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Spetta alla politica e non alle Banche centrali gestire la transizione energetica

Mariarosaria Marchesano

Il riscaldamento globale va governato, ma per farlo finora gli stati hanno pensato solo ad altre tasse per le imprese

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Milano. Il 30 dicembre scorso, durante un programma radiofonico della Bbc dedicato all’ambiente e curato da Greta Thunberg, il governatore della Bank of England, Mark Carney, ha detto che il riscaldamento globale “potrebbe rendere inutili le attività di molte società finanziarie” e questo perché i progressi fatti finora per tagliare gli investimenti nei combustibili fossili sono stati troppo lenti. Carney ha sostanzialmente invitato l’industria finanziaria ad accelerare il passo verso lo smobilizzo di investimenti dalla carbon economy e i leader politici a favorire questo processo. Per essere un banchiere centrale Carney si è spinto oltre il suo mandato, anche se non è la prima volta che lo fa e non sorprende visto che diventerà inviato speciale delle Nazioni unite per i cambiamenti climatici quando avrà lasciato la guida della BoE al successore Andrew Bailey.

 

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In ogni caso, il suo intervento rappresenta la conferma che le Banche centrali si preparano a giocare un ruolo da protagonista in questo settore, anche se ancora non si capisce in che modo. Carney, per esempio, ha chiesto ad alcuni advisor finanziari di esplorare quali strade abbia la BoE per promuovere la transizione graduale verso un’economia a basse emissioni di carbonio che richiederà la riallocazione su larga scala di capitali e investimenti in infrastrutture: più di 100 trilioni di dollari a livello globale nel prossimo decennio, secondo le stime più recenti. Un modo, il suo, per spingere la BoE ad assumere la guida di questo cambiamento a cui sta lavorando anche la Bce di Christine Lagarde, da cui il mercato si attende il lancio di un nuovo Quantitative easing in versione green già nella prossima riunione. “Credo che gestire la transizione energetica non sia esattamente un compito delle Banche centrali. Se fossi in Carney o in Lagarde andrei direttamente dai capi dei governi per convincerli a a intervenire con strumenti di politica fiscale”, dice al Foglio Andrea Ferrero, economista dell’università di Oxford. “L’acquisto di green bond da parte della Bce rischia di avere scarso effetto sulle politiche per l’ambiente perché, per come è strutturato, il Qe lascia poco spazio ad asset diversi dai titoli di stato”, prosegue Ferrero, che non è l’unico a sollevare il tema delle responsabilità della politica, in una fase in cui la linea strategica sembra dettata dai grandi fondi pensione. Lo stesso Carney, nell’intervista alla Bbc, ha sottolineato che “è necessario che vi sia una comprensione condivisa su ciò che è necessario. Ma è ragionevole che ci siano dibattiti a margine su dove si ferma il ruolo dello stato e qual è il ruolo dei mercati”. Proprio un’azione tardiva della politica potrebbe condurre a una transizione energetica disordinata che farebbe più danni dei cambiamenti climatici.

 

 

Ma il punto è: in che modo devono intervenire gli stati? Per Ferrero sarebbe opportuno introdurre la carbon tax proprio nell’ottica di assecondare un cambiamento graduale del modello economico. “Una tassa sulle imprese che inquinano risulterebbe alla fine lo strumento più efficace perché farebbe diminuire i rendimenti generando una graduale rotazione dei portafogli degli investitori”. Ma allora la politica dovrebbe scendere in campo tassando le imprese? “Non sono d’accordo – ribatte Andrea Beltratti, economista dell’Università Bocconi – la transizione energetica va gestita nell’ottica di un’economia di mercato favorendo la nascita di nuovi settori e nuove opportunità di investimento, che tengano conto del prezzo che la collettività attribuisce al valore dell’ambiente”. In Italia manca un dibattito pubblico basato su elementi scientifici. “Si parla tanto dell’auto elettrica. Ma nessuno dice che sarebbe insostenibile per il pianeta se Stati Uniti e Cina insieme usassero solo veicoli elettrici – prosegue Beltratti –. Negli anni Ottanta i governi provarono ad affrontare il tema inaugurando il mercato dei permessi di emissione che poi è fallito per lo scarso impegno di alcuni stati. Oggi un approccio basato sulle tasse non funzionerebbe, ma allo stesso tempo se la politica evita di affrontare il problema alla fine gli sfuggirà di mano”.

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