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Il modello Messi è più importante del Mes

Claudio Cerasa

Le possibilità della stella del Barça di finire in Italia sono legate a una virtù spesso rimossa del nostro paese: attrarre talenti offrendo condizioni simili a un paradiso fiscale. Cosa può fare il governo per attirare in Italia i Messi dell’economia globale

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Sognare si può, no? La notizia del possibile o se volete non impossibile trasferimento di Lionel Messi dal Barcellona di Ronald Koeman all’Inter di Antonio Conte è una notizia che suscita una certa eccitazione non solo per questioni legate al futuro del campionato italiano ma anche per questioni legate più pragmaticamente al futuro del nostro paese. Non sappiamo ancora se il Barcellona asseconderà il desiderio di Messi di far appello a una clausola del suo contratto milionario che gli permetterebbe di liberarsi praticamente a parametro zero. Ma sappiamo invece che le possibilità del sei volte Pallone d’oro di arrivare in serie A sono legate anche a una caratteristica del nostro paese, di cui ha già beneficiato anche Cristiano Ronaldo, che solo quando si parla di calcio assume l’aspetto più di una virtù che di un vizio: la capacità dell’Italia di attrarre talenti offrendo ad alcune categorie di persone condizioni simili a quelle di un paradiso fiscale.

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Sognare si può, no? La notizia del possibile o se volete non impossibile trasferimento di Lionel Messi dal Barcellona di Ronald Koeman all’Inter di Antonio Conte è una notizia che suscita una certa eccitazione non solo per questioni legate al futuro del campionato italiano ma anche per questioni legate più pragmaticamente al futuro del nostro paese. Non sappiamo ancora se il Barcellona asseconderà il desiderio di Messi di far appello a una clausola del suo contratto milionario che gli permetterebbe di liberarsi praticamente a parametro zero. Ma sappiamo invece che le possibilità del sei volte Pallone d’oro di arrivare in serie A sono legate anche a una caratteristica del nostro paese, di cui ha già beneficiato anche Cristiano Ronaldo, che solo quando si parla di calcio assume l’aspetto più di una virtù che di un vizio: la capacità dell’Italia di attrarre talenti offrendo ad alcune categorie di persone condizioni simili a quelle di un paradiso fiscale.

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La storia probabilmente la conoscete già: coloro che trasferiscono la residenza fiscale in Italia possono avvalersi di un regime opzionale che permette di beneficiare del pagamento di un’imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero (per esempio sui profitti realizzati fuori dal paese, come possono essere per un calciatore i diritti di immagine), a condizione che non siano stati fiscalmente residenti nel territorio dello stato per almeno nove dei dieci periodi d’imposta precedenti all’inizio di validità dell’opzione, e tale regime, introdotto nel 2017, prevede il pagamento di un’imposta sostitutiva dell’Irpef calcolata forfettariamente nella misura di 100 mila euro per ogni anno d’imposta in cui è valida l’opzione (secondo i dati confermati al Foglio dall’Agenzia delle entrate, il numero di soggetti che hanno goduto di questa opzione negli anni sono stati 99 nel 2017, 264 nel 2018, 421 nel 2019). Non è l’unica forma di agevolazione fiscale che esiste in Italia e in molti sanno che oltre alla legge che dimezza l’imponibile per i cittadini stranieri che spostano la residenza in Italia per almeno due anni (norma che ha spinto qualche giorno fa proprio il padre di Messi ad acquistare casa a Milano, ops!) esistono altre leggi pensate proprio per fare ciò che quando viene fatto da altri paesi buona parte della classe dirigente italiana tende a definire una sleale concorrenza fiscale. Esiste una legge che incentiva il rientro di lavoratori operanti all’estero, come ricercatori, docenti, laureati, studenti, maestranze direttive, maestranze qualificate, ai quali lo stato italiano offre incentivi per trasferire la residenza fiscale nel nostro paese, attraverso un regime di tassazione agevolata di durata temporanea ed esiste, per esempio, un’altra norma che offre la possibilità a persone fisiche titolari di redditi da pensione erogati da soggetti esteri che trasferiscono la residenza fiscale in Italia, in uno dei comuni appartenenti al territorio delle regioni Sicilia, Calabria, Sardegna, Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise e Puglia di beneficiare di un regime fiscale opzionale, che prevede l’applicazione di un’imposta sostitutiva dell’Irpef con aliquota al 7 per cento a qualsiasi categoria di reddito prodotto all’estero.

   

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Se si sposta per un attimo l’attenzione dal caso Messi al caso Italia si capirà che il problema dell’Italia rispetto alla sua capacità di attrarre talenti in giro per il mondo non è legata al tema “se” praticare una forma anche aggressiva di concorrenza fiscale ma al “come” farla. Fino a oggi l’Italia, al contrario per esempio dell’Olanda, ha scelto di utilizzare le leve della concorrenza fiscale più per attrarre i talenti dei miliardari e dei pensionati che per attrarre i talenti delle imprese. E se vogliamo, la prospettiva di avere un Messi in Italia anche grazie alle agevolazioni previste dal fisco italiano dovrebbe far riflettere la classe dirigente del nostro paese e soprattutto il nostro governo su un tema che è persino più importante del dibattito Mes sì Mes no e che mesi fa è stato sollevato sulle pagine di questo giornale da Stefano Firpo e Andrea Tavecchio: la necessità, da parte dell’Italia, di affrontare la nuova stagione economica predisponendo per esempio incentivi fiscali che supportino quelle imprese che decidano di trasferire in Italia attività produttive che in precedenza venivano svolte in stati extra Ue (il cosiddetto Reshoring) e utilizzando così la leva fiscale per attrarre nel nostro paese non solo pensionati e miliardari ma anche aziende ricche e competitive. Un paese si sviluppa solo se riesce a trovare un modo per attrarre oltre al capitale umano anche il capitale finanziario. E in attesa di capire cosa ne sarà dei fondi del Mes, l’Italia forse farebbe bene a capire che il suo futuro dipende anche dalla possibilità di attrarre in Italia gli altri Messi del capitalismo globale. Sognare si può, no?

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