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L’età dell’oro

Maurizio Stefanini

Non tutto luccica come si pensava nel mondo post Covid. Il metallo giallo invece sta battendo ogni record. Storie di un archetipo divino e maledetto

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E se il Covid portasse a una nuova età dell’oro? “Andrà tutto bene”, è stato uno slogan del lockdown. In senso figurato, in molti hanno provato a immaginare che dalla sfida della pandemia potesse infatti venire fuori una umanità migliore. Più solidale; più legata ai valori della famiglia e rispettosa delle generazioni; più attenta alla vivibilità; più “sostenibile”; di nuovo capace di farsi il pane in casa e di cantare sui balconi, sotto cieli più puliti. Utopie a parte, vari pensatori iniziano a scrivere saggi in cui sostengono che la pandemia potrà fare da potente acceleratore del cambio sociale: a partire dal definitivo sdoganamento dello smart working. E’ un libro del 2013, ma un riferimento obbligato potrebbe essere a Perché le nazioni falliscono, di Daron Acemoglu: quando spiega il ruolo della peste nera nel distruggere le basi della “società estrattiva” feudale in Inghilterra, e nel far nascere istituzioni “inclusive” che avrebbero finito per contagiare positivamente per lo meno quella parte del mondo che oggi sta meglio. Altri intellettuali, a partire da Mario Vargas Llosa e Bernard-Henry Levy, stanno invece avvertendo di come tra un divieto e l’altro ci sia un nuovo autoritarismo in agguato, a parte i rischi di carestia e miserie di cui avvertono varie agenzie Onu. Insomma, altro che età dell’oro!

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E se il Covid portasse a una nuova età dell’oro? “Andrà tutto bene”, è stato uno slogan del lockdown. In senso figurato, in molti hanno provato a immaginare che dalla sfida della pandemia potesse infatti venire fuori una umanità migliore. Più solidale; più legata ai valori della famiglia e rispettosa delle generazioni; più attenta alla vivibilità; più “sostenibile”; di nuovo capace di farsi il pane in casa e di cantare sui balconi, sotto cieli più puliti. Utopie a parte, vari pensatori iniziano a scrivere saggi in cui sostengono che la pandemia potrà fare da potente acceleratore del cambio sociale: a partire dal definitivo sdoganamento dello smart working. E’ un libro del 2013, ma un riferimento obbligato potrebbe essere a Perché le nazioni falliscono, di Daron Acemoglu: quando spiega il ruolo della peste nera nel distruggere le basi della “società estrattiva” feudale in Inghilterra, e nel far nascere istituzioni “inclusive” che avrebbero finito per contagiare positivamente per lo meno quella parte del mondo che oggi sta meglio. Altri intellettuali, a partire da Mario Vargas Llosa e Bernard-Henry Levy, stanno invece avvertendo di come tra un divieto e l’altro ci sia un nuovo autoritarismo in agguato, a parte i rischi di carestia e miserie di cui avvertono varie agenzie Onu. Insomma, altro che età dell’oro!

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Ma la cosa diventa diversa se invece che al senso figurato ci riferiamo a quello letterale. Età dell’oro, nel senso che come bene rifugio il metallo giallo sta battendo ormai un record dopo l’altro. Secondo gli ultimissimi dati, ha ormai sfondato anche quota 2.000 dollari l’oncia: al cambio in sistema metrico decimale, fa circa 64 dollari al grammo. Il 32 per cento di rialzo da inizio anno è già un record storico in termini nominali, anche se non lo è ancora in valore reale tenendo conto dell’inflazione. E ancora a metà luglio le quotazioni si fermavano a 1.800 dollari l’oncia. E dunque tra incertezza per il dopo pandemia, tensioni tra Stati Uniti e Cina che indeboliscono il dollaro, risse nell’Unione europea che fanno anche di peggio con l’euro, rendimenti di obbligazioni e titoli di stato prossimi allo zero, regimi autoritari alla frutta per cui sempre più il traffico di oro sta diventando una estrema risorsa, staremmo tornando se non proprio a quel Gold Standard che fu smantellato dalle due guerre mondiali e la cui ultima propaggine del sistema di Bretton Woods saltò con la Guerra del Vietnam, per lo meno a qualcosa di molto simile. Se Goldman Sachs prevede che nel 2022 l’oro arriverà a 2.300 dollari l’oncia, qualcun altro pensa addirittura a una quota attorno ai 3.500.


Secondo gli ultimi dati, ha ormai sfondato anche quota 2.000 dollari l’oncia, pari a circa 64 dollari al grammo


 

Però, il mondo post Covid viene anche previsto come keynesiano. Con i pil in recessione storica, un governo dopo l’altro approva piani di intervento massiccio per provare a rilanciare l’economia, e la stessa Unione europea attraverso il Recovery fund ha per la prima volta introdotto il principio dell’indebitamento per stanziare trasferimenti fiscali tra i paesi membri. E come la mettiamo allora con Keynes, che bollava l’oro “reliquia barbara” da spazzar via dall’economia moderna? Non in modo agevole, d’accordo. Però in fondo l’oro da sempre è un archetipo che si presta a polarità opposte. A partire appunto da quell’Età dell’oro cantata da Esiodo e Virgilio come tempo mitico di prosperità e abbondanza, durante il quale gli esseri umani vivevano senza bisogno di leggi, né avevano la necessità di coltivare la terra poiché da essa cresceva spontaneamente ogni genere di pianta. Non esisteva la proprietà privata, non c’era odio tra gli individui, le guerre non flagellavano il mondo, era sempre primavera, e non c’era dunque bisogno né di costruire case né di ripararsi in grotte.

 

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Lo stesso Virgilio, però, è quello della auri sacra fames. “Quid non mortalia pectora cogis, / Auri sacra fames”, sono i versi esatti dell’Eneide. “A cosa non spingi i petti mortali, / miserabile cupidigia dell’oro”; è la traduzione più accreditata. “Sacra” però è a sua volta ambiguo, e il grammatico Servio usava proprio questa locuzione per spiegare l’ambivalenza del lemma, di origine greca, nei suoi due sensi di “orrido” e di “puro”. Insomma, la brama di oro è maledetta e divina allo stesso tempo. Il re Mida del mito ottiene infatti da Dioniso il dono di trasformare in oro qualunque cosa tocchi, ma poi deve implorare lo stesso dio di toglierglielo, perché non potendo inghiottire il cibo diventato metallo al tocco delle sue mani e della sua lingua rischia di morire di fame.

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Ma torniamo all’Età dell’oro. Poteva servire a qualcosa l’oro in una società del genere? Presumibilmente, no. Ed ecco dunque una Età dell’oro in cui l’oro non c’era: a meno di non pensare invece, al contrario, a un’età in cui proprio per cancellarne alla radice l’avidità il metallo giallo non fosse volutamente distribuito in modo da svilirlo. Tommaso Moro, l’inventore del termine stesso Utopia, pensava infatti che con l’oro si sarebbero dovute fare le catene per gli schiavi, mentre per Lenin sarebbe stato ancora più efficace fabbricarne orinatoi.

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Le corse all’oro dell’800. La Cina primo produttore mondiale dopo aver scalzato il Sudafrica. Le riserve della Banca d’Italia


 

Assieme al liberale interventista Keynes, al comunista cristiano Moro, al marxista Lenin, tra i radicali anti oro va poi messo William Jennings Bryan: il candidato democratico Usa che fu sconfitto alle presidenziali del 1896, del 1900 e del 1908, ma che soprattutto nella sua prima campagna elettorale divenne famoso per lo slogan: “Tu non crocifiggerai l’umanità su una croce d’oro”. Fautore infatti di un sistema bimetallico che attaccava gli interessi dei proprietari di miniere d’oro senza probabilmente neanche accorgersi che difendeva gli opposti interessi dei proprietari di miniere d’argento, proibizionista e antievoluzionista, segretario di stato di Wilson poi dimessosi contro l’intervento nella Grande guerra, Bryan fu colui che per un po’ portò il Partito democratico sulle posizioni di quel movimento populista che voleva l’inflazione per aiutare i piccoli proprietari dell’ovest a uscire dalla spirale di debiti provocata da una grave crisi, e che diede il nome a tutti i populismi a venire. In qualche modo, anche la storia della “Croce d’oro” anticipa certe posizioni anti euro di oggi: dalla creazione di monete alternative da affiancare alla valuta Ue all’idea di svendere le riserve auree.

 

Altri radicali all’oro si sono invece attaccati. Dallo stesso regime sovietico che dopo le battute di Lenin lo utilizzò insieme alle altre materie prime presenti nell’immenso spazio dell’Urss per finanziare una crescita che per la mancanza di incentivi del sistema comunista non riuscì mai a trovare il ritmo di innovazione tecnologica di cui aveva bisogno; all’Isis col suo tentativo di creare un sistema monetario “islamico” e puramente metallico appunto per combattere l’impero del dollaro. Anche le Farc si finanziarono massicciamente col contrabbando di oro di miniere clandestine, e oggi è il governo di Maduro che cerca di sopravvivere con l’oro al naufragio della produzione petrolifera. Il metallo è estratto nella regione dell’Orinoco, in gran parte da minatori informali che sono poi pagati dal regime al cambio ufficiale, molto inferiore a quello del mercato. Si tratta di gente che lavora in condizioni spesso estreme, da cui un aumento nella zona sia della malaria che dell’inquinamento.

 

Con questo oro sono pagati alla Turchia i generi alimentari che poi il regime distribuisce col sistema di tessere Clap, in modo da tenere sotto ricatto la lealtà di molti cittadini che altrimenti non avrebbero letteralmente di che mangiare. Grande regista del Clap era il faccendiere colombiano Alex Saab, che di Maduro è anche il noto prestanome: sia per aggirare sanzioni che per imboscare asset. Moglie di Saab è Camilla Fabri: una 26enne romana di professione commessa, ma proprietaria di un attico in via Condotti del valore di 4,7 milioni di euro che i finanzieri del Nucleo valutario hanno sequestrato assieme a conto corrente con 1,7 milioni. Dopo di che lei è scomparsa. Una voce insistente la vuole in Russia. Pure in cambio di oro Saab era andato in Iran ad acquistare benzina. Ma sul volo di ritorno di scalo a Capo Verde è stato arrestato lo scorso 13 giugno, su richiesta di estradizione degli Stati Uniti.


Esiodo e Virgilio cantavano quel tempo mitico di prosperità e abbondanza in cui gli esseri umani vivevano senza bisogno di leggi


 

Oro, incenso e mirra vennero portati dai Magi a Gesù: simbolo che era assieme umano, divino e immortale. Invece i 30 denari dati a Giuda per tradirlo erano d’argento. Anche per il buddhismo l’oro è uno dei “Sette tesori”, e le culture precolombiane lo consideravano ” il sudore degli dei”. Gli stessi indios, assicura una leggenda, punirono simbolicamente la “fame di oro” di alcuni Conquistadores versando oro fuso nelle loro gole. E’ invece storia che quello stesso oro invece di pompare la prosperità della Spagna finì per distruggerla, alimentando una inflazione spaventosa e anche una sindrome olandese ante-litteram che distrusse l’imprenditorialità.

 

“L’estasi dell’oro” è il titolo di un famoso brano di Ennio Morricone, dalla colonna sonora di “Il buono, il brutto, il cattivo”. Pescando alla rinfusa, nel repertorio sulla follia aurifera possiamo poi mettere la “Febbre dell’oro” del film di Charlie Chaplin, i protagonisti del “Tesoro della Sierra Madre” che si ammazzano tra di loro per poi vedere la polvere d’oro portata via dal vento, l’Auric Goldfinger che nel film di James Bond vuole rendere inutilizzabile la riserva aurea degli Stati Uniti conservata a Fort Knox con una bomba al cobalto per scombussolare il mercato dell’oro e di conseguenza far aumentare spropositatamente il valore di quello in suo possesso, Zio Paperone che fa il bagno nella piscina delle monete, le maschere d’oro funerarie del faraone Tutankhamen e del re di Micene, i tesori nascosti dei pirati dei Caraibi, la corda d’oro che nella ballata inglese tradotta da Fabrizio De André veniva usata per impiccare i bracconieri.


Da Tommaso Moro a Lenin e Keynes: gli anti oro. E c’era pure un candidato alla Casa Bianca, fautore di un sistema bimetallico 


 

Fino al Medioevo la principale fonte di oro fu l’Africa subsahariana; poi venne quello di Messico e Perù; le corse all’oro ottocentesche portarono alla ribalta via via California, Klondike e Australia; e il Sudafrica divenne in seguito il primo produttore fino al 2007, quando fu scalzato dalla Cina in seguito alla messa in servizio delle nuove grandi miniere di Chang Shan Hao e Jinfeng. Nelle postazioni successive stanno poi Australia, Russia, Stati Uniti, Canada, Perù, Indonesia e Ghana. Il Sudafrica, solo nono, precede Messico, Brasile, Uzbekistan, Sudan, Papua Nuova Guinea e Kazakistan. Come riserve auree custodite dalle banche centrali l’Italia è invece quarta con 2.451,8 tonnellate. Ne hanno di più solo gli Stati Uniti con 8.133,5, la Germania con 3.363,6 e il Fondo monetario internazionale con 2.914. Seguono Russia, Cina, Svizzera, Giappone, India, Paesi Bassi, Turchia, Banca centrale europea, Taiwan, Portogallo, Kazakistan, Uzbekistan, Arabia Saudita, Regno Unito, Libano, Spagna e Austria.

 

Ma ricordiamo che l’oro è pesante. Warren Buffett ama ricordare che se tutto l’oro estratto dall’inizio dell’umanità fosse fuso in un solo cubo, avrebbe un lato di soli 20 metri: stima che qualcuno ha contestato, ma comunque anche le ipotesi più ottimiste non oltrepassano i 50 metri.

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