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Mes, eurobond, Recovery fund: vie d’uscita dalla grande crisi

Lorenzo Borga

Il Fondo salva stati, forma assicurativa in cui il debito ricade sulle spalle del solo stato che lo richiede, e la forma più comunitaria di eurobond, garantiti e allocati dalla Commissione europea, sono probabilmente i due estremi all’interno dei quali verrà trovata la decisione

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Se quella contro il nuovo coronavirus è stata battezzata da tutti una “guerra” contro un nemico invisibile e il sistema economico è stato riorganizzato come negli sforzi bellici (non esattamente), quella che si combatte tra i governi nazionali europei è sicuramente una delle battaglie più importanti. Si può dire che già questo sia un passo in avanti: fino a 80 anni fa chi combatteva una battaglia in Europa lo ha fatto in trincea col fucile in mano, mentre oggi sta seduto davanti a una webcam sfoderando armi diplomatiche e oratorie.

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Se quella contro il nuovo coronavirus è stata battezzata da tutti una “guerra” contro un nemico invisibile e il sistema economico è stato riorganizzato come negli sforzi bellici (non esattamente), quella che si combatte tra i governi nazionali europei è sicuramente una delle battaglie più importanti. Si può dire che già questo sia un passo in avanti: fino a 80 anni fa chi combatteva una battaglia in Europa lo ha fatto in trincea col fucile in mano, mentre oggi sta seduto davanti a una webcam sfoderando armi diplomatiche e oratorie.

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Una crisi (a)simmetrica

 

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La madre di tutte le sfide per il governo italiano sembra essere quella per ottenere gli eurobond. La logica appare semplice, riprendendo un virgolettato del Presidente del consiglio Giuseppe Conte: “Questo è uno shock simmetrico che colpisce tutti ed è eccezionale […]. Ecco perché è necessario rispondere con una reazione forte e unitaria, che utilizza strumenti straordinari". Due parole chiave – shock simmetrico – che il governo italiano, e non solo, sta ripetendo in ogni riunione e conferenza per giustificare la necessità degli eurobond. Ma dobbiamo chiarirci sul loro significato. Gli studenti di economia studiano che una crisi simmetrica si ripercuote allo stesso modo su tutte le regioni e i settori equamente. Uno shock asimmetrico invece colpisce in modo eterogeneo i mercati e i paesi che ne fanno parte. Se la crisi prima sanitaria e poi economica portata dalla pandemia in Unione Europea fosse davvero simmetrica, i paesi non avrebbero altro da fare che mettere in campo politiche espansive coordinate e tempestive, in modo – appunto – simmetrico. Insomma, i paesi europei si aiuterebbero l’un l’altro perseguendo ognuno il proprio interesse nazionale. Perché dunque i governi nazionali stanno discutendo da settimane su come affrontare la futura recessione? Per due motivi, sostanzialmente. Il primo, più semplice, è che la crisi non è del tutto simmetrica. I numeri del contagio e dei decessi non sono uguali in tutti i paesi dell’Unione Europea, e dunque le misure di lockdown non sono della stessa intensità e durata. Alcuni paesi, come Belgio, Spagna, Italia, Francia, Regno Unito contano più di 200 vittime da Covid-19 ogni milione di abitante, altri – Germania, Austria, Irlanda, Portogallo, Olanda, il blocco di Visegrad – ne contano meno (fonte Our World in Data). Il secondo motivo è che non tutti i paesi affrontano la crisi a partire dalle stesse condizioni economiche. I livelli di crescita economica, disoccupazione, sostenibilità del debito pubblico e privato, produttività erano molto diversi prima dello scoppio della crisi (e questo è in generale un problema per l’Eurozona, che ha un mercato e una moneta comune ma spesso valori economici sproporzionati). Così i vari governi hanno risposto in maniera differente alla crisi economica in arrivo. Questa seconda ragione, a differenza della prima, è sufficiente per rendere reale il rischio che la crisi in atto diventi uno shock asimmetrico. A meno che non venga corretta attraverso strumenti che mettano tutti sullo stesso piano, fornendo ad esempio lo stesso tasso di interesse a tutti i paesi membri (come spiegato nel prossimo paragrafo). I dati parlano chiaro: la Germania ha fino a ora annunciato di voler spendere il 3,6 per cento del proprio Pil per mitigare la recessione alle porte, la Francia quasi due punti percentuali del proprio reddito, il Regno Unito l’1,4 per cento, mentre Italia e Spagna hanno fino a ora affermato di poter spendere poco più di un punto di Pil (fonte Osservatorio sui conti pubblici di Carlo Cottarelli). Le differenze esistono, e scavano solchi profondi, già stimati dal Fondo monetario internazionale. Secondo l’istituto guidato da Kristalina Georgieva, l’Italia vedrà la sua economia cadere di oltre il 9 per cento quest’anno, mentre ad altri paesi europei di pari dimensioni sarà riservato un destino (leggermente) meno catastrofico: Spagna -8, Francia -7,2, Germania -7, Regno Unito -6,5. Questi numeri non sono un caso, ma riflettono le differenze pre-crisi pandemica. Altrimenti non ci sarebbe ragione per il nostro paese di chiedere una forma di prestito europeo per finanziare la ripresa economica. E soprattutto non ci sarebbe ragione di chiedere l’introduzione di eurobond, la cui idea nasce proprio per rispondere a shock idiosincratici all’interno dell’Unione Europea, fornendo – in tante forme diverse, lo vedremo – un accesso al credito a tassi di interesse inferiori, perché garantito in comune, rispetto a quelli che un paese economicamente in difficoltà dovrebbe affrontare.

 

Mes ed eurobond: gemelli diversi

 

Gli eurobond sono facili a dirsi, ma estremamente complicati a farsi. La prima ragione è sotto gli occhi di tutti: non c’è ancora un accordo tra i paesi europei. Ma non è la sola. La seconda, legata alla precedente, è che esistono varie forme possibili di eurobond, con caratteristiche, costi e benefici differenti. Secondo diversi economisti il Mes rinominato “light” dopo l’accordo dell’Eurogruppo di due settimane fa è un vero e proprio eurobond. Anche qui le parole sono importanti. Il Mes è un fondo assicurativo garantito dagli stanziamenti dei paesi membri che presta i fondi ottenuti a leva sul mercato a interessi bassi a paesi che autonomamente affronterebbero costi più alti sul mercato. Gli eurobond invece sarebbero titoli di debito garantiti da tutti i paesi dell’Ue. Tra gli economisti che vedono molte somiglianze tra i due c’è Tommaso Monacelli che su Twitter e poi su Lavoce.info ha scritto che “nella sostanza [i due strumenti] coincidono”. Questo è sicuramente vero nella finalità – garantire liquidità e trasferimenti ai paesi membri dell’Ue più in difficoltà a bassi tassi di interessi – ma gli strumenti per farlo sono differenti, come scrivono lo stesso Monacelli e altri economisti più scettici.

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Prima di tutto il Mes nella versione concordata dall’Eurogruppo ma non ancora approvata dal Consiglio europeo è pur sempre una forma assicurativa: tutti i paesi pagano una quota a seconda del valore della loro economia (non del loro rischio, questa è una prima forma di solidarietà) e nel momento del bisogno un paese in difficoltà può richiedere prestiti al fondo assicurativo. Come fa ogni assicurazione privata, bisogna fare in modo che il cliente non sia portato ad assumersi più rischi sapendo che può contare su un salvataggio finanziato (anche) da altri. È il principio di moral hazard. Per questo anche il Mes “light” prevede alcune condizionalità per l’accesso al credito, che sono state limitate alla destinazione d’uso dei prestiti, ma che potrebbero essere invece reintrodotte al termine dell’emergenza pandemica. Lo hanno ricordato Francesco Saraceno e Floriana Cerniglia sul Sole 24 Ore. Anche per questa ragione molti esperti si augurano che se il Mes verrà attivato dal governo italiano vengano contrattati alcuni punti essenziali: Altomonte e Pammolli su queste pagine hanno proposto che l’erogazione del credito avvenga in un’unica soluzione e che le condizionalità post-emergenza rimangano quelle standard del Patto di stabilità; altri propongono anche che le scadenze dei prestiti siano più che decennali, per renderli ancora più favorevoli.

 

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Per quanto riguarda le obbligazioni europee, esistono diverse forme per introdurle ed è anche su questo campo che si divideranno i leader europei per finanziare il recovery fund proposto dall’ultimo Eurogruppo. Alcune proposte prevedono che i titoli possano essere emessi direttamente dagli stati nazionali e garantiti da tutti i paesi membri. Così si otterrebbe un tasso di interesse inferiore per i paesi del sud (e più alto per la Germania), ma si correrebbe anche il rischio per gli stati che garantiscono il prestito che i soldi possano essere spesi in modo poco saggio. Altre idee, più complesse, disegnano uno scenario in cui si trasferiscono parti dei bilanci nazionali – quelle destinate alle spese sanitarie, o ai sussidi di disoccupazione, per esempio – all’interno del bilancio europeo. Così si potrebbero utilizzare questi fondi per garantire chi acquista gli eurobond che il prestito sarà effettivamente restituito. Questa versione ovviamente prevede, come ha sottolineato Lorenzo Bini Smaghi su Voxeu, un trasferimento importante di sovranità nazionale alle istituzioni europee. Per di più se i fondi raccolti sul mercato finanziario fossero spesi direttamente dalla Commissione europea e non dai singoli stati: in questo modo si potrebbe evitare il noto problema del moral hazard. Ecco spiegato il motivo per cui Salvini e la Lega non possono accettarli, e hanno votato contro i titoli comuni al Parlamento europeo.

 

Due estremi dello stesso continuum

 

La via per l’integrazione (e la sopravvivenza) europea è complessa e articolata, gli interessi in campo sono molti come anche le soluzioni possibili. Ma è fondamentale capire prima di tutto, per l’opinione pubblica e per chi la governa, la natura che può assumere la prossima crisi economica e quali sono dunque le opzioni migliori possibili per mitigarla. Il Mes, forma assicurativa in cui il debito ricade sulle spalle del solo stato che lo richiede, e la forma più comunitaria di eurobond, garantiti e allocati dalla Commissione europea, sono probabilmente i due estremi all’interno dei quali verrà trovata la decisione per il recovery fund. Queste due proposte fanno infatti parte di un continuum di soluzioni, più che essere vere e proprie alternative divergenti come ritengono alcuni. È molto probabile che né uno né l’altro risulteranno l’opzione definitiva, ma comprenderle ci aiuterà a individuare la via d’uscita.

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