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Gli altri 200 miliardi da non sprecare

Claudio Cerasa

La politica pensa solo al Recovery fund, ma arriva dal 2021. Occupiamoci dei 100 miliardi in più di debito (non solo assistenzialismo) e dei 100 in più di risparmi messi nel materasso in questi mesi. Fiducia e idee per usarli per la crescita

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Che cosa serve esattamente per avere uno stato un po’ meno cialtrone e un po’ più efficiente? Intanto può essere utile mettere in fila cinque numeri, e in particolare cinque “cento”, che possono aiutarci a capire meglio cosa sarà l’Italia nei prossimi mesi. Ci sono cento miliardi di cui tutti si occupano, cento miliardi di cui nessuno sa nulla, cento miliardi di cui nessuno si cura, cento miliardi che tutti provano a ritrovare e altri cento miliardi di cui invece tutti si dovrebbero occupare. Il futuro dell’Italia di Giuseppe Conte, e quello di tutti noi, passa da qui: dalla capacità di ciascuno di noi di orientarsi in questo mare di soldi con cui il governo dovrà fare letteralmente i conti nei prossimi mesi.

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Che cosa serve esattamente per avere uno stato un po’ meno cialtrone e un po’ più efficiente? Intanto può essere utile mettere in fila cinque numeri, e in particolare cinque “cento”, che possono aiutarci a capire meglio cosa sarà l’Italia nei prossimi mesi. Ci sono cento miliardi di cui tutti si occupano, cento miliardi di cui nessuno sa nulla, cento miliardi di cui nessuno si cura, cento miliardi che tutti provano a ritrovare e altri cento miliardi di cui invece tutti si dovrebbero occupare. Il futuro dell’Italia di Giuseppe Conte, e quello di tutti noi, passa da qui: dalla capacità di ciascuno di noi di orientarsi in questo mare di soldi con cui il governo dovrà fare letteralmente i conti nei prossimi mesi.

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Cento miliardi, circa, di soldi che arriveranno a fondo perduto dall’Europa; cento miliardi, circa, di soldi che arriveranno sotto forma di prestiti dall’Europa; cento miliardi, circa, di risparmio privato finiti in questi mesi sotto il materasso; cento miliardi, circa, di Prodotto interno lordo bruciato nei mesi del lockdown; cento miliardi di debito pubblico aggiuntivo messi in cantiere dal Parlamento. Nel mondo della politica, come abbiamo visto, in molti discutono di Recovery fund, in molti si fanno domande sulla task force che lo dovrà accompagnare, in molti si chiedono quali progetti lo potranno giustificare. Ma per quanto si possa essere ottimisti, quei soldi dell’Europa, 82 miliardi di sussidi a fondo perduto e 127 di prestiti, arriveranno tra il 2021 e il 2023 e saranno soldi che l’Italia spenderà difficilmente male, essendo in buona parte legati a specifici obiettivi da raggiungere.

 

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Ciò di cui si parla poco, invece, riguarda altre due tipologie di tesoretti, per così dire, in un certo senso speculari l’uno all’altra. Il primo tesoretto coincide con la maggiore spesa per 100 miliardi già autorizzata in questi ultimi mesi dal Parlamento. Per dare una misura: le ultime due manovre pre Covid ammontavano a circa 34-37 miliardi di cui 20 a debito, e per soccorrere l’economia post Covid l’Italia ha impegnato più risorse di tutti i paesi europei, Germania compresa: il 48,7 per cento della ricchezza nazionale rispetto al 47,8 dei tedeschi; la Francia il 27,3; il Belgio il 28,1; la Spagna il 13,7; l’Olanda il 15. E l’attenzione di molti osservatori su questo dossier sembra essere orientata più a indirizzare quei soldi verso la marchetta giusta che a indirizzare quei soldi verso obiettivi capaci di avvicinarci al futuro. Errore blu: perché più l’Italia offrirà la percezione di non utilizzare quei soldi per progettare il futuro, dando l’impressione cioè di voler sprecare la grande occasione di cambiare il paese, e più si dovrà parlare degli altri cento miliardi, che sono quelli che in questi mesi gli italiani, non fidandosi del futuro, hanno scelto di infilare sotto il materasso. La cifra è ingente ed è stata diffusa pochi giorni fa dall’Abi: rispetto allo scorso anno, i depositi (in conto corrente, certificati di deposito, pronti contro termine) sono aumentati, a giugno 2020, di oltre 93 miliardi di euro rispetto a un anno prima (variazione pari a +6,1 per cento su base annuale), mentre la raccolta a medio e lungo termine, cioè tramite obbligazioni, è scesa, negli ultimi dodici mesi, di circa 9 miliardi di euro in valore assoluto (pari a -3,9 per cento). L’accumulo di ricchezza privata e di debito pubblico è una costante delle crisi (non solo in Italia) ma per far tesoro del passato, evitando cioè che i circa 100 miliardi di ricchezza privata prendano la via dell’estero come è sempre regolarmente accaduto nei momenti di difficoltà, un paese con la testa sulle spalle dovrebbe convincere chi ha la ricchezza privata a finanziare la ripresa italiana. Come? Investendo, investendo, investendo.

 

Ci sono però due ostacoli che si frappongono tra i numeri del risparmio e i numeri della speranza e quegli ostacoli sono legati a due parole: incertezza e credibilità. L’incertezza, come si sa, è causa ed effetto delle crisi e domina questo periodo aiutata dall’incertezza analoga dell’immediato futuro. E per tornare a creare un clima di fiducia, trasformando il risparmio così detto precauzionale in investimenti, invogliando i risparmiatori a investire con ogni mezzo in Italia, occorrerebbe fare quello che in pochi oggi purtroppo si aspettano che accada: scommettere sulle riforme strutturali (giustizia e burocrazia), usare i soldi presi a debito dai nostri figli non per politiche clientelari (se per fare un capannone ci metto dieci anni, per forza i soldi restano fermi) e spendere bene i 200 miliardi del Recovery fund (viva le condizionalità). “I 200 miliardi europei – sostiene Giovanni Tria – sono futuri e se va bene rappresenteranno una voce di spesa da circa 25-30 miliardi l’anno per 7 anni. I 100 miliardi invece ce li stiamo giocando subito come debito nostro aggiuntivo in un solo anno e non è chiaro ancora con quale impatto sul pil. I 100 miliardi di risparmio si sbloccheranno in consumi e investimenti solo se si riduce l’incertezza e il governo, ci sembra, sta facendo molto per aumentarla, l’incertezza, compreso il balletto sui bonus e il rinvio della spesa sulla Sanità da finanziare con il Mes. Le quantità indicano che non tutto si risolve aspettando il Recovery fund”. Allo stesso modo la pensa un altro ex ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che sta al gioco dei 100 miliardi: “I 100 miliardi di debito pubblico si sono spesi dimenticandosi che il vincolo di bilancio non è morto, cioè non al meglio. I 100 miliardi di risparmio dovrebbero finanziare crescita e investimenti ma mancano gli incentivi e gli strumenti. I 200 miliardi europei o li spendiamo bene o non ci sono. Morale: non contano i soldi ma gli incentivi a usarli”. Ci sono dunque miliardi da spendere bene, altri da far spendere con urgenza. Il tutto però, come suggeriscono molti osservatori, evitando una trappola in cui rischiamo di cadere: non spendere tutto ciò che si ha per sostenere solo i redditi (l’assistenzialismo va bene nel breve termine, nel medio termine rischia di diventare una droga) ricordandosi che le imprese che sono in crisi lo sono non per questioni legate al contingente.

 

Lo sono perché il mondo è cambiato (e non tornerà come prima) e fino a che il governo continuerà a sostenere i redditi delle imprese in crisi bloccando per esempio i licenziamenti ostacolerà la riallocazione delle risorse e l’avvio di nuove attività. Fino a oggi, il rimbalzo dell’Italia è stato generato principalmente dalla forza di volontà delle imprese (e la produzione industriale positiva anche a giugno ci dice che la resilienza del paese è qualcosa di più di una semplice utopia). Oggi serve una svolta vera. E la vera sfida di questa stagione – sfida resa possibile anche dalla capacità con cui il governo ha messo al sicuro l’Italia nei mesi del lockdown, prendendo decisioni persino più severe rispetto a quelle suggerite dai tecnici – è come passare rapidamente dall’emergenza alla normalità e come esportare il modello di stato efficiente visto finora nella gestione dell’emergenza anche nella gestione della nuova normalità. E’ ora di ricordarselo anche quando si parla del futuro della nostra economia. Più crescita e meno marchette. E l’Italia ce la farà.

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