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Un programma per la crescita

Redazione

Il Fmi dice che le cose vanno meglio, ma non vanno bene. Servono riforme

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Le cose vanno meglio, ma sempre male. Così si può sintetizzare il giudizio del Fmi sull’Italia. Di positivo c’è il fatto che la manovra correttiva di Tria in primavera ha migliorato i conti e poi l’impronta più europeista del nuovo governo ha ridotto lo spread e i tassi sui titoli di stato dopo gli eccessi sovranisti. Per il resto non si notano grandi miglioramenti.

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Le cose vanno meglio, ma sempre male. Così si può sintetizzare il giudizio del Fmi sull’Italia. Di positivo c’è il fatto che la manovra correttiva di Tria in primavera ha migliorato i conti e poi l’impronta più europeista del nuovo governo ha ridotto lo spread e i tassi sui titoli di stato dopo gli eccessi sovranisti. Per il resto non si notano grandi miglioramenti.

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La crescita continua a essere stagnante, lo 0,2 per cento nel 2019 e lo 0,5 per cento nel 2020, la più bassa in Europa. Il deficit per il 2020 sarà al 2,4 per cento, due decimali sopra le previsioni (anche se il Mef conferma l’obiettivo del 2,2 per cento) e il debito resta altissimo al 135 per cento continuerà a salire nel medio termine per effetto della spesa pensionistica. Questa, ovviamente, è anche un’indicazione su cosa il governo non dovrebbe fare: aumentare ulteriormente la spesa previdenziale (cosa che invece, sotto la spinta dei sindacati che chiedono, quota 82, sembra intenzionato a fare).

 

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L’analisi del Fmi nella sua sintesi è chiarissima. Dice cosa non va delle misure appena approvate, come quota 100, e soprattutto il reddito di cittadinanza: il sussidio è troppo elevato, penalizza le famiglie numerose e più povere, crolla se un’offerta di lavoro viene accettata. Andrebbe quindi completamente ridisegnato in modo da non disincentivare il lavoro e non creare dipendenza dal sussidio.

 

Poi il Fmi dice cosa andrebbe fatto: ad esempio liberalizzazioni nel mercato dei servizi per aumentare la competitività e decentramento della contrattazione per allineare i salari alla produttività (queste riforme produrrebbero un aumento di 6-7 punti di pil in 10 anni). E inoltre suggerisce come fare riforme che si intendono realizzare, come ad esempio il salario minimo: va bene in un contesto di decentramento della contrattazione, ma deve “tenere conto dei diversi livelli di produttività e dei diversi costi della vita tra le regioni”. Altrimenti, come per il reddito di cittadinanza, se fosse alto e rigido, distruggerebbe lavoro anziché far salire gli stipendi. Liberalizzazioni, contrattazione decentrata, produttività, niente assistenzialismo e follie sulle pensioni. Chi ha a cuore il futuro e la crescita del paese dovrebbe adottare un programma del genere.

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