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I due grandi scontri di civiltà dietro l’operazione Intesa-Ubi

Mariarosaria Marchesano

L’operazione finanziaria più attesa dell’anno ha aperto un conflitto tra visioni del mondo diverse. Girotondo tra economisti

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Milano. “L’operazione Intesa-Ubi per un verso coglie l’orientamento della Bce favorevole ad avere in Europa banche di grandi dimensioni e per l’altro si rivela problematica rispetto all’idea di privilegiare nel nostro paese un sistema di pluralismo bancario che, come noto, facilita la concorrenza. Siamo in presenza di un caso in cui si riflettono le contraddizioni di questo particolare momento storico e che lascia intravedere un potenziale conflitto istituzionale tra organismi europei e nazionali”. Francesco Capriglione, dopo trent’anni di esperienza in Banca d’Italia e altrettanti d’insegnamento di materie finanziarie all’Università Luiss, dove oggi dirige un master in Regolazione dell’attività dei mercati, riflette su una delle fusioni bancarie (annunciate) più discusse degli ultimi decenni spiegando che la diversa visione emersa tra le autorità di vigilanza (Bce e Banca d’Italia) e di garanzia della concorrenza (Antitrust) non è per forza un fatto negativo perché “il gioco dei contrappesi è fondamentale per trovare il giusto equilibrio in certe situazioni”.

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Milano. “L’operazione Intesa-Ubi per un verso coglie l’orientamento della Bce favorevole ad avere in Europa banche di grandi dimensioni e per l’altro si rivela problematica rispetto all’idea di privilegiare nel nostro paese un sistema di pluralismo bancario che, come noto, facilita la concorrenza. Siamo in presenza di un caso in cui si riflettono le contraddizioni di questo particolare momento storico e che lascia intravedere un potenziale conflitto istituzionale tra organismi europei e nazionali”. Francesco Capriglione, dopo trent’anni di esperienza in Banca d’Italia e altrettanti d’insegnamento di materie finanziarie all’Università Luiss, dove oggi dirige un master in Regolazione dell’attività dei mercati, riflette su una delle fusioni bancarie (annunciate) più discusse degli ultimi decenni spiegando che la diversa visione emersa tra le autorità di vigilanza (Bce e Banca d’Italia) e di garanzia della concorrenza (Antitrust) non è per forza un fatto negativo perché “il gioco dei contrappesi è fondamentale per trovare il giusto equilibrio in certe situazioni”.

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Concorrenza, ma in che senso? Il 18/6 si terrà la riunione plenaria dell’Antitrust a cui parteciperanno le parti coinvolte nell’ipotesi di aggregazione e anche altri operatori bancari che hanno fatto richiesta, tra i quali Unicredit e Cattolica. E la Consob potrebbe dare il via libera condizionato all’offerta pubblica di scambio 


Secondo Capriglione, l’enfasi con cui la Bce ha ribadito di recente il suo favore per le concentrazioni è comprensibile in quanto questo faciliterebbe lo svolgimento delle attività di vigilanza, altrimenti troppo frammentata, “ma dovrebbe anche conciliarsi con la naturale vocazione dell’Italia ad avere una molteplicità di piccole-medio banche radicate nei territori e vicine al tipico assetto produttivo italiano”. C’è dunque uno scontro culturale di visioni a fare da sfondo all’operazione Intesa-Ubi arrivata a un momento topico con il gruppo guidato da Carlo Messina che sta provando a superare i dubbi sollevati dall’Autorità garante per la concorrenza e il mercato aumentando il numero di filiali da cedere all’alleato Bper (da 4-500 a 532). Ieri è scaduto il termine per la consegna all’Antitrust di “memorie scritte e documenti” in vista dell’appuntamento di giovedì 18, in cui si svolgerà una riunione plenaria con l’audizione di tutte le parti interessate, che non sono solo quelle coinvolte nell’ipotesi di aggregazione ma anche altri operatori del settore bancario-assicurativo che hanno chiesto di intervenire, tra i quali ci sono Unicredit e Cattolica. Il che la dice lunga sull’ampiezza delle valutazioni che l’Authority guidata da Roberto Rustichelli si accinge a fare e che determineranno, con la decisione finale attesa entro metà luglio, l’efficacia o meno dell’offerta pubblica di scambio sulla quale nel frattempo potrebbe già esprimersi la Consob guidata da Paolo Savona con un via libera condizionato e l’Ivass con un parere, però, non vincolante. Basterà aver ridotto i rischi di concentrazione di sportelli e attività finanziarie in alcune regioni per convincere l’Antitrust che l’operazione ha le carte in regola?

 

La domanda viene spontanea ricordando che l’Authority all’atto del suo intervento ha eccepito che un eventuale matrimonio tra Intesa e Ubi farebbe venire meno i presupposti per la creazione del terzo polo bancario in Italia e partendo su questo punto ha fondato i suoi rilievi. Un approccio che ha destato un certo stupore per la sua rilevanza politica più che tecnica. “A prescindere dall’esito dell’operazione Intesa-Ubi, continuo a pensare che nel nostro paese ci sia bisogno di una crescita dimensionale delle banche che solo diventando più grandi avranno le risorse e la forza per fare quegli investimenti in innovazione e sviluppo necessari per sostenere la crescita economica”, dice Stefano Caselli, pro rettore dell’Università Bocconi dove insegna Economia degli intermediari finanziari. Pur ammettendo che non sarà l’eventuale l’acquisizione di Ubi a fare di Intesa quello che si chiama un campione europeo perché per quello occorrerebbe una fusione transnazionale, Caselli ritiene che l’aggregazione tra queste due realtà sarebbe comunque molto positiva per il mercato italiano e non farebbe venire meno i requisiti di pluralità. “Ci sarebbe tutto lo spazio per operatori di medie dimensioni e per la formazione di eventuali altri poli bancari – continua Caselli – Non vorrei che tutte queste preoccupazioni sulla concorrenza nascondessero in realtà la predilezione per un sistema fatto di piccole banche quando, invece, la crescita dimensionale è indispensabile per la competitività e il sostegno dello sviluppo economico italiano”.

 

In realtà, proprio il nuovo accordo volto a fugare i dubbi sulle quote di mercato, fa di Bper – che si prepara a un aumento di capitale di 6-700 milioni di euro – il quarto operatore bancario del paese con potenzialità, quindi, di vestire i panni di polo aggregatore anche in una prospettiva di uscita dello stato da Mps, che nel frattempo sarebbe declassata a quinta banca italiana. “Se questa fusione si facesse, l’assetto bancario dell’Italia non sarebbe molto diverso da quello di altri paesi dell’Unione europea, compresa la Germania”, afferma Giuseppe Santorsola, ordinario di Corporate e investment banking dell’Università Partenope, per il quale il vero problema è capire se bisogna ragionare in un’ottica domestica oppure europea. “L’ultima fusione transnazionale è stata quella tra Bnl e Paribas che risale ormai al 2007 e i veri campioni bancari europei sono molto pochi. Ora la Bce sta spingendo per le aggregazioni perché teme per la sostenibilità delle realtà che stanno a metà del guado. Ma io dico che il ragionamento a questo punto si dovrebbe sviluppare in un’ottica post Covid. Qual è il miglior modello per sostenere la ripartenza del sistema imprenditoriale? Alla fine credo che la vicinanza ai territori possa essere d’aiuto, ricordiamoci che nel dopo guerra sono state le banche a sostenere la crescita di tante imprese italiane. Oggi non è più così: le banche si posizionano sui territori più ricchi, più sviluppati perché qui hanno la possibilità di essere performanti. Per questo ha un senso ragionare sulla necessità di una presenza bancaria pubblica nel Mezzogiorno dove occorre pazienza finanziaria, cioè capacità di attendere risultati che non possono arrivare subito”.

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