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L'economia italiana guarirà dal coronavirus?

Michele Boldrin

Quando il periodo di contenimento sarà finito due sono gli scenari possibili: uno shock temporaneo o uno permanente. Per rispondere con efficacia alla crisi bisogna comprenderne la natura

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Focalizziamoci solo sulla questione economica, prendendo per buone le misure di “contenimento sanitario” decise dal governo italiano e, in forme diverse, da altri governi europei. Chiediamoci quali ne siano le conseguenze economiche e che tipo di interventi sia raccomandabile adottare nei mesi a venire. Facciamo delle ipotesi semplificatrici: (i) che il problema riguardi solo l’Italia; (ii) che il periodo di contenimento duri (com’è oramai ovvio a tutti) sino al 14 aprile; (iii) che non causi gravi disastri nella struttura socio-economica del paese (com’è invece probabile) e che; (iv) ottenga l’effetto desiderato di rallentare il diffondersi del contagio in modo da rendere le strutture ospedaliere italiane capaci di gestirne gli effetti nei mesi seguenti. Rilasseremo questi ipotesi alla fine, prendiamole ora per buone.

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Focalizziamoci solo sulla questione economica, prendendo per buone le misure di “contenimento sanitario” decise dal governo italiano e, in forme diverse, da altri governi europei. Chiediamoci quali ne siano le conseguenze economiche e che tipo di interventi sia raccomandabile adottare nei mesi a venire. Facciamo delle ipotesi semplificatrici: (i) che il problema riguardi solo l’Italia; (ii) che il periodo di contenimento duri (com’è oramai ovvio a tutti) sino al 14 aprile; (iii) che non causi gravi disastri nella struttura socio-economica del paese (com’è invece probabile) e che; (iv) ottenga l’effetto desiderato di rallentare il diffondersi del contagio in modo da rendere le strutture ospedaliere italiane capaci di gestirne gli effetti nei mesi seguenti. Rilasseremo questi ipotesi alla fine, prendiamole ora per buone.

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All’alba del 14 aprile due scenari sono dunque possibili. Nel migliore le misure di contenimento non hanno solo rallentato il diffondersi del virus ma lo hanno, di fatto, “sradicato” e il paese potrà a quel punto ritornare a funzionare normalmente nello spazio di un’altra settimana circa. In questo scenario lo scossone creato dal virus risulterebbe essere temporaneo: le persone o aziende che hanno sofferto, o ben per forzata chiusura o ben per aumento dei costi di produzione a causa delle misure di sicurezza, hanno subito una perdita che può essere compensata. Un normale argomento di buon senso economico (senza invocare complicati teoremi, pur coincidenti con il buon senso) dice che queste persone possono essere compensate con appropriati programmi di trasferimenti pubblici da finanziare a deficit, ovvero con debito addizionale. Un calcolo sommario dice che un valore vicino allo 0,7 per cento del pil è stato perso e che, con parametri standard, questa perdita si può compensare con un indebitamento addizionale pari a circa lo 0,5 per cento del pil. Non ho idea di cosa il decreto fantasma (dall’improvvido titolo “Cura Italia”) contenga a questo riguardo, quindi evito di commentare ma son certo che nazionalizzare Alitalia non c’entri nulla con quello che il buon senso economico raccomanda.

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Veniamo all’altro scenario, quello in cui il rallentamento è riuscito ma il virus ancora gira per il paese, seppur più lentamente. In questo scenario dovremmo aspettarci uno stato di “semi allerta” perdurante nel tempo. Questo implica uno scossone permanente al funzionamento del sistema e un aumento dei costi di gestione per ogni tipo di attività economica: maggiore per i locali pubblici (bar, ristoranti e quant’altro di simile) e minore o financo irrilevante per acciaierie e impianti chimici. Ma, in ogni caso, l’intero sistema economico dovrà accettare di trovarsi di fronte a qualcosa di simile allo schock petrolifero: fare quello che si faceva prima ora è più costoso e meno profittevole. Gli economisti chiamano questa cosa uno “shock permanente” mentre quello di prima è uno “shock temporaneo”.

 

Sia chiaro, è perfettamente possibile che l’estate aiuti e che il caldo riduca il virus allo stremo sino a novembre, ma poi (nel secondo scenario) esso tornerà esattamente come tornano raffreddori e influenze. E se il suo effetto su certe fasce della popolazione è tanto letale come i dati di questi primi due mesi suggeriscono, misure di “contenimento sanitario” saranno di nuovo necessarie. Insomma, nel caso ottimistico (posso dire poco probabile, alla luce dei fatti sino a ora accertati?) siamo di fronte a uno scossone temporaneo da gestire con un indebitamento addizionale pari a circa lo 0,5 per cento del pil per trasferimenti alle parti sociali coinvolte. Nel secondo caso (posso dire maggiormente probabile alla luce etc.?) siamo di fronte a una “ulteriore e particolarmente dannosa influenza” che farà danni anche seri sino a quando un vaccino o un’appropriata medicina non verranno scoperti. In questo secondo caso siamo tutti un poco più poveri grazie al coronavirus e non c’è alcuna ragione di indebitarsi o di cercare di sussidiare questa o quell’altra categoria. Sarebbe come aver sussidiato le macchine che consumavano tanta benzina all’arrivo dello shock petrolifero: un’idea mortifera.

 

In questo quadro, che cosa potrebbe fare di utile la banca centrale? Nulla, a meno che il panico non si scateni sui mercati finanziari generando situazioni di artificiale mancanza di liquidità, nel qual caso è ovviamente saggio intervenga. Ma, sia lo shock temporaneo sia esso permanente, non c’è nulla che la politica monetaria possa fare di utile se non, al massimo, coadiuvare la fiscale nel caso di uno shock temporaneo (ovvero, facilitare l’indebitamento nei limiti del possibile).

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Questo perché? Perché se il virus è qui con noi per sempre siamo leggermente più poveri per sempre (sino a quando non lo debelliamo con la scienza, ovvero i vaccini) e avere più pezzi di carta che girano non cambia di un epsilon la situazione. E se, come molti sperano ma io temo non sia vero, il virus è qui in visita temporanea, allora la cosa saggia è chiedere a prestito a coloro che hanno risparmiato per proteggere ora i più deboli.

 

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C’è dell’altro? Certamente: anzitutto c’è da evitare il panico (fenomeno purtroppo sempre più diffuso e sull’origine del quale occorrerebbe riflettere perché al momento sembra aver fatto più danni il panico che non il virus) sui mercati finanziari e le banche centrali ci stanno provando, Bce in testa. Ma il panico sui mercati finanziari ha sia una componente irrazionale (per quello è panico) che una reale (per quello è incertezza e volatilità) e questa non si cura con gli interventi di liquidità d’emergenza. Questa si cura solo con una seria analisi pubblica della situazione emergente e con politiche ben pensate, tecnicamente adeguate e stabili. Queste, decreto “Cura Italia” o meno, mancano ancora.

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