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Rompicapo crescita

Alberto Brambilla

Le imprese cercano competenze all’estero. Ma avere molta domanda di laureati e poca offerta non è un male

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Roma. In Veneto sono richiesti medici anestesisti, radiologi, pediatri, ortopedici, ginecologi e medici dell’urgenza-emergenza e probabilmente queste competenze dovranno essere reperite all’estero perché l’Italia non riesce a utilizzare quelli già laureati. I giovani italiani, per mancanza di borse di specializzazione e barriere all’ingresso, faticano una volta laureati a entrare negli ospedali. E’ un paradosso che questo avvenga in un paese in declino demografico con un’età media tra le più elevate d’Europa, in cui la domanda di cure è in crescita.

 

 

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“Prima eravamo noi, palestinesi, arabi, siriani, libici, giordani, congolesi e camerunensi soprattutto a volere venire in Italia a studiare, specializzarci e magari restare a lavorare”, ha detto il professor Foad Aodi, palestinese, presidente dell’Associazione medici di origine straniera in Italia (Amsi) e consigliere nazionale dell’Ordine italiano. “E così è stato dopo la caduta del muro di Berlino anche per romeni, albanesi, russi, moldavi e nordafricani già specialisti, che hanno dovuto solo chiedere il riconoscimento dal ministero della Salute o iscriversi al sesto anno di Medicina in Italia per ottenere l’equipollenza dei titoli. Oggi invece è l’Italia ad avere bisogno di medici stranieri, perché non riesce a utilizzare quelli già laureati, che siano italiani o immigrati”. Sono squilibri non singolari, anche nel Regno Unito, per esempio, mancano radiologi per cui le analisi vengono spedite online a medici in India. Tuttavia in Italia non è solo il settore pubblico a non riuscire a raccogliere l’offerta di laureati, lo stesso accade in quello privato.

  

 

Una condizione fotografata, con un’analisi soprattutto quantitativa, nel rapporto Excelsior “previsioni e fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2019-2023)” realizzato da Unioncamere e dall’Anpal. Il rapporto evidenzia come nei prossimi cinque anni, al netto della sostituzione di persone che escono dalla vita lavorativa, l’aggiunta di posti di lavoro è una cifra molto modesta compresa tra le 373.800 e le 559.000 unità, un incremento nell’ordine dei decimali (più 0,3-0,4). Non siamo dunque di fronte all’annuncio di una crescita occupazionale dal punto di vista quantitativo. Il problema è se il sistema formativo riuscirà a incontrare le richieste delle aziende e impiegare i neolaureati. “La ‘digital Trasformation’ e l’Ecosostenibilità avranno un peso determinante nel caratterizzare i fabbisogni occupazionali dei diversi settori economici – dice il rapporto – arrivando a coinvolgere circa il 30 per cento dei lavoratori di cui imprese e Pubblica Amministrazione avranno bisogno nei prossimi cinque anni”, sia per sostituire i dipendenti in uscita sia per assumerne di nuovi perché oramai a oltre nove profili su dieci è associata la richiesta di competenze digitali.

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A tal proposito l’elemento del rapporto Unioncamere-Anpal che colpisce di più è la carenza di laureati. Si stima una riduzione dei laureati in uscita dalle università italiane nei prossimi anni e nell’ultimo anno di previsione, il 2023, il loro numero sarà di poco inferiore a 190 mila unità. Mentre il fabbisogno di laureati da parte dell’intero sistema economico nazionale dovrebbe essere molto più elevato, compreso tra 823.000 e 908.000 unità, per una media annua che varia tra 164.700 e 181.600 persone, privilegiando i settori economico, sanitario, ingegneristico e della formazione. Si tenderà a vedere questa discrepanza come un effetto negativo che spingerà alla ricerca di professionalità dall’estero, come accade per i medici in Veneto. Questo può accadere nell’immediato. Tuttavia la novità non sta nel livello dei laureati estremamente basso – in area Ocse abbiamo già percentuali infime – ma nel fatto che la domanda di laureati da parte delle imprese sia crescente. “Sarebbe molto peggio un’economia a bassa domanda di laureati – dice Giuseppe Croce, docente alla Sapienza di Roma – perché vorrebbe dire che le imprese non hanno la vocazione a migliorare, che sono guidate da manager non laureati o disinteressati a dare un segnale di progresso. Dato lo scenario italiano è una novità più positiva che negativa”.

 

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Il fatto che si vada verso una carenza di laureati ma che la domanda resti elevata vuol dire che un’offerta scarsa potrà essere assorbita più facilmente vista la richiesta continua e in prospettiva in aumento da parte delle imprese. Resta da vedere se un eccesso di domanda di laureati comporterà, nel breve periodo, l’assunzione di laureati dall’estero con un eventuale incremento del reddito dei lavoratori neolaureati. Sarebbe questa tendenza a potere rappresentare un incentivo a entrare nel mondo del lavoro non soltanto per i laureati italiani rimasti in Italia, in cerca di occupazione o impegnati in impieghi al di sotto delle loro competenze, ma anche per quelli andati all’estero e disposti a tornare.

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