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Altro che Finlandia. Ridurre l’orario di lavoro per legge riduce l’occupazione

Luciano Capone

L’evidenza empirica suggerisce di evitare soluzioni semplicistiche: l’idea secondo cui il lavoro va redistribuito per legge non funziona

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Roma. Quando in Italia bisogna proporre soluzioni “eterodosse” in economia, per non dire stravaganti, si ricorre sempre a un prototipo estero. Che inevitabilmente viene individuato in due modelli: sudamericano o nordico-scandinavo. “Facciamo come l’Ecuador” (oppure come l’Argentina) dicevano Beppe Grillo e altri populisti per invocare un default risolutivo della crisi del debito dopo il 2011, invocazione che nella variante nordica diventava: “Facciamo come l’Islanda” (anche se la piccola isola non ha ripudiato il debito pubblico né l’“austerity”). A questa seconda versione, quella nordico-scandinava, appartiene la riproposizione della vecchia idea del “lavorare meno, lavorare tutti” al grido di: “Facciamo come la Finlandia”.

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Roma. Quando in Italia bisogna proporre soluzioni “eterodosse” in economia, per non dire stravaganti, si ricorre sempre a un prototipo estero. Che inevitabilmente viene individuato in due modelli: sudamericano o nordico-scandinavo. “Facciamo come l’Ecuador” (oppure come l’Argentina) dicevano Beppe Grillo e altri populisti per invocare un default risolutivo della crisi del debito dopo il 2011, invocazione che nella variante nordica diventava: “Facciamo come l’Islanda” (anche se la piccola isola non ha ripudiato il debito pubblico né l’“austerity”). A questa seconda versione, quella nordico-scandinava, appartiene la riproposizione della vecchia idea del “lavorare meno, lavorare tutti” al grido di: “Facciamo come la Finlandia”.

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Nei giorni scorsi, non si sa bene in che modo – ma un sito finlandese pare aver individuato il “paziente zero” all’origine del contagio in un sito belga –, si è diffusa la falsa notizia secondo cui la prima ministra finlandese di centrosinistra Sanna Marin avrebbe proposto di ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni, e la giornata lavorativa da otto a sei ore. Ovviamente a parità di salario. “Facciamo come la Finlandia!”, è stata la reazione istintiva di molti. Ma la notizia è falsa, si riferisce a un’ipotesi che la Marin aveva lanciato quando ancora non era premier durante un evento del Partito socialdemocratico, ma si è diffusa in maniera così estesa che il governo di Helsinki ha dovuto smentire via Twitter: “Nel programma del governo finlandese non si fa menzione della settimana di 4 giorni. La questione non è all’ordine del giorno del governo finlandese”.

 

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In ogni caso, l’idea è riaffiorata da noi insieme a proposte specifiche in questa direzione (così magari sarà la Finlandia a dover fare come l’Italia), come quella “targata Cgil” descritta dalla Stampa: “quattro giorni di lavoro per otto ore” a settimana. Naturalmente “a parità di salario”. In questo modo non solo gli occupati lavorerebbero di meno a parità di stipendio (o guadagnerebbero di più a parità di ore lavorate), ma aumenterebbe l’occupazione del 20 per cento. Questa idea secondo cui sarebbe la riduzione dell’orario del lavoro a far aumentare la produttività (e non viceversa), è abbastanza diffusa anche nella politica: ne ha ad esempio parlato Pasquale Tridico, a lungo consulente del M5s, nella sua relazione da presidente dell’Inps. Ed è anche un’idea di Domenico De Masi, anch’egli molto ascoltato dal M5s, secondo cui basterebbe lavorare quanto i tedeschi per essere produttivi come i tedeschi (anche se poi De Masi nei suoi libri scrive anche che i disoccupati dovrebbero “lavorare gratis” per creare uno choc nel mercato del lavoro. Quindi il contrario: lavorare di più a parità di salario, che nel caso di specie sarebbe zero).

 

L’evidenza empirica suggerisce di evitare soluzioni semplicistiche come questa. In Francia ci hanno già provato un paio di volte, prima negli anni Ottanta con Mitterrand che ha tagliato da 40 a 39 le ore settimanali distruggendo posti di lavoro. E più recentemente, nel 2000, con le 35 ore di Jospin e Aubry. In nessun caso c’è stato un aumento dell’occupazione, perché l’idea secondo cui il lavoro va redistribuito per legge non funziona: lo abbiamo già visto con “quota 100” che secondo la stessa logica avrebbe dovuto aumentare l’occupazione giovanile. E così non è stato.

 

Naturalmente non mancano casi di aziende che riescono, in maniera efficiente, a ridurre l’orario di lavoro in accordo coi lavoratori. E sono esempi virtuosi di contrattazione su come pagare gli aumenti di produttività, se attraverso maggiore salario o minore lavoro. Ma è cosa molto diversa dall’imposizione per decreto della riduzione dell’orario di lavoro a tutte le imprese: l’effetto non può che essere un aumento del costo del lavoro e, quindi, una perdita di competitività per un sistema produttivo già da tempo in difficoltà che, di conseguenza, porterebbe a minore occupazione. In pratica finiremmo per “lavorare meno, lavorare pochi”.

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