Giovanni Tria (foto LaPresse)

Tria salta l'Ecofin e rientra per scrivere un Def che non c'è

Luciano Capone

Il rientro anticipato del ministro dell'Economia dopo l’Eurogruppo e lo spread che sale. Il dilemma di Mattarella

Roma. “State tranquilli, che adesso cercherò di spiegare quello che sta accadendo e come è formulata la manovra”, ha detto il ministro Tria appena arrivato in Lussemburgo per la riunione dell’Eurogruppo, il meeting dei ministri delle Finanze dell’Eurozona. E’ difficile che la spiegazione sia stata esaustiva, anche perché la due giorni lussemburghese del ministro dell’Economia è finita prima del previsto: Tria è rientrato in anticipo a Roma “per potersi dedicare al completamento della Nota di aggiornamento al Def”, rinunciando così a partecipare alla riunione dell’Ecofin. Dopo l’Eurogruppo Tria ha incontrato i commissari europei Dombrovskis (“la manovra non sembra rispettare le regole”) e Moscovici (“c’è una deviazione significativa”), ed è evidente che sono stati loro a spiegare le obiezioni della Commissione alla manovra che il ministro dovrà riferire ai colleghi di governo. 

 

L’unico dato certo, e poco rassicurante, è il livello del deficit. E la ritirata imprevista di Tria anziché rassicurare l’Europa, alimenta incertezza e apprensione: lo spread sale a 282 punti e la Borsa cede un altro 0,50 per cento. Il quadro della manovra non è chiaro, le cifre ballano e i conti non tornano. Il problema è che in questo caso non si tratta di una semplice nota di aggiornamento al Def, ma del vero Def: il documento discusso a giugno in Parlamento conteneva solo il quadro tendenziale “a legislazione vigente”, senza il quadro programmatico che è la parte fondamentale. E’ questo quindi il primo vero Def dell’esecutivo gialloverde, ma se cinque giorni dopo l’approvazione in Consiglio dei ministri e i festeggiamenti sul balcone il documento non è ancora pronto vuol dire che ci sono diversi problemi, a partire dal fatto che al Mef non si immaginava un deficit superiore al 2 per cento e i tecnici hanno dovuto iniziare a far girare in fretta i modelli con il nuovo parametro.

 

Tra i fattori che alimentano l’incertezza, oltre alla impellente necessità di far quadrare in qualche modo i conti e al volo andata/ritorno in giornata per il Lussemburgo, va aggiunta la girandola di cifre nelle interviste del weekend. Il ministro Tria ha dichiarato al Sole 24 Ore che il deficit sarà del 2,4 per cento per il prossimo triennio e che la leggera riduzione del rapporto debito/pil sarà dovuta a una crescita dell’1,6 per cento nel 2019 e dell’1,7 per cento nei due anni successivi, superiore alla crescita dello 0,9 prevista grazie all’impatto di uno 0,2 per cento di deficit per investimenti. Simultaneamente il ministro degli Affari europei Paolo Savona – il ministro dell’Economia prescelto da Di Maio e Salvini, che con Tria ha lavorato alla stesura della NaDef approvata in Consiglio dei ministri – esponeva sul Fatto quotidiano dati completamente diversi: crescita del pil al 2 per cento nel 2019, al 2,5 per cento nel 2020 e addirittura al 3 per cento nel 2021, grazie all’impatto degli investimenti che aumentano dell’1 per cento (metà in deficit pubblico e metà a carico delle aziende parastatali). C’è una differenza di circa 14 miliardi di investimenti solo nel primo anno e di circa 45 miliardi di pil in tre anni: alla fine del triennio, grazie alla “manovra del popolo”, secondo Tria la crescita raddoppia mentre secondo Savona triplica. Sembrano due documenti diversi e ancora non si riesce a capire quale sia quello vero, perché la NaDef non viene ancora pubblicata. In contemporanea al balletto di cifre, su Repubblica, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti diceva che se le cose dovessero mettersi male sui mercati “saremo pronti a intervenire anche prima della stesura definitiva della manovra e della sua approvazione”. Pertanto alla fine, secondo Giorgetti, né i numeri di Tria né quelli di Savona potrebbero essere quelli della legge di Stabilità.

 

Oltre alle ripercussioni sui mercati, c’è però un altro interrogativo che riguarda i conti pubblici ed è di tipo giuridico più che economico. Lo ha ricordato il presidente della Repubblica: “La Costituzione italiana dispone che occorre assicurare l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico”. Sulla materia il presidente Mattarella presterà la dovuta attenzione, anche perché può contare su Daniele Cabras che è suo consigliere parlamentare e studioso della normativa sull’equilibrio di bilancio. Ma anche dalle parti del governo la normativa è nota, visto che proprio Giorgetti è stato relatore della legge di Attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81. La norma prevede che con un voto parlamentare si possa autorizzare lo scostamento dall’obiettivo programmatico strutturale solo in caso di “eventi eccezionali” come una “grave recessione economica”, una “crisi finanziaria” o una “calamità naturale”. Il governo, fissando un deficit al 2,4 per cento per il triennio, sta dicendo che vuole scostarsi dal piano di rientro per i prossimi tre anni, il che implica la conoscenza in anticipo dei futuri “eventi eccezionali” o “calamità naturali”. Ma se contemporaneamente fissa una crescita del pil doppia o tripla di quella attuale, vuol dire che non c’è giustificazione per scostarsi dal dettato costituzionale. E lo stesso Mattarella, con un esempio premonitore, ha spiegato che il presidente della Repubblica non è un passacarte: “Einaudi rinviò due leggi approvate dal Parlamento – ha detto lo scorso maggio, con il governo gialloverde nascente –, perché comportavano aumenti di spesa senza copertura finanziaria, in violazione dell’articolo 81 della Costituzione”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali