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Sul Mes Di Maio e Salvini rivelano l’aspirazione a diventare debitori

Veronica De Romanis

Valide ragioni per cui non firmare il trattato significherebbe ammettere la propria incapacità e incompetenza

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In questi giorni, il dibattito pubblico è stato monopolizzato dalla riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Con un’attenzione davvero inusuale per un dossier così tecnico, ne vengono valutati i vantaggi e gli svantaggi. Coloro che considerano che i primi siano di gran lunga inferiori ai secondi sono davvero molti. La Lega, in particolare, ritiene che questa riforma sia pericolosa per il nostro paese e, pertanto, andrebbe fermata. A questa conclusione, però, Salvini vi giunge attraverso un’analisi parziale, concentrata dal lato del debitore ossia dal lato di un paese con i conti non in ordine. Ma per poter dare un giudizio complessivo sul funzionamento di questo strumento, l’analisi andrebbe effettuata anche dal punto di vista di chi, invece, i conti li ha in ordine. Per questi paesi, il Mes è uno strumento fondamentale per assicurare stabilità. Vediamo il perché.

 

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Il Mes consente di soccorrere chi si dovesse trovare in una situazione di crisi. In un’unione monetaria come l’area dell’euro – che non è un’unione fiscale – risolvere la crisi di un singolo è nell’interesse di tutti. Tale crisi, infatti, può rapidamente diventare una crisi europea attraverso l’effetto contagio: ciò che è accaduto con la Grecia lo dimostra. In casi di emergenza in cui il contagio rischia di propagarsi velocemente, il via libera all’aiuto del Mes arriva attraverso una procedura semplificata che richiede solo l’85 per cento (e non l’unanimità) dei voti dei ministri delle Finanze dell’area dell’euro (la decisione ultima, infatti, spetta ai politici e non ai tecnici come raccontato). Chi come la Germania, la Francia e l’Italia ha una quota superiore al 15 per cento dispone, pertanto, di un potere di veto: qualora non fosse d’accordo, il ministro tedesco, francese o italiano può sempre opporsi a un determinato salvataggio. Tale potere rappresenta un’ulteriore tutela per le tre economie che maggiormente contribuiscono al capitale del Mes.

 

 

Sempre a garanzia dei paesi creditori, il Mes assiste solo chi può restituire il prestito ottenuto. A tal fine, sia il Mes sia la Commissione effettueranno un’analisi della sostenibilità del debito pubblico. Il primo valuterà la capacità di rimborso del debitore, la seconda valuterà i possibili rischi per la stabilità dell’intera area. L’analisi effettuata da due angolazioni differenti consente di difendere al meglio i soldi dei contribuenti europei.

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I paesi creditori sono tutelati anche in presenza di crisi di una singola banca europea. Viene, infatti, introdotto un backstop (leggi, un aiuto finanziario) da utilizzare nel caso in cui l’attivazione del bail-in (dove a pagare sono i creditori privati) e, in seconda battuta, l’attivazione del Fondo di risoluzione (dove a pagare sono le altre banche europee) non fossero sufficienti. Il fallimento di una banca può dispiegare gli stessi effetti negativi sull’intera area di un fallimento di uno stato. Il backstop è pensato, proprio, come garanzia di stabilità. Infine, se a trovarsi in difficoltà, ad esempio a causa di un choc esogeno imprevisto, fossero i paesi virtuosi, il Mes prevede l’accesso a una linea di credito precauzionale che, anche in questo caso, serve a mitigare eventuali tensioni. Essere ammesso a questa linea non è certo un’impresa impossibile. E’ sufficiente avere un governo capace di mantenere conti in ordini e garantire crescita economica. Nello specifico, il paese: 1) non deve essere sotto procedura di disavanzo eccessivo; 2) negli ultimi due anni deve aver rispettato il criterio del disavanzo (3 per cento), il criterio del debito (60 per cento) e il criterio del disavanzo strutturale; 3) non deve essere sotto procedura per squilibri macroeconomici eccessivi; 4) deve avere accesso ai mercati internazionali e, infine, 5) vi deve essere assenza di gravi vulnerabilità del settore finanziario.

 

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A conti fatti, la riforma del Mes non fa altro che aggiungere nuove tutele a quelle già esistenti. Ma, allora, perché a molti dei nostri politici non piace? La risposta è semplice: si mettono dal lato del debitore. Leader come Matteo Salvini e Lugi Di Maio non vedono i vantaggi della riforma del Mes (e del Mes stesso) perché sono convinti che l’Italia non potrà mai usufruirne. Non firmare significherebbe dare il seguente messaggio: “L’Italia è fanalino di coda, il debito continua a salire e il deficit non scende ma siccome noi non siamo in grado di cambiare la situazione, approviamo solo Trattati che premiano chi non riesce a mettere i conti in sicurezza”. In altre parole, non firmare significherebbe ammettere la propria incapacità e incompetenza.

 

Ma, sopratutto, significherebbe segnalare che è in corso un cambio radicale. Finora l’Italia è sempre stata un paese creditore: ha partecipato da creditore a tutti i salvataggi, al Mes non ha mai fatto ricorso e la ristrutturazione del debito non è mai stata un’opzione. Se Di Maio e Salvini sono così preoccupati per una riforma che ci tutelerebbe in quanto creditori, forse è perché pensano che stiamo diventando debitori, alla stregua della Grecia. Nel caso, sarebbe preoccupante visto che il primo è adesso al governo e il secondo c’è stato fino a pochi mesi fa e mira a ritornarci.

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