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C'è un'idea di politica industriale (green). Al M5s interessa?

Maria Carla Sicilia

50 progetti che valgono 40 miliardi di investimenti. Ecco le proposte per il Mise presentate dalle imprese italiane dell'energia

Fino a oggi il governo Lega-M5s si è dimostrato più sensibile alle istanze ambientali che a quelle industriali, nonostante i tentativi del Carroccio di fare pressione sui cinque stelle. Ora che una ventina tra associazioni e imprese hanno proposto cinquanta iniziative per attuare il Piano energia clima dell'Italia (Pniec), il governo ha l'occasione di dimostrare il contrario. Il documento Pniec inviato dal ministero dello Sviluppo economico a Bruxelles, approvato dalla Commissione Ue con riserva, definisce la prospettiva energetica del paese per i prossimi undici anni e ha carattere vincolante. Ma raggiungere gli obiettivi che il governo ha messo nero su bianco è un affare tutt'altro che scontato.

       

Nel mondo delle imprese dell'energia c'è una tacita preoccupazione legata alla possibilità di riuscire a incrementare la produzione e raggiungere così i circa 40 GW di nuova potenza rinnovabile previsti dal Piano. La burocrazia ostile, tanto quanto alcune comunità locali, insieme alla frammentazione delle competenze, rendono complicato ottenere le autorizzazioni necessarie. Non è un caso che tra le principali proposte presentate dalle realtà industriali del paese alcune siano rivolte proprio a ottenere una semplificazione dei processi autorizzativi, sia per i nuovi impianti sia per l'ammodernamento di quelli esistenti, che potenziati potrebbero contribuire ad aumentare la produzione di energia rinnovabile senza altro consumo di suolo, rendendo più profittevoli gli impianti. 

     

Ma ci sono anche imprese che si occupano di mobilità e di efficienza energetica nel gruppo rappresentato da Monitor Pec, un osservatorio nato per seguire lo sviluppo e l'attuazione del Piano energia clima. Quello che propongono talvolta è molto concreto e molto poco rivoluzionario: la riqualificazione dell'illuminazione pubblica, dicono le imprese, sarebbe almeno "il primo valido sistema di trasformazione in smart city di una media città italiana". E nel paese che vuole avere "6 milioni di auto elettriche nel 2030" (cit. Di Maio), la proposta di installare tecnologie di ricarica elettrica super veloce per i bus elettrici sembra tanto banale quanto indispensabile. 

      

Insieme, le cinquanta proposte avanzate da aziende come Enel, Snam, Acea, Edison e A2A, solo per citarne alcune, valgono 40 miliardi di euro nell'arco di dieci anni e potrebbero generare un ritorno di 18.500 occupati entro il 2030. Secondo Monitor Pec, gli interventi suggeriti in questo pacchetto potrebbero valere un quarto dell’attuale produzione annua di energia rinnovabile e un taglio di 21 milioni tonnellate di CO2: poco meno delle emissioni attribuite al parco circolante dei veicoli a benzina. Solo che invece di agire con divieti, il risultato si otterrebbe eliminando le criticità che oggi rallentano gli investimenti in efficienza energetica, nella produzione di energia rinnovabile, nel recupero di biometano dai rifiuti. La casacca green può riuscire a smuovere l'interesse del ministero dello Sviluppo economico guidato da Luigi Di Maio verso un piano di politica industriale?