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Non in nome del Covid. La pandemia non è una ragione per statalizzare

Luciano Capone

L'intervento dello stato in Autostrade, Tim, Open Fiber, Ilva non si giustifica con la crisi sanitaria. E lo dicono i numeri. Strategia confusa

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Generalmente in una crisi, e sopratutto in una recessione profonda come questa da 10 punti di pil, è naturale che ci sia un maggiore intervento dello stato. Anzi, se lo stato ha un ruolo, è proprio quello di “assicurare” i cittadini contro gli shock economici. Lo deve fare a maggior ragione in questo caso, visto che è stato proprio lo stato a imporre per un bene comune superiore, attraverso il lockdown, a lavoratori e imprese di sospendere la propria attività economica.

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Generalmente in una crisi, e sopratutto in una recessione profonda come questa da 10 punti di pil, è naturale che ci sia un maggiore intervento dello stato. Anzi, se lo stato ha un ruolo, è proprio quello di “assicurare” i cittadini contro gli shock economici. Lo deve fare a maggior ragione in questo caso, visto che è stato proprio lo stato a imporre per un bene comune superiore, attraverso il lockdown, a lavoratori e imprese di sospendere la propria attività economica.

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Come ha scritto l’ex presidente della Bce Mario Draghi al Financial Times, “è l’appropriato ruolo dello stato quello di dispiegare il suo bilancio per proteggere i cittadini e l’economia contro shock di cui il settore privato non è  responsabile e che non può  assorbire”. La velocità dell’intervento, ha ricordato Draghi, è un altro aspetto essenziale per renderlo efficace e fare in modo che la depressione economica non sia prolungata.

 

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Tutti d’accordo, quindi, che se non sono i privati a spendere e investire a causa della crisi, debba farlo il governo. E anche che in una certa misura lo stato debba sostenere la capacità produttiva per evitare un’atrofizzazione permanente dell’economia. In quest’ottica, anche un intervento pubblico per salvare dal default le imprese che operano in settori duramente colpiti dalla crisi in modo che poi possano camminare sulle proprie gambe quando la nottata sarà passata, può avere senso.

 

E’ sulla base di questo tipico modello teorico keynesiano che viene giustificato l’ingresso dello stato nel capitale delle imprese. Ma è all’interno di questo quadro che vanno inserite le nazionalizzazioni fatte o in via di definizione del governo italiano? Pare proprio di no. Al momento sappiamo che lo stato ha nazionalizzatto l’Alitalia, sta per nazionalizzare l’Ilva e le Autostrade, ha intenzione di nazionalizzare la Telecom. Ma nessuna di queste nazionalizzazioni c’entra con la crisi economica e l’emergenza Covid.

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Alitalia è un’azienda fallita da molti anni, possiamo dire dal 2017, quando è entrata in amministrazione straordinaria dopo che i dipendenti hanno bocciato il nuovo piano industriale, ed è stata tenuta artificialmente in vita finora grazie a prestiti-ponte verso il nulla (non a caso sotto indagine dell’Antitrust europeo). Il Covid non ha peggiorato la situazione dell’azienda, non ha mandato in crisi Alitalia, ma è diventato il pretesto per nazionalizzarla.

 

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Anche l’Ilva, in cui lo stato entrerà probabilmente attraverso Invitalia, era in crisi da tempo, più per motivi legali che per motivi industriali (che poi inevitabilmente si sono prodotti). In amministrazione straordinaria dal 2015 e poi in mano ad ArcelorMittal da fine 2018, ma ancora con un contratto d’affitto e con un contenzioso legale pendente. Anche in questo caso la nazionalizzazione c’entra poco con il Covid, che è giunto come un pretesto per risolvere attraverso la statalizzazione quella che il premier aveva definito “la battaglia legale del secolo”.

 

Discorso analogo per Autostrade: la nazionalizzazione via Cdp serve a risolvere in modo meno traumatico, e con l’accordo della controparte, un difficile e incerto contenzioso legale. Non c’entra con l’emergenza Covid neppure la fusione di Tim con Open Fiber e la sua nazionalizzazione, sempre via Cdp, già annunciata da Beppe Grillo e dal Pd. Anzi, Tim opera in un settore su cui il coronavirus non ha avuto un impatto negativo ma, anzi, ha prodotto occasioni di sviluppo.

 

Non si capisce pertanto quale sia la strategia di queste nazionalizzazioni: il governo interviene in aziende che erano fallite o in crisi già prima del Covid e in società che non lo sono neppure adesso, in situazioni di difficoltà economica e di contenzioso legale, in perdita e in utile. Le domande sono diverse, la risposta è sempre la stessa. Il Covid viene usato come un’occasione per estendere il controllo politico su pezzi di economia, mentre languono le spese e gli investimenti nei settori più colpiti dall’emergenza. Nel decreto “Rilancio” per la sanità il governo ha stanziato 3,2 miliardi, meno di quanto messo in Alitalia: 3,35 miliardi.

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