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L’Italia s’è agganciata alla ripresa meglio del previsto, spiega Daveri

Mariarosaria Marchesano

"Se c’è un elemento che caratterizza questa fase è il gran ritorno del manifatturiero", ci dice l'economista

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Milano. Sorpresa, è cominciata la ripresa. L’Italia si è agganciata al treno dell’Eurozona che ha ricominciato a correre dopo i mesi di lockdown. Anzi, secondo gli ultimi dati sta facendo anche un pochino meglio di altri paesi, come la Spagna per esempio, cosa che ha indotto il ministro per lo Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, a esultare su Facebook osservando come l’indice Ihs-Pmi manifatturiero di luglio abbia inaspettatamente scavalcato la soglia di 50 punti (51,9), il che segna il passaggio da una fase recessiva a una espansiva. “Il dato è superiore alle attese degli analisti e colloca il nostro paese sopra la media europea”, ha detto Patuanelli. Come si spiega questo rimbalzo proprio quando l’Istat ha certificato che l’Italia ha registrato nel secondo trimestre 2020 il peggior calo del pil di sempre, -12,4 per cento? Il Foglio lo ha chiesto all’economista Francesco Daveri, secondo il quale la spiegazione sta nella natura stessa di questa crisi economica che è diversa da tutte le altre. “I macchinari non sono andati distrutti dal virus e hanno ripreso a funzionare come prima appena è terminato il lockdown – dice Daveri – Se c’è un elemento che caratterizza questa fase è il gran ritorno del manifatturiero, in Italia come nel resto d’Europa, con un gran rimbalzo dei beni durevoli. Insomma, la produzione è ripartita e l’indice Ihs-Pmi è molto significativo perché ci fa vedere come dal mese di maggio in poi capi azienda e manager abbiano ripreso a pianificare ordini e investimenti produttivi fino ad arrivare quasi a pieno regime a luglio”. 

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Milano. Sorpresa, è cominciata la ripresa. L’Italia si è agganciata al treno dell’Eurozona che ha ricominciato a correre dopo i mesi di lockdown. Anzi, secondo gli ultimi dati sta facendo anche un pochino meglio di altri paesi, come la Spagna per esempio, cosa che ha indotto il ministro per lo Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, a esultare su Facebook osservando come l’indice Ihs-Pmi manifatturiero di luglio abbia inaspettatamente scavalcato la soglia di 50 punti (51,9), il che segna il passaggio da una fase recessiva a una espansiva. “Il dato è superiore alle attese degli analisti e colloca il nostro paese sopra la media europea”, ha detto Patuanelli. Come si spiega questo rimbalzo proprio quando l’Istat ha certificato che l’Italia ha registrato nel secondo trimestre 2020 il peggior calo del pil di sempre, -12,4 per cento? Il Foglio lo ha chiesto all’economista Francesco Daveri, secondo il quale la spiegazione sta nella natura stessa di questa crisi economica che è diversa da tutte le altre. “I macchinari non sono andati distrutti dal virus e hanno ripreso a funzionare come prima appena è terminato il lockdown – dice Daveri – Se c’è un elemento che caratterizza questa fase è il gran ritorno del manifatturiero, in Italia come nel resto d’Europa, con un gran rimbalzo dei beni durevoli. Insomma, la produzione è ripartita e l’indice Ihs-Pmi è molto significativo perché ci fa vedere come dal mese di maggio in poi capi azienda e manager abbiano ripreso a pianificare ordini e investimenti produttivi fino ad arrivare quasi a pieno regime a luglio”. 

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A differenza di altre crisi della storia, infatti, gli imprenditori non si sono dovuti preoccupare di proteggere gli impianti produttivi dai bombardamenti, come avvenuto durante la Seconda guerra mondiale, o della tenuta del sistema bancario e finanziario com’è successo dopo il crac di Lehman Brothers quando le banche non si prestavano neanche più i soldi tra di loro perché era stata compromessa la fiducia. Così, non appena hanno potuto, gli industriali hanno riacceso gli impianti. “In questo momento non c’è nulla che possa frenare la ripartenza, tranne ulteriori blocchi che naturalmente sono sempre possibili. Ma nel complesso si può dire che il sistema produttivo europeo ha dimostrato una buona capacità di reazione. A stretto giro vedremo anche come sta andando nel settore dei servizi, parlo di turismo e terziario soprattutto, che resta un po’ indietro rispetto al manifatturiero anche se si registra un certo recupero rispetto ad aprile-maggio, complice la stagione estiva, basta guardare al fatto che per il Ferragosto si registra il tutto esaurito”.

 

Eppure, solo pochi giorni fa il calo del pil del secondo trimestre sembrava proprio da bollettino di guerra. “Di sicuro, con la fine di giugno si è chiuso il peggior trimestre per la crescita delle economie occidentali da quando esistono dati trimestrali calcolati con una metodologia coerente tra paesi. Ma quando sono usciti questi dati, l’economia era già ripartita e si cominciava a vedere dagli andamenti mensili. Ci troviamo di fronte a un recupero più rapido del previsto e soprattutto che ci fa guardare al confronto tra Europa e Stati Uniti in maniera un po’ diversa. Fino a poco fa l’economia americana sembrava essersi contratta meno di quella della zona euro. Adesso, se prendiamo come parametro di riferimento l’indice manifatturiero, si vede chiaramente che gli Stati Uniti sono un po’ indietro perché stanno riuscendo con più fatica a tenere sotto controlli i contagi e l’incertezza si riflette sul sistema produttivo. In questo contesto mondiale, l’Italia sta capitalizzando il vantaggio di aver terminato prima il lockdown pur avendo insistito con i distanziamenti per riportare la situazione sanitaria sotto controllo e non essendo state, per ora, necessarie altre chiusure, l’economia è potuta ripartire a pieno ritmo”.

 

Questo vuol dire che si può cominciare a ipotizzare una contrazione del pil per fine anno inferiore al 10 per cento? “Temo di no, mi aspetto un bel rimbalzo nel terzo trimestre, anche un più 6 per cento, ma è difficile che poi sia così sostenuto anche nel quarto trimestre. Quindi, il 2020 potrebbe chiudersi per il nostro paese con un caduta del pil certamente superiore al 10 per cento, ma non di tanto, il che ci pone abbastanza in linea con la media europea”. Insomma, le cose per l’Italia si stanno mettendo meglio rispetto agli scenari più pessimistici che sono arrivati a ipotizzare arretramenti del pil fino al 16 per cento. “Diciamo che il paese sta dimostrando una grande resistenza e capacità di reazione e questo, mi pare, venga riconosciuto anche dalla stampa internazionale. Quello che, però, mi preoccupa è che anche quando la ripresa sarà completa, la capacità dell’Italia di produrre ricchezza non vada oltre uno zero virgola, rispetto ad altri paesi che potranno ricominciare a marciare a ritmi dell’1-3 per cento”. In parole povere, l’allineamento all’Europa nella ripresa potrebbe essere momentaneo, non è così? “Si se non riusciamo a recuperare il gap di produttività rispetto a Francia e Germania. Questo dipende da quanto bene riusciremo a gestire la maggiore spesa pubblica che ci è concessa dall’Europa, e che comunque fa aumentare in modo preoccupante il deficit che va poi rifinanziato. E dipende da quanto saremo capaci di intensificare la capacità produttiva potenziale del paese rispetto alla distribuzione di reddito assistito. I sussidi sono importanti nei momenti di emergenza, ma in un sistema sano devono avere un tempo limitato perché nel frattempo sono nate nuove imprese e nuova occupazione”.

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