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Lezioni dal virus: serve più concorrenza contro la diseguaglianza

Giovanni Pitruzzella

La stagione della pandemia impone alle classi dirigenti di combattere la scorciatoia populista degli antitrust

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Qual è il ruolo della politica della concorrenza nell’Europa post-covid? Qualcuno potrebbe pensare che, in un mondo che deve fronteggiare una delle peggiori recessioni della storia recente, la concorrenza sia un lusso che non possiamo permetterci. Non credo che sia questa la risposta giusta, piuttosto la pandemia ha agito come formidabile acceleratore della storia portando a compimento tendenze che erano presenti già prima della crisi sanitaria e economica. Questo sta avvenendo anche con riguardo alla politica e al diritto della concorrenza, che non spariranno dal nostro orizzonte ma sono destinati a cambiare per rispondere ad alcune sfide epocali. Non spariranno non solo perché costituiscono un architrave della costruzione europea che pone vincoli giuridici agli Stati membri, ma soprattutto perché una concorrenza efficace giova ai consumatori, in particolare a quelli appartenenti alla fasce economicamente più deboli, in termini di riduzione dei prezzi e evita che i monopolisti sfruttino la loro forza economica per ottenere dai decisori politici privilegi che accrescono le loro rendite di posizione a scapito della generalità dei cittadini. Di conseguenza, una tutela effettiva della concorrenza è un pezzo delle politiche per fronteggiare le diseguaglianze e di ciò ne è prova il fatto che negli USA molti (con in testa il premio nobel Joseph Stiglitz) ritengono che in quel Paese un debole enforcement antitrust abbia concorso all’aumento delle diseguaglianze. Inoltre se l’imperativo comune è quello di ritornare a crescere e se l’innovazione è una componente essenziale per farlo, ci sono molto evidenze che provano come in un’economia chiusa in cui esistono barriere all’entrata di nuovi concorrenti le imprese perdono un fondamentale incentivo ad innovare.

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Qual è il ruolo della politica della concorrenza nell’Europa post-covid? Qualcuno potrebbe pensare che, in un mondo che deve fronteggiare una delle peggiori recessioni della storia recente, la concorrenza sia un lusso che non possiamo permetterci. Non credo che sia questa la risposta giusta, piuttosto la pandemia ha agito come formidabile acceleratore della storia portando a compimento tendenze che erano presenti già prima della crisi sanitaria e economica. Questo sta avvenendo anche con riguardo alla politica e al diritto della concorrenza, che non spariranno dal nostro orizzonte ma sono destinati a cambiare per rispondere ad alcune sfide epocali. Non spariranno non solo perché costituiscono un architrave della costruzione europea che pone vincoli giuridici agli Stati membri, ma soprattutto perché una concorrenza efficace giova ai consumatori, in particolare a quelli appartenenti alla fasce economicamente più deboli, in termini di riduzione dei prezzi e evita che i monopolisti sfruttino la loro forza economica per ottenere dai decisori politici privilegi che accrescono le loro rendite di posizione a scapito della generalità dei cittadini. Di conseguenza, una tutela effettiva della concorrenza è un pezzo delle politiche per fronteggiare le diseguaglianze e di ciò ne è prova il fatto che negli USA molti (con in testa il premio nobel Joseph Stiglitz) ritengono che in quel Paese un debole enforcement antitrust abbia concorso all’aumento delle diseguaglianze. Inoltre se l’imperativo comune è quello di ritornare a crescere e se l’innovazione è una componente essenziale per farlo, ci sono molto evidenze che provano come in un’economia chiusa in cui esistono barriere all’entrata di nuovi concorrenti le imprese perdono un fondamentale incentivo ad innovare.

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Se quindi la politica della concorrenza è una parte della risposta alle esigenze della ricostruzione economica, questo non significa che essa non dovrà cambiare e che a Bruxelles non si rifletta sulle sfide e le soluzioni. Ci sono, in particolare, quattro campi in cui il mutamento sarà più importante. In primo luogo, la tutela della concorrenza dovrà coniugarsi con la sostenibilità ambientale. L’European Green Deal è uno degli assi portanti dell’azione della Commissione attorno a cui saranno impiegate molte delle risorse provenienti dal bilancio europeo per la ricostruzione economica. La promozione della sostenibilità richiederà il coordinamento delle imprese che si impegnano a favore di prodotti più sostenibili e che potrebbero soffrire il cosiddetto “first mover disadvantage”, fino a quando i consumatori sceglieranno prodotti meno cari ma anche meno sostenibili. Accordi tra imprese potranno riguardare l’incremento del riciclo, la riduzione della plastica e la sua raccolta, la riduzione delle emissioni clima-alteranti, forme di pesca più sostenibili, per fare solo qualche esempio. Ma la paura delle sanzioni antitrust potrebbe scoraggiare queste forme di collaborazione.


Se l’imperativo comune è quello di ritornare a crescere e se l’innovazione è una componente essenziale per farlo, ci sono molte evidenze che provano come in un’economia chiusa in cui esistono barriere all’entrata di nuovi concorrenti le imprese perdono un fondamentale incentivo a innovare 


I sostenitori del “Green antitrust” propongono un’applicazione più flessibile del diritto della concorrenza che permetta, in certi casi, alle ragioni della sostenibilità di prevalere su quelle della concorrenza. Alla fine dell’anno scorso anche la Commissaria per la concorrenza, parlando della sostenibilità, ha affermato che le Autorità antitrust devono dare il loro contributo. Si tratta di un cambio di paradigma, perché fino ad oggi l’obiettivo della tutela della concorrenza è stato il benessere del consumatore, identificato prevalentemente con l’abbassamento dei prezzi, e le ragioni che, secondo l’interpretazione della Commissione, possono giustificare comportamenti a prima vista anti-concorrenziali sono legate all’efficienza economica. Tuttavia inserire una valutazione di sostenibilità nelle valutazioni antitrust può trovare una base nelle previsioni costituzionali dei Trattati europei. Essi pongono tra gli obiettivi dell’UE lo sviluppo sostenibile e affermano che la tutela dell’ambiente deve essere integrata nella configurazione di tutte le politiche dell’Unione, quindi anche della politica della concorrenza. La vera posta in gioco sarà come rendere compatibile questa evoluzione con l’esigenza di certezza e di prevedibilità nell’applicazione del diritto della concorrenza.

 

Un altro campo di trasformazione riguarderà l’interazione tra la tutela della concorrenza e un’altra politica dell’Unione che sta conoscendo, anche per effetto della crisi economica, una forte valorizzazione: la politica industriale. Nel marzo 2020 la Commissione ha infatti presentato la “Nuova Strategia industriale per l’Europa”. Qui entrano in contatto l’aspetto “interno” della concorrenza, con l’aspetto “esterno” legato alla competizione nei mercati globali. La politica industriale europea infatti si lega all’esigenza di far crescere dei “campioni europei” capaci di competere sui mercati mondiali. Lo stop di Bruxelles nel 2019 alla concentrazione tra Siemens e Alstom ha portano alcuni Paesi (Germania, Francia e Polonia) a chiedere una revisione delle regole sul controllo delle concentrazioni in modo da tenere conto di fondamentali esigenze di politica industriale. Ancora una volta si tratterà di tenere insieme una visione più allargata degli obiettivi antitrust con l’esigenza di prevedibilità delle decisioni e il mantenimento di un mercato comune realmente concorrenziale.

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Questi sviluppi portano alla ribalta una consapevolezza nuova sul rapporto tra tutela della concorrenza e trasformazione dell’economia mondiale, in cui operano imprese sussidiate dai paesi a capitalismo di stato, come la Cina. In Europa vige un generale divieto di aiuti di Stato, che può essere derogato solo in presenza di precise condizioni, con la conseguenza che le imprese europee si trovano svantaggiate quando devono competere nel mercato unico con imprese straniere che godono di sovvenzioni statali. Nel mese di giugno la Commissione ha presentato un “Libro bianco” che affronta questo problema con l’obiettivo di reintegrare un “level playing field” tra imprese europee e imprese sussidiate. L’idea è di rendere possibile un controllo sui sussidi di cui godono le imprese straniere che operano in Europa e, una volta appurato che essi creano una distorsione concorrenziale, introdurre i rimedi idonei a ricreare un terreno di gioco paritario. La tutela della concorrenza si viene così a legare con la grande questione della garanzia della sovranità economica, riferita all’Europa piuttosto che ai singoli Stati.

 

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In questa prospettiva, un altro cambiamento riguarda i mercati digitali, dominati da pochi attori globali, il cui “market power” è così grande da creare barriere all’ingresso di nuovi competitori e da condizionare lo stesso funzionamento della democrazia (si pensi soltanto al rapporto tra fake news e piattaforme). In mercati che naturalmente portano alla concentrazione di potere economico, un’applicazione debole del diritto antitrust può avere brutte conseguenze per il funzionamento dell’economia e della democrazia, ma al tempo stesso un’applicazione sbagliata può bloccare l’innovazione. Il che induce a riflettere sull’adeguatezza delle regole attuali alle dinamiche dei mercati digitali e pertanto la Commissione ha lanciato una consultazione pubblica sulle regole della concorrenza nei mercati digitali.

 

Insomma, sul tavolo ci sono questioni enormi non solo per i nuovi assetti della politica della concorrenza, ma anche per il futuro dell’Europa. Di conseguenza, è necessario che su di esse si svolga un dibattito pubblico adeguato in cui si sappia anche quali saranno le posizioni che assumeranno le istituzioni politiche e l’Autorità della concorrenza italiana, che prendono parte, a vario titolo, ai processi decisionali europei.

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