La nuova America della Fiat
Dieci milioni di smartphone in meno in soli tre mesi. Una frenata amara che ha provocato un salasso a Wall Street due giorni fa (meno 7 per cento) quasi inedito nella storia di Apple, e un’altra apertura negativa ieri. La trimestrale del colosso di Cupertino non segna proprio la caduta degli dèi, ma poco ci manca: forse la fine della quasi infinita crescita delle vendite dell’iPhone (tredici trimestri di fila) non colpisce infatti tanto i profitti di Apple, comunque miliardari, quanto la sensazione di onnipotenza alimentata dai continui successi della macchina da guerra creata da Steve Jobs. Certo, lo stop può essere solo temporaneo ma lo shock resta: la Mela ha urgente bisogno di creare una next big thing, ovvero di un nuovo oggetto del desiderio per il consumatore globale. E che cosa di meglio dell’iCar, o AppleCar, che è molto di più di una nuova auto?
Poche ore prima dell’annuncio della trimestrale del colosso hi tech, anche Fiat Chrysler Automobiles (Fca) aveva rilasciato i conti del trimestre: grazie a una strepitosa crescita in Nord America, i primi dati Fca dopo la separazione di Ferrari, sono in forte salita. Ma il titolo soffre: troppi debiti, poca visibilità sul futuro, dicono gli analisti. Sergio Marchionne non ce l’ha fatta a convincere i colleghi sull’utilità di una fusione: dopo il no di Gm è arrivato quello, cortese ma fermo, di Mark Fields, numero uno di Ford. E così il manager in pullover rischia di tirare avanti “in mediocrity” (l’espressione è sua). Ma lui, per dare il meglio di sé, ha bisogno di una big thing, in grado di segnare l’industria a quattro ruote. Anche così si può raccontare la marcia di avvicinamento di Davide-Fca al Golia dell’età digitale diretto da Tim Cook. Molti segnali indicano che l’incontro si avvicina, o almeno si lavora perché sia così: Marchione, convinto Apple freak, lascia sempre più spesso intendere che “qualcosa faremo con aziende che non sono nel settore”. Sabato scorso il Foglio ha rivelato che il ceo di Fca starebbe già mettendo alla frusta i fornitori del gruppo, in Europa e in Italia come negli Stati Uniti, perché si preparino alla sfida: l’automobile della Silicon Valley, Apple o non Apple. Ieri, parlando dei progetti futuri di Fca, la Stampa – quotidiano storico della famiglia Agnelli – ha confermato che Marchionne si è detto impegnato in continui colloqui sul fronte delle alleanze, anche nel settore tecnologico: “Ovviamente con chi è interessato. Dobbiamo essere aperti, molto open minded, non possiamo essere selettivi. E abbiamo bisogno di tempo”, ha aggiunto. Anche il Corriere della Sera, di cui gli Agnelli sono il primo azionista seppure in uscita, ha dedicato ieri un articolo alla “spinta hi-tech” del Lingotto verso la Silicon Valley: “Richiederà un lungo periodo di gestazione ma il timer si è già attivato verso quelle tecnologie – auto elettrica e guida autonoma – che consentiranno alleanze proiettate nella realtà futura”.
Sergio Marchionne (foto LaPresse)
La novità più importante, in casa Apple, arriva invece dal divorzio tra la Mela con i colossi tedeschi dell’automotive: dopo mesi di trattative e di meeting incrociati, i produttori d’oltre Reno e il team americano hanno preso atto che non ci sono margini per una collaborazione. Il motivo? Il rifiuto di Apple di condividere informazioni strategiche, custodite gelosamente nei data base del gruppo. Ma all’origine, come ha commentato la rivista di inchieste Stern, c’è un dissidio ideologico: per i costruttori tedeschi le meraviglie dell’auto che si guida da sola, così come i progressi dell’auto elettrica, vanno riservati per ora alle auto top di gamma, per difendere il primato del lusso tedesco. Al contrario Apple, così come Google, punta a un prodotto di diffusione di massa, in grado di rivoluzionare il concetto stesso di mobilità.
Bastano questi indizi ad avvalorare la pista Apple? Forse conta di più, come nel 2008, la flessibilità italiana, che è riuscita in Chrysler a centrare quei risultati che Daimler, nonostante l’impiego di capitali e cervelli, aveva mancato. “Apple ha un suo linguaggio – ha detto nel marzo scorso Marchionne – e bisogna saperlo parlare per dialogare con loro. In genere l’industria dell’auto dimostra una certa arroganza, giustificata da un know how secolare. Ma questo non è di alcun aiuto in questo caso: la loro sintassi vale di più della nostra capacità di costruire macchine”. Insomma Davide Fiat può essere la soluzione giusta per accelerare lo sbarco di Golia-Apple, gigante con 200 miliardi di dollari da investire, nel mondo della mobilità, l’ultima Grande Cosa che resta da conquistare dopo l’iPhone, l’iPad, l’iWatch e altre meraviglie che hanno smesso di stupire. Nei prossimi mesi si vedrà se la grande intesa decollerà. E quali conseguenze comporterà per gli assetti di Fca, visto che Marchionne intenzione di passare alla storia come il manager che ha traghettato Fiat verso il futuro, non come un liquidatore o un semplice venditore. Ma la strada è tracciata e porta oltre Oceano, aggirando l’asse elettrico della Grande Germania.