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Palermo, il manager defilato che tesse la tela per la grande rete

Marianna Rizzini

Vuole “agevolare un’infrastruttura unica” tra Tim e Open Fiber, per la competitività del paese. Ritratto del capo di Cassa depositi e prestiti

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Roma. La ripartenza post Covid, la corsa alla digitalizzazione, la rete unica tra Tim e Open Fiber e Cassa depositi e prestiti probabile co-protagonista, nei prossimi giorni, nel ruolo di attore industriale pubblico nelle telecomunicazioni, dell’eventuale operazione di aumento quota in Tim, con Fabrizio Palermo, l’amministratore delegato, al centro della scena. Palermo, cioè l’uomo che, agli albori del governo Conte 1, era stato descritto come “tecnico politico” (con “politico” nel senso di preferito dai Cinque stelle). Si era nell’estate del 2018 e il nome di Palermo aveva accompagnato a intermittenza i mesi di difficile gestazione dell’esecutivo, ogni volta che si parlava del vertice Cdp – c’era infatti chi, in area Tesoro, per esempio Giovanni Tria, avrebbe preferito un manager come il vicepresidente della Banca europea degli investimenti Dario Scannapieco, stimato anche da Mario Draghi. Palermo era entrato nella rosa di nomi in quota Luigi Di Maio, in virtù dei buoni rapporti favoriti dalla presentazione di Stefano Donnarumma, amministratore delegato Acea, e con un curriculum per così dire classico: manager quarantasettenne nato a Perugia, con studi a Roma e formazione lavorativa a Londra, lungo il percorso che vede prima un impiego nella banca Morgan Stanley, a occuparsi di fusioni e acquisizioni societarie, e poi un ruolo di peso nella società di consulenza McKinsey (dove hanno lavorato anche Corrado Passera e Vittorio Colao).

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Roma. La ripartenza post Covid, la corsa alla digitalizzazione, la rete unica tra Tim e Open Fiber e Cassa depositi e prestiti probabile co-protagonista, nei prossimi giorni, nel ruolo di attore industriale pubblico nelle telecomunicazioni, dell’eventuale operazione di aumento quota in Tim, con Fabrizio Palermo, l’amministratore delegato, al centro della scena. Palermo, cioè l’uomo che, agli albori del governo Conte 1, era stato descritto come “tecnico politico” (con “politico” nel senso di preferito dai Cinque stelle). Si era nell’estate del 2018 e il nome di Palermo aveva accompagnato a intermittenza i mesi di difficile gestazione dell’esecutivo, ogni volta che si parlava del vertice Cdp – c’era infatti chi, in area Tesoro, per esempio Giovanni Tria, avrebbe preferito un manager come il vicepresidente della Banca europea degli investimenti Dario Scannapieco, stimato anche da Mario Draghi. Palermo era entrato nella rosa di nomi in quota Luigi Di Maio, in virtù dei buoni rapporti favoriti dalla presentazione di Stefano Donnarumma, amministratore delegato Acea, e con un curriculum per così dire classico: manager quarantasettenne nato a Perugia, con studi a Roma e formazione lavorativa a Londra, lungo il percorso che vede prima un impiego nella banca Morgan Stanley, a occuparsi di fusioni e acquisizioni societarie, e poi un ruolo di peso nella società di consulenza McKinsey (dove hanno lavorato anche Corrado Passera e Vittorio Colao).

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In Cassa depositi e prestiti, la cosiddetta “cassaforte dello stato”, Palermo arriva dopo gli anni trascorsi in Fincantieri, da direttore finanziario e poi da vice direttore generale, negli anni in cui Fincanteri stessa viene quotata in Borsa. Quando viene nominato amministratore delegato Cdp, Palermo ha già raccolto il plauso dell’allora alleato leghista di Di Maio: “Mi piace molto”, aveva detto infatti Matteo Salvini di colui che, tra i giovani manager ex studenti della Sapienza volati a Londra, era stato soprannominato “Harry Potter”, per via degli occhiali tondeggianti e del taglio (nonché dal colore) di capelli. Anglosassone nell’aspetto, ma francese nella linea, Palermo, anche a governo cambiato, nel settembre del 2019, ribadiva, intervistato dal Sole 24 Ore, il concetto dello “stringere partnership strategiche” con sessantamila Pmi in circa tre anni (dice un insider: “Il modello è la Caisse de dépôts, cioè supporto alle imprese, alla pubblica amministrazione e ai progetti sulle infrastrutture”): “Andremo sempre più dove le imprese vivono, producono, vendono”, diceva il manager, “il tutto in complementarietà con le banche e in sinergia con le fondazioni bancarie”. “Gli è stato chiesto di condividere il nostro programma”, dicevano invece di lui i Cinque stelle al momento della scelta, con in mente una “banca pubblica degli investimenti”.

   

In ogni caso, le operazioni Cdp in questi anni non sembrano tradire, ma neanche del tutto sposare, la linea dei referenti politici, anche se alcune sembrano più in linea di altre: cooperazione per lo sviluppo sostenibile, accordo con Unicredit per l’internazionalizzazione delle imprese italiane in Cina, avvio dell’iniziativa “zero plastica”, accordo per iniziative congiunte nell’ambito dell’economia circolare, della decarbonizzazione e delle energie rinnovabili, intesa con il Russian Direct Fund per promuovere la cooperazione economica tra Italia e Russia, avvio di un “social housing bond” da 750 milioni di euro. E però anche, in piena crisi Alitalia, ruolo parzialmente defilato, cosa che gli aliena le simpatie di alcuni dei suoi fan di area M5s. “Siamo un investitore paziente”, diceva Palermo al Tech festival di questo giornale, un anno fa, a proposito della durata nel tempo degli investimenti. Ma alludeva anche all’arte di dire no (ad alcuni salvataggi): “Può capitare di dirli, dei no, ma lo facciamo sempre con grande trasparenza, attenendoci ai nostri criteri di valutazione degli investimenti e ai nostri limiti statutari e normativi”.

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Paziente è anche la caratteristica necessaria a chi pratica i due sport amati da Palermo, anche marito e padre di due figli: il canottaggio e il ciclismo. La pazienza servirà nell’operazione grande rete? Le parole del manager, già un anno fa, indicavano intanto la sua pista: “Il nostro obiettivo è quello di agevolare un’infrastruttura unica, necessaria per la competitività del paese”.

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