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Come fermare l’infezione delle piccole imprese? Un report Cna

Claudio Marini

Tre aziende su quattro hanno già subito direttamente gli effetti dell’emergenza sanitaria

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Roma. Tre piccole imprese su quattro già sono state “contagiate” dal coronavirus. Hanno subito direttamente, cioè, gli effetti dell’emergenza sanitaria. Ma ancor di più sono le piccole imprese convinte che l’epidemia influenzerà il loro risultato economico annuale. E a pensarla così sono quasi tutte le imprese del trasporto persone, del turismo, della moda.

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Roma. Tre piccole imprese su quattro già sono state “contagiate” dal coronavirus. Hanno subito direttamente, cioè, gli effetti dell’emergenza sanitaria. Ma ancor di più sono le piccole imprese convinte che l’epidemia influenzerà il loro risultato economico annuale. E a pensarla così sono quasi tutte le imprese del trasporto persone, del turismo, della moda.

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È quanto emerge da una indagine realizzata dal Centro studi CNA che in pochi giorni ha coinvolto oltre 7 mila piccole imprese italiane, un cantiere aperto per registrare lo stato d’animo dei titolari di imprese artigiane, micro e piccole, l’ossatura del sistema produttivo nazionale. Quelle che se si fermano, si ferma l’Italia. Rappresentano il 99,3 per cento di tutte le imprese, danno lavoro al 64,5 per cento degli addetti privati, significano il 48 per cento del valore aggiunto del Paese e il 22,3 per cento delle esportazioni. Il 72,4 per cento del campione sta già provando sulla propria pelle che cosa significhi l’emergenza. Tra un comparto e l’altro, però, le differenze sono rimarchevoli. Le piccole imprese del trasporto persone sono state colpite nella quasi totalità: il 98,9 per cento. E così larga parte delle imprese attive nel turismo e nella moda. Alla base di questa preoccupante situazione le innumerevoli cancellazioni delle prenotazioni nel trasporto persone, nel turismo e nei servizi alla persona così come, per la moda, la sospensione degli appuntamenti fieristici.

 

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Il passare del tempo non è considerato dagli imprenditori un toccasana. Nel più lungo periodo, infatti, il pessimismo la fa da padrone. L’85 per cento del campione ritiene che la crisi influenzerà negativamente i risultati economici annuali. In testa sempre il trasporto persone (99,7 per cento), seguito dal turismo (97,9 per cento) e dalla moda (94,2 per cento) via via discendendo fino alle costruzioni, dove comunque il 73,3 per cento degli imprenditori è sfiduciato. Una valutazione dettata anche dalla spadroneggiante informazione ansiogena? Può darsi. Di certo, un dato molto allarmante.

 

Se possibile, ancora più allarmante è la stima sulla caduta dei ricavi aziendali nel 2020. Quasi tre piccole imprese su dieci (29 per cento) la valutano nell’ordine del 15 per cento e oltre dei ricavi realizzati nel 2019. Il 18,4 per cento del campione in una forchetta tra il 5 e il 15 per cento. Un altro 5,7 per cento della platea punta a un decremento meno marcato. Il 35,6 per cento, infine, non è in grado di valutare la quota di riduzione ma che un arretramento ci sia non ha dubbi. Per completare il quadro rimangono il 10,8 per cento di stime stabili e un impercettibile 0,5 per cento di ottimisti.

 

Finora l’emergenza sanitaria ha inciso, invece, meno drasticamente del prevedibile sul fronte delle assenze al lavoro. Anche perché la decisione di chiudere le scuole in tutta Italia non era ancora arrivata al momento in cui la maggioranza di quanti hanno finora partecipato al sondaggio si è espressa. Rappresentano comunque un non trascurabile 15,1 per cento del campione le piccole imprese che già hanno registrato un incremento di “vuoti” nelle fila dei loro dipendenti. La causa delle mancate presenze? Principalmente l’impossibilità di raggiungere il luogo di lavoro o la necessità di rimanere a casa per accudire i familiari. Si può facilmente prevedere che questa incidenza schizzerà notevolmente dopo la chiusura delle scuole.

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Per fronteggiare la situazione il 37,1 per cento del campione ha messo in campo delle contromisure. A esempio, facendo ricorso allo “smart working” per consentire ai propri dipendenti di evitare gli spostamenti e il pericolo di contagio e/o di rimanere vicini ai figli e ai parenti anziani o malati. Una via inaccessibile ai titolari di imprese (si pensi al manifatturiero, ai servizi alle persone, al trasporto) nelle quali i dipendenti svolgono perlopiù mansioni che non possono essere compiute da remoto. Sicché sette imprese su dieci si preparano, se la situazione dovesse perdurare, a ricorrere, sia pure temporaneamente ma con tempestività, ad ammortizzatori sociali. A ipotizzarlo il 67,9% degli intervistati con quote più elevate della media nelle imprese che non sono in grado di dislocare i dipendenti: il manifatturiero – moda (74 per cento), meccanica (72,5 per cento), agroalimentare (72,1 per cento) – e il trasporto passeggeri (72,9 per cento).

 

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Il quadro d’assieme che scaturisce dal sondaggio è davvero negativo. “Siamo molto preoccupati. – spiega Sergio Silvestrini, segretario generale della CNA – Artigiani e piccoli imprenditori denunciano una situazione già molto grave, ai limiti della paralisi, straordinaria. Servono interventi altrettanto straordinari, allora, per riuscire a combinare la tutela della salute con la solidità dell’economia. E’ necessaria una sorta di Piano Marshall di stampo europeo, al quale l’Italia deve collaborare con Bruxelles, con il fine ultimo di imprimere una scossa all’economia attraverso investimenti pubblici e privati. E se tutto ciò – conclude – avesse bisogno di una deroga al patto di stabilità, ben venga”.

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