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Perché la "fiscalità di vantaggio" non è la soluzione per il Sud

Sandro Brusco

Nel Mezzogiorno il costo del lavoro è più alto della produttività. Ragioni per essere scettici sul Piano del ministro Provenzano 

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In una recente intervista al Corriere della Sera, il ministro Giuseppe Provenzano ha lanciato la proposta di una riduzione per via fiscale del costo del lavoro riservata al Mezzogiorno. L’idea si può riassumere in questi termini. Primo, attraverso il Piano sud si innalzerà gradualmente (l’orizzonte è quello dei prossimi dieci anni) la produttività dei fattori nelle regioni meridionali. Questo dovrebbe consentire la convergenza con i livelli di occupazione e reddito delle regioni settentrionali. Secondo, per accelerare questo processo e fornire un impulso immediato all’occupazione nelle regioni meridionali si mette in atto immediatamente una riduzione del costo del lavoro, riducendo del 30 per cento i contributi sociali a carico delle imprese localizzate al sud. Questo “sconto” dovrebbe essere decrescente nel tempo. Il phasing out andrà di pari passo con i guadagni di produttività ottenuti mediante il Piano sud

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In una recente intervista al Corriere della Sera, il ministro Giuseppe Provenzano ha lanciato la proposta di una riduzione per via fiscale del costo del lavoro riservata al Mezzogiorno. L’idea si può riassumere in questi termini. Primo, attraverso il Piano sud si innalzerà gradualmente (l’orizzonte è quello dei prossimi dieci anni) la produttività dei fattori nelle regioni meridionali. Questo dovrebbe consentire la convergenza con i livelli di occupazione e reddito delle regioni settentrionali. Secondo, per accelerare questo processo e fornire un impulso immediato all’occupazione nelle regioni meridionali si mette in atto immediatamente una riduzione del costo del lavoro, riducendo del 30 per cento i contributi sociali a carico delle imprese localizzate al sud. Questo “sconto” dovrebbe essere decrescente nel tempo. Il phasing out andrà di pari passo con i guadagni di produttività ottenuti mediante il Piano sud

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Partiamo dal secondo punto, che contiene un’ammissione che può apparire banale e scontata ma che è una specie di anatema per i politici italiani di ogni orientamento: ebbene sì, una delle ragioni della scarsa occupazione meridionale è l’eccessivo costo del lavoro rispetto alla produttività. Quanto sia difficile accettare questa ovvietà traspare dalla stessa intervista. A precisa domanda sull’opportunità di legare il salario alla produttività, infatti, il ministro risponde farfugliando una cosa senza senso sulla necessità di “guardare alla produttività di tutti i fattori” e ribadendo che spera di aumentare la produttività rilanciando “investimenti pubblici e privati”.

    

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Non è particolarmente misteriosa la ragione per cui il ministro (ma, ripetiamo, la cosa vale per i politici italiani praticamente di ogni schieramento) nega la realtà che poi deve ammettere in modo surrettizio. Se si accetta che la disoccupazione può essere ridotta abbassando il costo del lavoro dove la produttività è più bassa allora diventa chiaro che permettere una contrattazione decentrata a livello territoriale e aziendale può fornire un’utile risposta alla crisi occupazionale delle regioni meridionali.

    

Si noti che questo avverrebbe senza alcun costo per lo stato, costo che è invece stimato intorno ai 5 miliardi l’anno per la “fiscalità di vantaggio” proposta da Provenzano. La maggiore decentralizzazione della contrattazione peraltro non richiederebbe alcuna contrattazione con le autorità europee (cui fa riferimento anche il ministro, affermando che “occorre superare una storica resistenza in Europa”) e non sarebbe esposta al rischio che le future cattive condizioni dei conti pubblici o differenti necessità di acquistare consenso con la spesa pubblica, tutt’altro che improbabili, impongano la mancata continuazione della fiscalità di vantaggio. Si noti che questo è esattamente quanto avvenne a suo tempo con la riduzione dei contributi per i nuovi assunti, che pure aveva dato buoni risultati. Ma il ministro sembra convinto che “questa volta sarà diverso”, sia per l’orizzonte temporale degli sconti fiscali sia per l’efficacia degli investimenti pubblici.

    

I vantaggi della contrattazione decentralizzata sono stati analizzati in un recente lavoro di Tito Boeri, Andrea Ichino, Enrico Moretti e Johanna Posch, che hanno studiato il ruolo avuto dalla flessibilità salariale nella Germania dell’est. La loro conclusione (traduzione mia) è che “se l’Italia adottasse il sistema tedesco, l’occupazione aggregata crescerebbe dell’11,04 per cento”. Ovviamente l’incremento non sarebbe istantaneo e la fase di restrizione dell’attività economica per motivi sanitari renderebbe più lento il processo di crescita. Si tratta comunque di numeri impressionanti, che danno la dimensione dei vantaggi a cui rinuncia il paese mantenendo il sistema attuale.

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Ma per impressionanti che siano tali numeri credo sia chiaro a tutti che la misura non troverà alcun ascolto da parte di qualunque forza politica che punti a percentuali significative dell’elettorato meridionale, dato che andrebbe probabilmente a intaccare gli interessi di vasti settori di dipendenti garantiti, sia nel settore privato sia in quello pubblico. Per questo l’attenzione della politica si concentra sulla “fiscalità di vantaggio” nettamente più costosa per la collettività e decisamente meno efficace.

    

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Infine, alcuni commenti sul primo punto, la fiducia posta dal ministro sull’efficacia del Piano sud. Abbiamo già analizzato su questo giornale le ragioni per cui è molto improbabile che il piano produca i risultati immaginati dal ministro. Ovviamente senza i presunti guadagni di produttività che il ministro immagina, l’operazione non aiuterà la convergenza e si tradurrà in uno dei tanti inefficaci e costosi sussidi temporanei di cui la politica italiana fornisce abbondanti esempi. L’intervista rafforza lo scetticismo. Il ministro pensa che la priorità, per risolvere il problema della produttività della pubblica amministrazione meridionale, sia l’aumento delle assunzioni, possibilmente di personale ben preparato e lautamente pagato. Non si fa menzione nell’intervista, né se ne fa menzione nel Piano sud, di alcuna misura che possa incontrare l’opposizione dei dipendenti pubblici. Questo conferma lo scetticismo iniziale.

Sandro Brusco è docente di economia alla Stony Brook University

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