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Aspi, il governo e il metodo sbagliato

Redazione

Le statalizzazioni non sono uno scandalo. Lo scandalo è farle all’italiana

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All’indomani della tragedia del ponte Morandi, la posizione dell’esecutivo giallo-verde fu netta: Aspi è inadeguata a gestire l’infrastruttura autostradale. Ciò è stato più volte ribadito anche dopo la staffetta con la maggioranza giallo-rossa. Naturalmente, la revoca espone al rischio di contenzioso che potrebbe portare lo Stato a soccombere ed erogare un risarcimento plurimiliardario. E’ il bello dello stato di diritto: c’è sempre un giudice a Berlino, che può e deve sindacare gli atti di chi detiene pro tempore posizioni di potere. Palazzo Chigi, con la scelta fatta martedì notte, si sta invece muovendo su un terreno diverso: non contesta l’inadeguatezza di Aspi, ma quella dei suoi azionisti e, in particolare, della famiglia Benetton. Così, ha ignorato la lettera con cui l’azienda si rendeva disponibile ad accettare pressoché tutte le condizioni in materia di indennizzi, investimenti, tariffe e sicurezza, e ha scatenato una guerra senza quartiere. Questa guerra ha due dimensioni: una si gioca nel segreto delle trattative, l’altra sui media.

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All’indomani della tragedia del ponte Morandi, la posizione dell’esecutivo giallo-verde fu netta: Aspi è inadeguata a gestire l’infrastruttura autostradale. Ciò è stato più volte ribadito anche dopo la staffetta con la maggioranza giallo-rossa. Naturalmente, la revoca espone al rischio di contenzioso che potrebbe portare lo Stato a soccombere ed erogare un risarcimento plurimiliardario. E’ il bello dello stato di diritto: c’è sempre un giudice a Berlino, che può e deve sindacare gli atti di chi detiene pro tempore posizioni di potere. Palazzo Chigi, con la scelta fatta martedì notte, si sta invece muovendo su un terreno diverso: non contesta l’inadeguatezza di Aspi, ma quella dei suoi azionisti e, in particolare, della famiglia Benetton. Così, ha ignorato la lettera con cui l’azienda si rendeva disponibile ad accettare pressoché tutte le condizioni in materia di indennizzi, investimenti, tariffe e sicurezza, e ha scatenato una guerra senza quartiere. Questa guerra ha due dimensioni: una si gioca nel segreto delle trattative, l’altra sui media.

 

Nelle chiuse stanze, il governo sta negoziando la nazionalizzazione di Aspi, con l’ingresso della Cassa depositi e prestiti e di “investitori istituzionali di gradimento di Cdp” per diluire Atlantia nel capitale di Aspi. Vale la pena insistere: questa manovra colpisce non solo i Benetton, ma anche il 70 per cento degli altri azionisti. Anche ammettendo che il prezzo di cessione sia “congruo” (e quindi gli investitori possano ritenersi ristorati) è il metodo a gridare vendetta. Sui media, gli esponenti del governo – con l’eccezione della titolare dei trasporti, Paola De Micheli, che pare l’unica consapevole dei rischi – continuano a cannoneggiare Aspi con l’effetto di deprimerne i corsi borsistici, salvo i rialzi quando l’accordo si avvicina. Il governo non ha un progetto di riforma del sistema autostradale e non si muove all’interno della cornice giuridica dello stato di diritto. Il fine delle sue azioni sembra essere quello di mettere le mani dello stato su un pezzo dell’economia di questo paese. Sostituendo l’arbitrio dei singoli alle procedure e ai contrappesi della rule of law. Le statalizzazioni non sono sempre uno scandalo. Lo scandalo vero è farle all’italiana.

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