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Non c’è Fase 2 senza grandi investimenti nel capitale umano

Mariarosaria Marchesano

Cosa fare con un calo dei consumi tra l’11,2 e il 15,6 per cento? La crisi come acceleratore del futuro. Parla Antonelli, ceo di EY

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Milano. Da più parti, nelle ultime settimane, emergono osservazioni sul ruolo del capitale umano nella ripartenza dell’Italia e si leva qualche critica sull’assenza di proposte da parte delle imprese, che sarebbero troppo intente a premere per riaprire le fabbriche e a invocare aiuti di stato. “In realtà le imprese in questo momento stanno facendo uno sforzo straordinario per riavviare le produzioni e riposizionarsi sul mercato in un mondo che è cambiato all’improvviso – dice al Foglio il neo ceo di EY in Italia, Massimo Antonelli – E’ anche normale che siano concentrate sul loro business. Ma condivido l’idea che occorra una strategia per far ripartire  l’Italia, considerando che il Covid ne ha acuito gli elementi di fragilità, ma rappresenta anche l’occasione per recuperare terreno in termini di competitività a patto che pubblico e privato si siedano intorno a un tavolo a ragionare”.

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Milano. Da più parti, nelle ultime settimane, emergono osservazioni sul ruolo del capitale umano nella ripartenza dell’Italia e si leva qualche critica sull’assenza di proposte da parte delle imprese, che sarebbero troppo intente a premere per riaprire le fabbriche e a invocare aiuti di stato. “In realtà le imprese in questo momento stanno facendo uno sforzo straordinario per riavviare le produzioni e riposizionarsi sul mercato in un mondo che è cambiato all’improvviso – dice al Foglio il neo ceo di EY in Italia, Massimo Antonelli – E’ anche normale che siano concentrate sul loro business. Ma condivido l’idea che occorra una strategia per far ripartire  l’Italia, considerando che il Covid ne ha acuito gli elementi di fragilità, ma rappresenta anche l’occasione per recuperare terreno in termini di competitività a patto che pubblico e privato si siedano intorno a un tavolo a ragionare”.

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Dal punto di vista di chi, come il network professionale di EY, lavora a stretto contatto sia con le aziende sia con realtà istituzionali, è quasi ovvio immaginare una collaborazione strutturata tra questi due mondi per cercare di capire insieme come superare una grande recessione accompagnata da una riorganizzazione sociale, delle città, dei modelli di consumo e dei processi produttivi. “Un piano strategico integrato è secondo noi indispensabile per indirizzare nel modo più efficace le risorse che lo stato ha messo a disposizione”, prosegue Antonelli. Secondo le stime di EY Italia, la contrazione del pil attesa per quest’anno varierà tra l’8,3 e l’11,7 per cento, il calo dei consumi oscillerà tra l’11,2 e il 15,6 per cento e, infine, la contrazione degli investimenti tra il 7,7 e l’11,4 per cento. “Per quanto riguarda il lavoro, la vera sfida è integrare le politiche di welfare con le politiche attive, accompagnando il sostegno al reddito con un grande piano di investimenti per lo sviluppo di competenze concertato da imprese e pubblica amministrazione”, prosegue il ceo di EY in Italia. “Le competenze da sviluppare sono insieme di carattere tecnico-digitale e personali-relazionali, al fine di poter riprogettare il nostro modo di lavorare e i modelli di business delle aziende”. La crisi sanitaria avrà gravi conseguenze e aumenterà il rischio povertà, ma con effetti differenziati. Secondo le rilevazioni di EY, il rischio disoccupazione tenderà a colpire in modo asimmetrico i settori che definisce “non remotizzabili”, cioè non adatti a lavorare da remoto, tra i quali figurano soprattutto il turismo, i trasporti, l’acquisto di mezzi di trasporto e il commercio al dettaglio, dove il numero dei senza lavoro aumenterà, nell’ordine, del 54,8 per cento, del 54 per cento, del 56,4 per cento e del 48,3 per cento.

 

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Nella risposta all’emergenza, l’Italia, come del resto un po’ tutta l’Europa, ha scelto di congelare le imprese e la forza lavoro, garantendo di fatto il posto attraverso la cassa integrazione che va a pesare sullo stato. L’America, invece, ha dato tanti aiuti ma ha anche lasciato alle imprese libertà di licenziare e, infatti, i disoccupati hanno superato già 38 milioni. C’è, però, chi pensa che la scelta americana provocherà un aumento della produttività che l’Europa non potrà garantire e di fatto faciliterà il travaso di manodopera da settori che il Covid ha reso obsoleti verso i nuovi settori che proprio grazie alla pandemia stanno avendo una crescita inattesa. “Penso che l’approccio europeo, che ha prediletto un bilanciamento sociale, sia un valore  da tutelare – prosegue Antonelli – Si perde in elasticità ma si guadagna sotto altri punti di vista. Nel tempo, nel nostro paese si è creata una polarizzazione asimmetrica delle competenze: la fascia più qualificata dell’occupazione cresce meno di quella poco qualificata, con un effetto tendenziale alla dequalificazione. Infatti, in Italia diversamente, dagli altri paesi Ocse, il peso delle occupazioni poco qualificate sul totale è cresciuto quasi il doppio di quelle altamente qualificate. Questo, insieme con una dotazione infrastrutturale insufficiente – gli investimenti nel settore rappresentano il 7,5 per cento del pil, ma siamo molto distanti rispetto ad altre economie europee –, con la difficoltà che hanno le piccole imprese a gestire il cambiamento e il ritardo nella digitalizzazione, rappresentano gli elementi di fragilità dell’Italia che sono stati acutizzati da questa emergenza”. Il governo, però, con il Decreto Rilancio, ha cercato di reagire mettendo in campo una manovra imponente di 55 miliardi per lavoratori, imprese e famiglie, inoltre sono previsti incentivi anche per la formazione. Cosa manca? “Una strategia che indirizzi la spesa. Stiamo andando verso una trasformazione accelerata del mondo del lavoro che deve essere gestita  fissando obiettivi e delineando percorsi. Già prima del Covid, erano in atto cambiamenti strutturali nel modo di fare business, come l’aumento dell’automazione, la digitalizzazione, l’attenzione alla sostenibilità della filiera di prodotti. Poi la crisi ha generato, tra le altre cose, un ricorso massivo allo smart working che ha messo e metterà sempre di più in discussione competenze,  modelli organizzativi e di leadership precedenti. Gli scenari più gravi di questa crisi prevedono quasi 1 milione di disoccupati in più, ma nei settori dov’è attivabile, il lavoro a distanza immunizza dai rischi di perdita del posto perché favorisce la continuità del business. Affinché questo avvenga è necessario intervenire a livello profondo nella struttura organizzativa dell’impresa, agendo su prassi manageriali e sul potenziale del capitale umano con politiche di aggiornamento e riqualificazione delle competenze per l’attuale forza lavoro e accelerando l’innovazione nell’istruzione per le prossime generazioni. La sfida sarà nei prossimi mesi rendere il lavoro più moderno, più motivazionale e in grado di fornire un’identità di valore agli individui”. Da tutto questo, secondo il ceo di EY in Italia, la gestione del capitale umano emergerà come una priorità e l’esigenza di una strategia comune anche.

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