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Perché la vicenda della Harley Davidson è un'opportunità per l'Italia

Sergio Boccadutri e Carlo Stagnaro

La stupinomics di Di Maio che vuole mettere in gabbia le imprese 

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Quando un governo prova a chiudere il mercato sperando di proteggerlo, spesso raggiunge risultati opposti. La vicenda della Harley Davidson rappresenta per il nostro paese una lezione e un’opportunità.

   

Alcune settimane fa, il presidente Donald Trump ha elevato pesanti dazi sull’acciaio (25 per cento) e l’alluminio (10 per cento). L’Unione europea ha reagito imponendo a sua volta tariffe contro l’importazione di diversi beni Usa, tra cui le moto Harley Davidson (25 per cento). La casa di Milwaukee si trova così esposta al danno (il maggior costo dell’acciaio americano) e la beffa (l’aumento dei prezzi sui mercati europei). Pertanto, ha scritto alla Sec – la Consob americana – di voler delocalizzare alcune produzioni, forse anche in Europa. Avviare le nuove produzioni richiederà tra i 9 e i 18 mesi e infliggerà alla compagnia del Wisconsin perdite comunque consistenti, tra i 30 e i 45 milioni di dollari, contro i 90-100 milioni attesi in assenza di contromisure.

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Come ha sottolineato Alberto Brambilla sul Foglio di mercoledì, l’interventismo non paga né sul piano politico né su quello economico. Questo è l’insegnamento. Da qui deriva l’opportunità: il governo italiano dispone di strumenti per convincere Harley Davidson a insediarsi nel nostro paese. Le imprese decidono sulla base delle caratteristiche delle diverse economie, quali le condizioni fiscali, l’affidabilità del quadro giuridico, la qualità della forza lavoro, ecc. Sulla base di questi e altri indicatori la Banca Mondiale stila ogni anno la classifica Doing Business. L’Italia occupa la posizione numero 46, la Germania la posizione 20, Spagna 28 e Francia 31. Ma l’Italia in qualche caso – tra cui le produzioni manifatturiere – ha dei vantaggi competitivi: lavoratori qualificati e motivati, un tessuto di piccole e medie imprese all’avanguardia nella meccanica e ben inserite nelle filiere globali dell’automotive, una forte tradizione industriale. Inoltre, alcune riforme recenti, specie in campo tributario, hanno contribuito a ridurre il gap con l’Europa: per esempio, il taglio dell’Ires al 24 per cento e l’eliminazione del costo del lavoro dall’imponibile Irap, il credito d’imposta per la ricerca e sviluppo e la decontribuzione per i giovani. Infine, il nostro ordinamento – coerentemente coi vincoli europei – consente di disegnare dei pacchetti di “investment attraction” che possono essere molto competitivi, come dimostrano anche casi recenti (per esempio lo stabilimento Lamborghini a Bologna, reso possibile da un accordo approntato dall’ex ministro dello Sviluppo, Federica Guidi).

  

Se vuole giocare questa partita, al ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, non basterà ingaggiare Harley Davidson con una buona offerta: dovrà essere credibile, abbandonando la retorica e i propositi anti delocalizzazioni. Di fatto, attirare Harley Davidson equivale precisamente a sfruttare a proprio vantaggio l’intenzione manifestata da quell’impresa di trasferire alcune sue attività. Le decisioni di investimento delle imprese non sono una proposta di matrimonio: non possono configurare un vincolo per la vita. Devono prevedere la possibilità che, se le cose andranno male, se il business non si rivelerà profittevole, vi sia una “way out”. Prima di dichiarare guerra alle imprese che minacciano di andarsene, cosa che può apparire politicamente gagliarda ma poco efficace, bisogna agevolare anche e soprattutto dal punto di vista regolatorio chi vuole aprire le sue produzioni in Italia. Insomma, per stimolare la crescita occorre prima di tutto togliere quei colli di bottiglia che la frenano. Per le imprese vale il motto che molti harleysti portano sulla propria giacca di pelle: “Live to ride, ride to live”. Dovremmo dunque occuparci di semplificare la vita a chi annuncia di voler traslocare in Europa. Le moto americane possono essere un importante banco di prova.

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