in un “modello superfisso”, direbbe Sandro Brusco). Questo paradigma, alla base delle scellerate politiche pensionistiche italiane, non ha aiutato i giovani ma li ha affossati caricandoli un forte peso contributivo e di un enorme debito pubblico (esplicito e implicito). Come dimostrano gli studi degli economisti Agar Brugiavini e Franco Peracchi, storicamente è accaduto l’esatto contrario: a un maggiore incentivo alla pensione è associato un più alto tasso di disoccupazione. E la dimostrazione più recente è proprio l’esito fallimentare di Quota 100, dove questo ricambio giovani/anziani non c’è stato.

 

Ma il problema non è solo economico. Il governo italiano ripropone le stesse politiche che non hanno funzionato – e che l’Europa ha a lungo criticato – chiedendo che però stavolta a pagarle sia Bruxelles. Ricorda un po’ l’approccio di Trump che promette la costruzione di un muro al confine con il Messico pagato dai messicani. “Guai a pensare che usiamo i 200 miliardi per ridurre le tasse, sarebbe davvero un messaggio sbagliato”, ha ammonito nei giorni scorsi in audizione parlamentare il commissario Ue per l’Economia Paolo Gentiloni. Ma presentarsi con un piano che chiede ai governi tedesco, olandese e francese di tassare i loro cittadini per far lavorare di meno o prepensionare i nostri è persino peggio.

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