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L’acqua pubblica fa acqua da ogni parte

Redazione

L’Istat fotografa i disastri pubblici nella gestione del “bene comune”. Soluzioni

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L’Italia mantiene il primato europeo nei consumi e negli sprechi di acqua potabile. Lo certifica il rapporto annuale dell’Istat, presentato la scorsa settimana, secondo cui nel 2018 il prelievo pro capite si è assestato sui 419 litri al giorno, in lieve calo (per la prima volta) rispetto all’anno precedente. Le dispersioni – stimate come differenza tra i volumi immessi in rete e quelli erogati – raggiungono i 156 litri al giorno, con una grande variabilità territoriale: solo un terzo delle regioni registra perdite inferiori al 35 per cento, mentre nella metà dei casi va perduto più del 45 per cento. Questo fenomeno, inoltre, è più accentuato nel Centro-Sud, dove maggiori sono i problemi di scarsità. Da cosa dipende?

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L’Italia mantiene il primato europeo nei consumi e negli sprechi di acqua potabile. Lo certifica il rapporto annuale dell’Istat, presentato la scorsa settimana, secondo cui nel 2018 il prelievo pro capite si è assestato sui 419 litri al giorno, in lieve calo (per la prima volta) rispetto all’anno precedente. Le dispersioni – stimate come differenza tra i volumi immessi in rete e quelli erogati – raggiungono i 156 litri al giorno, con una grande variabilità territoriale: solo un terzo delle regioni registra perdite inferiori al 35 per cento, mentre nella metà dei casi va perduto più del 45 per cento. Questo fenomeno, inoltre, è più accentuato nel Centro-Sud, dove maggiori sono i problemi di scarsità. Da cosa dipende?

 

Per rispondere bisogna guardare all’organizzazione del settore, ancora caratterizzato da un’estrema frammentazione e un pervasivo socialismo municipale. Secondo i dati contenuti nell’ultima edizione del Blue Book della Fondazione Utilitatis, le imprese idriche a capitale interamente pubblico intercettano il 55 per cento dei ricavi, quelle a controllo pubblico il 39 per cento, mentre quelle con partecipazioni pubbliche di minoranza o interamente private devono accontentarsi solo del 5 per cento. Ma è proprio tra le aziende idriche di più piccola dimensione e tra quelle dominate dal pubblico che si nascondono le inefficienze. Inoltre, per quanto possa essere impopolare dirlo, in Italia l’acqua costa troppo poco: un metro cubo costa circa 1,9 euro a Roma e 0,8 euro a Milano, contro una media di 4 euro nell’Europa occidentale e addirittura 7,1 euro a Berlino. Senza prezzi adeguati, è impossibile mettere in campo gli investimenti nel potenziamento di acquedotti, fognature e depuratori, e in più i consumatori non hanno alcun incentivo alla parsimonia nell’uso dell’acqua. Al settore servono risorse ed efficienza: bisogna quindi garantire tariffe giuste e incoraggiare la crescita dimensionale delle imprese, anche col contributo di capitali privati. Meno slogan sull’acqua pubblica e più risultati misurabili.

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