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Ciò che allunga i tempi delle opere pubbliche non è la concorrenza

Carlo Stagnaro

Il governo riduce lo spazio delle gare d’appalto, ma non quello della burocrazia. Così si rischia solo di fare un doppio danno

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Il decreto “Semplificazioni”, approvato “salvo intese”, spera di velocizzare le opere pubbliche sbarazzandosi dell’unico spazio di trasparenza e confronto concorrenziale in un iter kafkiano. La soglia per l’affidamento diretto sale dagli attuali 40 mila a 150 mila euro, mentre fino a 5 milioni si potrà imboccare la scorciatoia di una procedura negoziata. Contemporaneamente, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha garantito che saranno rafforzati i “presidi di legalità” per evitare gli abusi. I tempi di realizzazione delle opere sono molto diversi, a seconda della dimensione (le grandi opere impiegano più tempo) e dei settori (peggio di tutti, le ferrovie). In media, comunque, ci vogliono 4,4 anni. Di questi, la fase dell’affidamento ne occupa solo 0,6 (il 14 per cento). La principale causa delle lungaggini sta nella progettazione, che da sola richiede 2,5 anni (il 57 per cento del totale). Anche il contenzioso non sembra drammatico: sebbene i tempi per la definizione delle controversie siano relativamente lunghi (all’incirca un anno tra Tar e Consiglio di stato), le impugnazioni riguardano solo l’1,5 per cento degli appalti, meno di un terzo dei quali è interessato dalla sospensiva. 

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Il decreto “Semplificazioni”, approvato “salvo intese”, spera di velocizzare le opere pubbliche sbarazzandosi dell’unico spazio di trasparenza e confronto concorrenziale in un iter kafkiano. La soglia per l’affidamento diretto sale dagli attuali 40 mila a 150 mila euro, mentre fino a 5 milioni si potrà imboccare la scorciatoia di una procedura negoziata. Contemporaneamente, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha garantito che saranno rafforzati i “presidi di legalità” per evitare gli abusi. I tempi di realizzazione delle opere sono molto diversi, a seconda della dimensione (le grandi opere impiegano più tempo) e dei settori (peggio di tutti, le ferrovie). In media, comunque, ci vogliono 4,4 anni. Di questi, la fase dell’affidamento ne occupa solo 0,6 (il 14 per cento). La principale causa delle lungaggini sta nella progettazione, che da sola richiede 2,5 anni (il 57 per cento del totale). Anche il contenzioso non sembra drammatico: sebbene i tempi per la definizione delle controversie siano relativamente lunghi (all’incirca un anno tra Tar e Consiglio di stato), le impugnazioni riguardano solo l’1,5 per cento degli appalti, meno di un terzo dei quali è interessato dalla sospensiva. 

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Dove stanno, allora, ruggini e attriti? L’Agenzia per la coesione stima che i “tempi di attraversamento” (cioè “i tempi amministrativi compresi tra due fasi procedurali”) occupino complessivamente il 54 per cento della realizzazione di un’opera. Ma, se ci concentriamo sulla progettazione che abbiamo visto essere la parte predominante, assorbono addirittura il 69 per cento della fase preliminare e il 59 per cento di quella definitiva. E’ qui, dunque, nel girone infernale delle conferenze dei servizi e delle istruttorie affidate spesso a uffici tecnici di piccoli comuni, magari sprovvisti di adeguate competenze e supporti digitali, che si consumano i ritardi. Benissimo, dunque, le modeste semplificazioni procedurali e la revisione del danno erariale, ma cosa significano in concreto i “presidi di legalità” di cui ha parlato Conte? Non saranno nuove incombenze burocratiche che si aggiungono alle esistenti? Il risultato netto potrebbe essere quello di accorciare di un epsilon l’affidamento, per allungare – e potenzialmente alimentare nuovo contenzioso – le scartoffie e la ceralacca.

 

C’è un’aggravante: come ha messo in guardia Francesco Merloni, il presidente facente funzioni dell’Anac, la maggiore discrezionalità negli affidamenti potrebbe aprire le porte, se non al malaffare, quanto meno a condotte collusive e allo scambio di favori tra politica e mondo degli affari. Le gare, peraltro, non sono un vezzo, ma uno strumento di tutela sia dei contribuenti (che vengono messi al riparo da rialzi eccessivi dei prezzi), sia dei concorrenti (che possono vedere le carte e segnalare eventuali anomalie). Sarebbe interessante sapere se la Ragioneria generale abbia ipotizzato un aumento del costo degli appalti, o, in caso contrario, in base a cosa abbia ritenuto che le gare non hanno alcun effetto sui prezzi di aggiudicazione. Lo stesso presidente dei costruttori, Gabriele Buia, ha criticato il governo, sottolineando che “non sono i tempi della gara che impediscono o ritardano l’apertura dei cantieri. Purtroppo non ho ancora letto un rigo sulla semplificazione a monte delle opere previste dai Contratti di programma di Anas e Rete ferroviaria italiana che da soli valgono 34 miliardi di euro”. E’ lo stesso problema di eccesso burocratico che affligge anche il privato: secondo il rapporto Doing Business, l’Italia è al novantasettesimo posto (su 190) per l’efficienza nel rilascio dei permessi edilizi. Da noi ci vogliono 189 giorni contro una media Ocse di 152, e il costo è pari al 3,4 per cento del valore dell’opera contro l’1,5 per cento.

 

Insomma: è come se, trovandosi in una macchina col motore fuso, il governo si precipitasse a cambiare il liquido dei tergicristalli. I vetri saranno sicuramente più puliti, ma il veicolo difficilmente andrà più veloce.

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