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Disarmare le procure sull’Ilva

Redazione

Da Milano a Taranto. La politica industriale non si fa per via giudiziaria

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A un certo punto bisognerà fare un bilancio sull’assalto giudiziario che si è scatenato sull’Ilva di Taranto. Per ora non ci sono buoni risultati dal punto di vista ambientale, se non per il fatto che le emissioni sono minori a causa di una produzione ridotta e una fabbrica malmessa, e neppure dal punto di vista industriale visto che il centro siderurgico continua a perdere soldi senza che al momento ci sia una soluzione (che comunque sarebbe peggiore di quella di un anno fa). Ma soprattutto non si vedono grandi risultati neppure dal punto di vista giudiziario. Le motivazioni dell’assoluzione a Milano di Fabio Riva sono importanti, anche perché dovranno costringere i media a stravolgere la narrazione di questi sette anni sulla gestione del siderurgico tarantino. L’esponente della famiglia ex proprietaria dell’Ilva era accusato dalla procura di Milano di bancarotta, la sua gestione avrebbe concorso a portare al dissesto la fabbrica a causa dei risparmi sugli investimenti ambientali. Le motivazioni dell’assoluzione delineano un quadro molto diverso: i Riva nella loro gestione hanno investito 4 miliardi tra misure ambientali e di ammodernamento. A mettere in ginocchio l’Ilva sono stati interventi esterni, anch’essi giudiziari, come il sequestro preventivo di 1,7 milioni di tonnellate di prodotti finiti nel 2012 e il sequestro preventivo di 8 miliardi di euro nel 2013 (poi annullato dalla Cassazione). Il dissesto dell’Ilva è arrivato dopo lo tsunami giudiziario e dopo una gestione commissariale che (a proposito di trasparenza) non è tenuta a pubblicare i bilanci. Nell’attesa degli sviluppi del processo “Ambiente svenduto” a Taranto, dove già c’è stata qualche sorpresa, sarebbe forse il caso di comprendere che le crisi industriali non si risolvono con l’arma giudiziaria. Forse lo ha capito anche il governo nella nuova trattativa con ArcelorMittal, dopo aver annunciato “la battaglia legale del secolo”, che questa non è materia da affidare all’attivismo delle procure. Siano esse vicine, come Taranto, o lontane, come Milano.

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A un certo punto bisognerà fare un bilancio sull’assalto giudiziario che si è scatenato sull’Ilva di Taranto. Per ora non ci sono buoni risultati dal punto di vista ambientale, se non per il fatto che le emissioni sono minori a causa di una produzione ridotta e una fabbrica malmessa, e neppure dal punto di vista industriale visto che il centro siderurgico continua a perdere soldi senza che al momento ci sia una soluzione (che comunque sarebbe peggiore di quella di un anno fa). Ma soprattutto non si vedono grandi risultati neppure dal punto di vista giudiziario. Le motivazioni dell’assoluzione a Milano di Fabio Riva sono importanti, anche perché dovranno costringere i media a stravolgere la narrazione di questi sette anni sulla gestione del siderurgico tarantino. L’esponente della famiglia ex proprietaria dell’Ilva era accusato dalla procura di Milano di bancarotta, la sua gestione avrebbe concorso a portare al dissesto la fabbrica a causa dei risparmi sugli investimenti ambientali. Le motivazioni dell’assoluzione delineano un quadro molto diverso: i Riva nella loro gestione hanno investito 4 miliardi tra misure ambientali e di ammodernamento. A mettere in ginocchio l’Ilva sono stati interventi esterni, anch’essi giudiziari, come il sequestro preventivo di 1,7 milioni di tonnellate di prodotti finiti nel 2012 e il sequestro preventivo di 8 miliardi di euro nel 2013 (poi annullato dalla Cassazione). Il dissesto dell’Ilva è arrivato dopo lo tsunami giudiziario e dopo una gestione commissariale che (a proposito di trasparenza) non è tenuta a pubblicare i bilanci. Nell’attesa degli sviluppi del processo “Ambiente svenduto” a Taranto, dove già c’è stata qualche sorpresa, sarebbe forse il caso di comprendere che le crisi industriali non si risolvono con l’arma giudiziaria. Forse lo ha capito anche il governo nella nuova trattativa con ArcelorMittal, dopo aver annunciato “la battaglia legale del secolo”, che questa non è materia da affidare all’attivismo delle procure. Siano esse vicine, come Taranto, o lontane, come Milano.

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